Stats Tweet

PAPI E BEATI - PAPA GIOVANNI PAOLO II - L’UOMO WOJTYLA

LA GIORNATA-TIPO DEL PAPA IN VATICANO

C'è un Papa pubblico di cui tutto, o quasi, si sa attraverso migliaia di articoli, immagini televisive e servizi fotografici che la stampa internazionale dedica ogni giorno al successore di Pietro. Ma c'è ancbe un Papa privato, che vive, lavora e prega nel suo appartamento privato in Vaticano. È il Papa della quotidianità, lontano dai mass media, alle prese con i ritmi dettati dal duro "mestiere" di Vicario di Cristo che solo pochi fidati collaboratori conoscono da vicino. Ma ecco, in sintesi, una sommaria descrizione della giornata-tipo del pontefice, secondo i tempi ed i ritmi scrupolosamente osservati da Giovanni Paolo II nel suo appartamento al terzo piano del palazzo Apostolico, lo stabile posto al di sopra del colonnato destro di piazza San Pietro, guardando in direzione della basilica vaticana.
La giornata di papa Wojtyla inizia sempre alle 5,30 e non si conclude mai prima delle 23. Dopo la sveglia, si intrattiene a pregare da solo nella cappella privata per un'ora circa. Alle 7, celebra la Messa assistito dal segretario personale, don Stanislaw Dziwsz, quasi sempre alla presenza di ospiti. Terminata la celebrazione, intorno alle 8 prima colazione, consumata in genere sempre insieme a don Stanislaw, agli altri monsignori della segreteria personale e agli ospiti, con i quali Giovanni Paolo II è solito trattenersi anche a colloquio. Alle 8,30 il Pontefice arriva nel suo studio privato dove lavora ai documenti ed alle relazioni che vengono sottoposte alla sua attenzione dalla Segreteria di Stato e dalle varie congregazioni pontificie. Alle ore 11 scatta il momento delle udienze pubbliche o private. Alle 13,30, il pranzo, che papa Wojtyla consuma sempre insieme ai suoi più stretti collaboratori e a qualche ospite. Le pietanze sono preparate dalle 5 suore polacche della congregazione delle Ancelle del Sacro Cuore, le stesse religiose che amministrano l'appartamento papale.
Tra gli ospiti che hanno il privilegio di sedere a tavola con papa Wojtyla, personaggi celebri, amici personali, membri della Curia vaticana. Giovanni Paolo II durante il pranzo è un ospite gradevole, versa il vino agli ospiti, invita a brindare, conversa amabilmente. Unico segno di distinzione, nessuno gli si siede accanto, perchè un intero lato del tavolo è riservato al Pontefice. Dopo il pranzo, breve riposo e un momento di preghiera, che papa Wojtyla verso le 17 ama far seguire da una passeggiata sulla terrazza, "accompagnato" quasi sempre da un libro. La giornata lavorativa prosegue di nuovo nello studio privato fino alle ,30, quando arriva l'ora della cena. Il dopocena in genere è riservato a un altro momento lavorativo fino alle 23, l'ora delle preghiere finali prima di andare a letto.
Papa Wojtyla in un momento di preghiera


ASSISI, LA GRANDE GIORNATA DI PREGHIERA DEL 27 OTTOBRE 1986

"Invitiamo i leader mondiali a prendere atto dello nostra umile implorazione". Il papa il 27 ottobre '86 circondato dai fratelli delle altre religioni, "implora", a nome di Francesco, la pace per tutto il mondo. Implora i signori della guerra a deporre le armi, i responsabili politici delle grandi e piccole potenze ad abbattere i muri della discordia e delle lotte fratricide. Parole e gesti profetici che Wojtyla in seguito continuerà a ripetere in ogni occasione nella sua lunga marcia di avvicinamento alle porte del terzo millennio.
A tutti, Giovanni Paolo II, al meeting religioso di Assisi, offre il modello e la pace francescana. Incurante dell'indifferenza con cui purtroppo quelle parole sarebbero state accolte da quanti hanno in mano le sorti socio-politiche del mondo, il papa dalla terra di Francesco e Chiara invita i grandi della terra a deporre le armi seguendo il modello offerto dall'antica "indulgenza della Porziuncola", il perdono dei peccati "inventato" dallo stesso San Francesco per quei crociati che, invece di recarsi in Terra Santa ad ammazzare i seguaci di Maometto ed ottenere così l'indulgenza, decidevano di fermarsi ad Assisi, gettavano via le armi e cambiavano vita.
Il 27 ottobre '86 alla città del Poverello fa tanto freddo. Pioggia e vento gelidi la fanno da padrone. Ma non per questo la gente diserta l'incontro. Sono infatti migliaia i fedeli provenienti da tutto il mondo che fanno da variopinta corona al meeting dei capi religiosi invitati dal papa. Il programma della giornata di preghiera prevede quattro momenti: un primo incontro nella basilica di Santa Maria degli Angeli, alla Porziuncola; preghiere individuali di ciascun capo religioso in luoghi appositamente allestiti nella città; processioni lungo le strade di Assisi guidate dai leader religiosi fino alla basilica Maggiore, sede del sepolcro di San Francesco; e, infine, secondo incontro comunitario nella piazza di San Francesco, dove il papa e tutti gli altri capi religiosi avrebbero lanciato i loro appelli per la pace al mondo intero.
Quasi mischiati tra la immensa folla, i rappresentanti diplomatici degli Usa e dell'Urss, le due superpotenze a quel tempo ancora alle prese con gli strascichi della guerra fredda e la vergogna del muro di Berlino; per l'Italia e la Santa Sede, presenti i rispettivi ministri degli Esteri, Giulio Andreotti e il cardinale Achille Silvestrini, che con entusiasmo rende nota alla stampa la massiccia adesione alla giornata di tregua delle armi chiesta dal papa alle nazioni belligeranti per rispettare, con un gesto concreto, il meeting religioso. Peccato che solo dopo poche ore dalla fine di quella giornata di preghiera le armi riprendono a sparare in tante regioni del mondo. E da allora non hanno quasi mai smesso.
Suggestivo e commovente il clima che si respira alla Porziuncola all'inizio della giornata. Nella grande basilica i leader religiosi entrano in corteo, avvolti dei loro suggestivi costumi, e si sistemano a semicerchio nella navata centrale con le spalle rivolte all'altare maggiore. Papa Wojtyla, vestito di bianco, è al centro, con alla destra l'arcivescovo ortodosso Metodio, inviato di Dimitrios, patriarca ecumenico di Costantinopoli, e alla sinistra il primate anglicano Runcie. Tra gli altri capi religiosi più conosciuti si notano il rabbino capo di Roma Elio Toaff, il Dalai Lama. Spicca, in particolare, un capo pellerossa, vestito con i tradizionali costumi della sua gente e con in mano un calumet della pace che quando fumerà, sia alla Porziuncola che al secondo incontro a piazza San Francesco, sarà accolto da tanti applausi e profonda commozione.
La preghiera comunitaria viene pronunciata in greco, accompagnata da un coro che canta "Tutte le creature lodino il Signore". Dopo il benvenuto del papa ai leader religiosi, un altro coro intona in giapponese "Lodate il Signore, genti tutte", mentre la cerimonia si avvia a conclusione. Nel primo pomeriggio, dopo le preghiere individuali e le processioni, via al secondo raduno, a pochi metri dalla basilica di San Francesco, dove ogni capo religioso pronuncia un discorso che ha come Leitmotiv comune la pace. E proprio la pace, come è emerso nei discorsi pronunciati fin dalle prime battute della giornata, è il filo conduttore che ha accomunato le diverse preghiere recitate singolarmente dai capi religiosi. Così anche papa Wojtyla, nel suo intervento ricorda che la pace è un dono che va chiesto a Dio, al "potere supremo che sorpassa le capacità umane". "Le religioni del mondo - aggiunge ancora Wojtyla - stanno dinmostrando che sono pensose del bene dell'umanità". Ma forse uno dei momenti più alti della preghiera del papa è il mea culpa, il pentimento chiesto a nome di tutti i cattolici per non essere stati sempre messaggeri di pace: "Non siamo sempre stati costruttori di pace", ammette infatti con coraggio e umiltà il pontefice davanti ai capi religiosi e alle telecamere di tutto il mondo. Ma anche verso i responsabili politici Wojtyla dimostra altrettanta determinazione: "Invitiamo i leader mondiali a prendere atto della nostra umile implorazione a Dio per la pace. Ma chiediamo pure ad essi di riconoscere le loro responsabilità e di dedicarsi con rinnovato impegno al compito della pace, a porre in atto le strategie della pace con coraggio e lungimiranza".
A conclusione della giornata, uno dei capi religiosi più attesi, il metropolita Filarete, arcivescovo ortodosso di Kiev, presente ad Assisi in rappresentanza di Pimen, patriarca di Mosca, si lascia scappare una confidenza in merito a un possibile futuro viaggio a Mosca del Papa. Prima di arrivare al meeting religioso di Assisi, Filarete fa sapere di essere stato ricevuto in Vaticano e di aver parlato anche di un futuro viaggio pastorale in Urss del pontefice. "Ci sono ancora difficoltà tecniche e politiche - è la fredda ammissione del metropolita Filarete - ma tutto è sempre possibile". Ma da allora Giovanni Paolo II è ancora in attesa del placet per poter recarsi a Mosca.
Papa Wojtyla ad Assisi in preghiera per la pace nel mondo


DA ASSISI ALLA CHIESA DEL TERZO MILLENNIO

Assisi, città di San Francesco e di Santa Chiara, città santa per vocazione, crocevia di fede e di spiritualità. Assisi, città del Poverello per antonomasia, centro di preghiera, di rifugio e meditazione, ma nello stesso tempo luogo di incontro e di aggregazione capace di "segnare" a fondo i grandi momenti della storia passata e contemporanea. Un fascino e una realtà a cui non è sfuggito nemmeno un grande papa come Karol Wojtyla, il pontefice della Chiesa itinerante, il Pastore che ha portato in ogni angolo della terra il messaggio di salvezza contenuto nel Vangelo di Gesù. Il Pontefice che al grido di "non abbiate paura, aprite le porte a Cristo" lanciato in apertura del suo pontificato e quasi aggrappato all'esile e scarno Crocifisso posto alla cima del suo bastone pastorale, ha toccato il cuore di milioni di persone, credenti e non credenti, cristiani, fedeli di altre religioni, parlando ai potenti e agli umili, ai giovani, ai sofferenti, ai bambini.
Wojtyla, il papa venuto dall'Est per chissà quale disegno divino, ha sempre avuto un debole per Assisi e il suo Santo. San Francesco e la sua città lo hanno sempre ispirato. La sua formazione spirituale ha avuto anche nel francescanesimo un costante punto di riferimento. Come poteva, quindi, Giovanni Paolo II, il pontefice del moderno dialogo ecumenico, il papa nemico della guerra, amico della pace e della fratellanza universale, non pensare proprio ad Assisi quando agli inizi del 1986 ebbe l'ispirazione di incontrarsi con i leader delle più importanti religioni del mondo? Grazie a quella iniziativa, destinata ad essere consegnata alla storia come uno dei momenti più forti del pontificato wojtyliano, cattolici e protestanti, anglicani ed ebrei, musulmani e buddisti, scintoisti, animisti, induisti, indiani d'America, adoratori di Manitù il Grande Spirito delle praterie, come spinti da un improvviso miracolo il 27 ottobre 1986 per la prima volta si trovano a pregare insieme e a digiunare per la pace nel mondo sulla tomba di San Francesco.

LA NUOVA DENUNCIA DEI PERICOLI NUCLEARI DAVANTI AGLI SCIENZIATI DELLA PONTIFICIA ACCADEMIA DELLE SCIENZE

Ad appena 24 ore dallo storico incontro interreligioso di Assisi, papa Wojtyla torna a far sentire la sua voce in difesa della pace universale e per richiamare la comunità scientifica internazionale sui pericoli legati a un uso distorto dell'energia nucleare. L'occasione gli viene offerta ricevendo in udienza un buon numero di scienziati di diverse nazionalità riuniti in Vaticano il 29 Ottobre 1986 per celebrare il cinquantesimo anniversario della rifondazione della Pontificia accademia della scienze. Il papa nel suo discorso, pronunciato nella Sala Regia del palazzo apostolico, parla apertamente di "responsabilità morale" degli scienziati di fronte alle più allarmanti conseguenze che le loro ricerche possono avere innanzitutto in campo nucleare, ma anche nell'ambito biologico ed ecologico. "Come non essere consapevoli - si chiede con insistenza Giovanni Paolo II - anche dei pericoli nei quali l'umanità incorre se impiega sconsideratamente la potenza che le viene dalla scienza? Sebbene ciò oltrepassi la competenza del ricercatore, questi non può rimanere indifferente. Ci si rivolge sempre più verso la comunità degli scienziati per le questioni di etica collettiva". "Si pensi spontaneamente ai pericoli dell'energia nucleare. Scatenando la potenza atomica - ricorda con preoccupazione ancora il papa - i ricercatori sono stati all'origine di una crisi morale pari a nessun'altra nella storia, come ho sottolineato a Hiroshima". Ricordando poi il suo precedente intervento all'Unesco, il pontefice insiste sul fatto che l'avvenire dell'uomo e del mondo è radicalmente minacciato "se si utilizzano le scoperte degli uomini di scienza per fini distruttivi". Tra le possibili "nuove scoperte" usate solo per distruggere, Wojtyla ricorda agli "uomini politici" i rischi legati all'utilizzazione di "certe sorgenti di energia o di certe armi, o le conseguenze ecologiche di certe iniziative". Invita inoltre quegli scienziati che lavorano a ricerche per tecnologie ad uso bellico ad abbandonare "i laboratori di morte" attraverso l'obiezione di coscienza". Gli scienziati, è la sua esortazione, aiutino "l'umanità alleando la coscienza con la scienza, facendo rispettare il primato dell'etica, vegliando perchè la scienza sia al servizio della vita".
L'altro momento forte dell'udienza ai membri della Pontificia accademia delle scienze del 29 Ottobre 1986, il riferimento a Galileo Galilei, figura capace di sintetizzare, secondo il papa, la perfetta coesistenza tra scienza e fede. "Per quanto dolorosa sia stata la sua esperienza - ammette papa Wojtyla - Galileo ha reso un inestimabile servizio al mondo scientifico e alla Chiesa, permettendo di comprendere meglio i rapporti tra la Verità rivelata e le verità empiricamente scoperte. Egli stesso escludeva una vera contraddizione tra scienza e fede...". A conclusione delle celebrazioni del cinquantenario della Pontificia accademia delle scienze, il papa agli scienziati presenti (una sessantina di studiosi, 19 premi Nobel, tra i quali anche gli italiani Carlo Rubbia e Rita Levi Montalcini) dà un simbolico, ma concreto mandato: "Incoraggiate i vostri rispettivi governi - esorta Wojtyla - affinchè permettano che la scienza rimanga sempre, in tutte le sue applicazioni, al servizio dell'uomo, della vita e della elevazione morale e spirituale".

IL TRENTADUESIMO VIAGGIO INTERNAZIONALE

Dal 18 novembre al primo dicembre 1986, Giovanni Paolo II compie il più lungo viaggio all'estero del suo pontificato, il trentaduesimo fuori i confini italiani, durato 13 giorni e sei ore. Visita il Bangladesh, Singapore, Figi, Nuova Zelanda, Australia e le Seicelle, percorrendo complessivamente 48.974 chilometri e pronunziando 57 discorsi. In tutti i paesi visitati, tanto diversi e lontani fra loro, il papa porta sempre la sua ansia pastorale, la sua incrollabile fede, unita, in ogni incontro e presente in tutti gli interventi, a una immensa fiducia nel messaggio salvifico di Cristo. Lo proclama in particolare davanti a quelle parti più povere di popolazioni visitate, costrette a vivere ogni giorno problemi drammatici ed apparentemente irrisolvibili. A Dacca, nel Bangladesh, come pure a Singapore, nelle isole Figi, o in regioni alle prese con un apparente benessere turistico come le Seicelle o l'Australia, ma anch'esse toccate da ampi strati di povertà, Wojtyla grida sempre "Con Gesù Cristo non sarete mai soli!". A quanti non nascondono amarezze e delusioni, ai lontani, ai cristiani delusi, il papa lancia messaggi di incoraggiamento e di speranza. Dio, il nostro padre comune, ricorda in più discorsi, "ci aspetta sempre a braccia aperte". E non a caso ricorda che la più bella preghiera resta sempre quel "Padre Nostro" che Gesù in persona insegnò ai suoi discepoli e che dopo circa duemila anni resta sempre saldamente impressa nei nostri cuori. Una vera e propria lezione di catechismo fatta dal papa durante il suo viaggio più lungo, rispondendo alle domande formulategli via radio da un gruppo di bambini.

UN MONITO CONTRO IL TERRORISMO NELL'ANNUNCIO DEL TEMA PER LA GIORNATA MONDIALE DELLA PACE DEL PRIMO GENNAIO 1987

Paolo VI, si ricorderà, fu il primo papa a rivolgersi direttamente ai terroristi durante il sequestro di Aldo Moro nel , con la famosa lettera scritta agli "Uomini delle Brigate Rosse". Dopo papa Montini, un altro pontefice farà più o meno la stessa cosa. È Giovanni Paolo II che nel messaggio scritto per celebrare la Giornata mondiale della pace per il primo gennaio del 1987 affronta la piaga del terrorismo nazionale ed internazionale. Il messaggio viene anticipato, secondo la prassi vaticana, circa tre settimane prima di Capodanno, cioè l'11 dicembre . Il testo preparato da Wojtyla è un ennesimo richiamo ai valori "della pace nel mondo attraverso i valori dello sviluppo e della solidarietà", in difesa dei quali Giovanni Paolo II chiama in causa "governanti, esponenti di ogni fede, giovani e le persone che praticano violenza e terrorismo".
L'annuale appello pontificio scritto per la Giornata mondiale dell'87 viene anche dedicato a un altro storico documento, l'enciclica di Paolo VI "Populorum progressio", che venti anni prima aveva affrontato i problemi della pace nel mondo in relazione allo sviluppo dei popoli. E, quasi prendendo a modello la traccia dell'analisi seguita dal documento montiniano, papa Wojytla nel suo messaggio passa in rassegna quei problemi sociali che, a suo parere, oggi ostacolano il processo di pace universale. Il pontefice, in particolare, addita mali inquietanti come la xenofobia e richiama i governi che "emanano leggi discriminatorie a danno di persone dei loro stessi paesi". Denuncia, ancora, la chiusura da parte di alcuni Stati "di confini in modo arbitrario e ingiustificabile, cosicchè le persone sono effettivamente private della capacità di spostarsi e di riunirsi con i loro cari".
Wojtyla, richiama inoltre quelle "ideologie che predicano l'odio e la differenza", quei sistemi socio-politici che "erigono barriere artificiali, odio razziale, intolleranza, divisioni di classe". Quanto al terrorismo, il papa nel messaggio scritto per la Giornata mondiale della pace lo definisce "un male che nel corso dell'anno passato ha causato tanta sofferenza alle persone e grave danno alla società". Da qui il fermo richiamo a tutti i terroristi a deporre immediatamente le armi, e ai responsabili politici ad affrontare e risolvere tutti i problemi che alla lunga possono minare la civile convivenza. Il papa, infine, non si dimentica dei paesi più poveri della terra, di quel cosiddetto Terzo Mondo sempre più vittima di fame, miseria, sfruttamento da parte dei paesi più ricchi. "Occorre risolvere subito - esorta infatti il papa - il crescente indebitamento delle nazioni in via di sviluppo" e bloccare "la corsa agli armamenti". Il messaggio termina con una inquietante denuncia: la tendenza dei paesi industralizzati ad usare i paesi del terzo Mondo come "campo di prova per esperimenti assai dubbi o come luogo di scarico per prodotti discutibili". Anche questo male, dice chiaramente il papa, deve essere estirpato il più presto possibile.

"BASTA CON GLI ARMAMENTI", GRIDA WOJTYLA NEL DISCORSO DI NATALE 1986

"Condanniamo l'inutile sperpero di ingenti risorse per la costruzione di ordigni bellici". Come per il discorso preparato per la Giornata mondiale della pace, anche nell'omelia pronunciata la mattina del Natale '86 a piazza San Pietro il pontefice affronta il tema degli armamenti e della guerra. Non dimentica, però, Wojtyla di ringraziare i capi religiosi che il 27 ottobre hanno preso parte alla preghiera comunitaria di Assisi, evento definito come il più importante dell'intero anno. Ringrazia ancora quanti hanno apprezzato l'iniziativa, forse per rispondere indirettamente a quelli che (assai pochi in verità) anche nel mondo cattolico non hanno ancora digerito la convocazione del meeting di Assisi, additandola come pericoloso esempio di sincretismo religioso.
"Ringrazio in particolare quelli che sono venuti ad Assisi - risponde invece Wojtyla durante l'omelia natalizia - in occasione della giornata di preghiera, per raccogliersi in preghiera e auspicare la pace in Terra". Nella città di Francesco, ricorda il pontefice, "sono arrivati i fratelli cristiani e fratelli non cristiani ai quali va il ringraziamento di tutti gli uomini di buona volontà".
Decisa, ferma e appassionata è la nuova condanna della corsa agli armamenti. "Le potenze della terra - si lamenta il papa davanti ai circa 20 fedeli riuniti in piazza San Pietro malgrado l'inclemenza del tempo - sperperano ingenti risorse per armamenti che possono portare a distruzioni apocalittiche. Ebbene di fronte a queste potenze abbiamo deciso di essere poveri uomini di Dio come Francesco" per denunziare e condannare, "avendo a disposizione solo i mezzi della povertà e della potenza della debolezza". E poi, quasi gridando al microfono, invita tutti i belligeranti, con un vibrante "tacciano gli strepitii delle guerre, dell'odio e delle armi in tutti gli angoli della terra", a seguire l'esempio di pace e di fratellanza venuto dalla giornata di preghiera di Assisi e dall'insegnamento di San Francesco. "Tutti gli uomini di buona volontà", implora alla fine il papa, sono invitati "a seguire l'amore reciproco secondo l'esempio di Dio che per noi si è fatto uomo, perchè solo l'amore può cambiare la faccia della terra". Alla conclusione dell'omelia natalizia, i tradizionali auguri formulati in 52 lingue. Per la prima volta anche in lingua ebraica. Altra novità: la cerimonia è stata trasmessa per la prima volta in diretta anche dalla televisione polacca.

IL PAPA INDICE L'ANNO MARIANO

Il primo passo ufficiale compiuto da papa Wojtyla all'inizio del 1987 come al solito prende di sorpresa tutto il mondo cristiano. È l'annuncio dell'Anno Mariano, il secondo della storia della Chiesa, che il pontefice fa nel corso del discorso di Capodanno pronunciato dalla Loggia della Benedizione della basilica di San Pietro in occasione della Giornala mondiale della pace. Scopo dell'iniziativa, spiega Giovanni Paolo II, è preparare la Chiesa universale al grande Giubileo che si celebrerà nel Duemila e che aprirà le porte all'avvento del terzo millennio di cristianità. Anche se a questa importante scadenza mancano ancora 12 anni, il papa sente che occorre prepararsi adeguatamente ed in tempo. Cosa c'è di meglio dunque di affidarsi alla Madonna con un anno intero di preghiere e pellegrinaggi?
Il nuovo Anno Mariano, spiega Giovanni Paolo II, inizierà il 7 giugno, giorno della festa di Pentecoste. Si concluderà il 15 agosto 1988, festa dell'Assunta. Ma c'è di più: il papa annuncia che prima dell'inizio dell'Anno Mariano pubbicherà una enciclica dedicata alla Madonna, la figura centrale del suo cammino di fedele e di pastore, alla quale il pontefice ha dedicato tutta la sua vita. La densissima devozione provata dal papa verso la Madre di Gesù è del resto provata dal fatto che sul suo simbolo episcopale campeggia una frase, "Totus tuus", il motto in latino con cui Karol Wojtyla dimostra di essersi completamente votato alla Madonna.
Contrariamente al primo Anno Santo indetto nel 1984, questo Anno Mariano 87-88 non dovrebbe richiamare a Roma una eccessiva folla di pellegrini. Non perchè la Madonna non costituisca una sufficiente fonte di richiamo. Tutt'altro. Per decisione del papa l'Anno Mariano dovrà essere celebrato a livello diocesano, per cui i fedeli che vorranno "lucrare" l'indulgenza, non dovranno recarsi necessariamente in pellegringgio a Roma, ma potranno festeggiarlo con i vescovi locali con iniziative particolari e pellegrinaggi all'interno delle diocesi. Dovrà essere coinvolta soprattutto, è l'esortazione del papa, "la geografia dei santuari sparsi nel mondo", dai più conosciuti, come Pompei, Loreto, Padova, Guadalupe, Lourdes, Fatima, Czestochowa, fino ai meno noti a livello internazionale, ma che rappresentano nelle località dove si trovano una inesauribile fonte di fede popolare.

LA VISITA DI RE HUSSEIN DI GIORDANIA IN VATICANO

Una visita privata, ma ugualmente densa di significato per i rapporti presenti e futuri tra la Santa Sede e la Giordania. Queste le impressioni colte al termine dell'udienza svolta in Vaticano il 18 gennaio 1987 da re Hussein, sovrano della Giordania, ricevuto sia dal Santo Padre che dal segretario di Stato, il cadinale Agostino Casaroli.
Il sovrano, accompagnato dal suo seguito e dal figlio maggiore, principe Abdullah, è stato calorosamente accolto dal Pontefice nella sala del Tronetto del palazzo apostolico. Subito dopo il papa lo ha invitato ad entrare nella biblioteca privata per un colloquio, svoltosi senza testimoni e durato circa mezz'ora. Secondo quanto spiegato dal portavoce papale, Joaquin Navarro Vals, trattandosi di un incontro privato, la Santa Sede non ha emesso comunicati ufficiali. Tuttavia, il portavoce ha fatto sapere che il colloquio tra il Papa e il re Hussein "ha avuto un carattere informativo e si è svolto in tono cordiale". Re Hussein "ha esposto il proprio pensiero sulla situazione mediorientale, per la quale si è sempre alla ricerca di soluzioni eque". Il pontefice, ha spiegato ancora Navarro, "ha ascoltato con interesse, conoscendo l'esperienza e la saggezza del sovrano". Il colloquio si è svolto senza interpreti e in inglese. Hussein, oltre alle tematiche di carattere socio-politico, ha ricordato l'incontro che ebbe con Paolo VI ad Amman, in Giordania, il 4 gennaio 1964, e le sue precedenti visite in Vaticano a papa Montini, il 24 aprile 1978, e allo stesso Giovanni Paolo II il primo novembre . Dopo l'udienza col papa, re Hussein si è incontrato col segretario di Stato Casaroli, che lo ha ricevuto nel suo appartamento. Sia al Papa, che al segretario di Stato, è presumibile che il sovrano abbia illustrato il proprio piano di aiuti economici alle popolazioni palestinesi dei territori occupati. Il progetto umanitario illustrato in Vaticano da re Hussein potrebbe dare l'avvio a una intensa e complessa operazione diplomatica, base di partenza per il decollo di un piano di pace per le regioni mediorientali.
Re Hussein di Giordania in udienza da Papa Giovanni Paolo II


L'UDIENZA ALLA GIUNTA DI ROMA, Il PAPA: "ECCO I MALI DELLA CITTÀ "

Giovanni Paolo II, pastore della Chiesa universale, ma anche vescovo di Roma. E proprio in questa veste ogni anno, a gennaio, riceve in udienza in Vaticano i rappresentanti delle amministrazioni comunale, provinciale e regionale. È una occasione, per il pontefice e per gli stessi ammnistratori, per fare una analisi delle cose fatte e di quelle che restano ancora da fare. Occasioni che offrono al Santo Padre lo spunto per stimolare, richiamare, indicare le mancanze e, soprattutto, additare a politici, amministratori e opinione pubblica i maggiori problemi che gravano sulla città di Roma, sull'interland romano e sulle popolazioni più bisognose. Il Papa in queste udienze dimostra sempre di conoscere molto bene i problemi della sua diocesi, frutto di informazioni, dirette e indirette, che riceve durante le sue periodiche visite alle parrocchie romane e nel corso degli incontri che ama tenere con i parroci, i vescovi ausiliari e il cardinal Vicario.
Nell'udienza di inizio d'anno concessa il 29 gennaio 1987 alla giunta capitolina, guidata dal sindaco Nicola Signorello, il Papa chiede, ad esempio, che "non siano deluse le aspettative dei pellegrini e turisti che vengono a Roma attratti dal fascino della sua storia e dei suoi monumenti, e soprattutto dal desiderio di venerare le memorie degli apostoli e dei martiri". Il Papa esprime ancora l'auspicio che la pluralità delle istanze sociali presenti nell'amministrazione stessa, "lungi dall'essere motivo di diminuita efficacia operativa, sappiano esprimere una solidale attitudine a promuovere il vero bene della città". Rivolgendosi in particolare al sindaco Signorello, Giovanni Paolo II ha voluto sottolineare in particolare il dovere "di non dimenticare la missione propria di Roma e le sue caratteristiche spirituali" per le quali alla Città Eterna sono rivolti "gli sguardi del mondo intero".
Nel suo discorso, il Pontefice non ha però dimenticato di additare anche i problemi di natura sociale. Ha esortato gli amministratori di Roma ad affrontare con determinazione tutti i bisogni fondamentali dei cittadini come la casa, la scuola, l'urbanstica, il traffico, l'inquinamento. Ma in cima alla lista dei problemi, il Papa ha posto quelli dei meno abbienti. Prima di tutto, ha esortato, va fatto ogni "sforzo per dare un dignitoso alloggio a tante famiglie che abitano in condizioni disagiate o precarie, o sono angustiate dalla minaccia di imminenti sfratti". Quello della perdita degli alloggi, avverte il Santo Padre, "è un'esigenza così primaria e urgente che nessuna fatica può essere giudicata troppo gravosa: infatti la carenza del minimo necessario per garantire un sicuro e degno focolare è spesso la causa di gravi problemi di degradazione morale e di disgregazione familiare".

"TROPPI I MATRIMONI NULLI", L'UDIENZA DEL PAPA ALLA ROTA ROMANA

Oltre a ricevere il corpo diplomatico accreditato presso la Santa Sede e gli amministratori degli enti locali, uno dei più attesi incontri di inizio d'anno del papa è l'udienza ai giudici della Rota Romana, il tribunale ecclesiastico vaticano. È uno degli appuntamenti più attesi perchè il Santo Padre, oltre a fornire le cifre relative alle sentenze matrimoniali, fa il punto sullo stato del difficile rapporto tra difesa del vincolo nuziale e le richieste di annullamento avanzato da un numero di coppie sempre più crescente.
Nell'udienza del 5 febbraio 1987, il Papa pronunzia un forte discorso di richiamo ai giudici rotali, sostenendo che sono troppi i matrimoni cattolici dichiarati nulli. Sono troppe, avverte il Santo Padre, specialmente quelle sentenze rotali che basano la loro decisione di annullare il vincolo nuziale suo considerazioni di natura psicologica. È uno "scandalo - si lamenta il Pontefice - il moltiplicarsi esagerato e quasi automatico di dichiarazioni di nullità". "Le incapacità psichiche - spiega preoccupato papa Wojtyla - specialmente in alcuni paesi sono diventate motivo di un elevato numero di dichiarazioni di nullità di matrimonio". E tra i paesi a più alto tasso di annullamento citati dal Papa ci sono gli Stati Uniti, dove nel 1984 ci sono state ben 36.461 dichiarazioni di nullità, su un totale di 46.658 processi. Nello stesso anno in Europa ce ne sono state 5.574, con in testa la Gran Bretagna (1.634), la Spagna (932) e l'Italia (891).
Cifre destinate a crescere negli anni futuri, che non possono non preoccupare fortemente il Pontefice e quanti hanno a cuore la difesa dell'indissolubilità del matrimonio. Questo avviene, spiega Giovanni Paolo II durante l'udienza del 5 Febbraio, perchè il giudice ecclesiastico si lascia "suggestionare da concetti antropologici inaccettabili, finendo per essere coinvolto in fraintendimenti circa la verità dei fatti e dei significati". È tempo ormai di difendere la comunità , è l'esortazione di Giovanni Paolo II in merito al problema degli annullamenti nuziali troppo "facili", "dallo scandalo di vedere in pratica distrutto il valore del matrimonio cristiano dal moltiplicarsi esagerato e quasi automatico delle dichiarazioni di nullità, in caso di fallimento del matrimonio, sotto il pretesto di una qualche immaturità e debolezza psichica dei contraenti".
Con questo richiamo il Pontefice non intende minimizzare il lavoro di quanti operano seriamente in campi delicati come la psichiatria o la psicologia. Anzi, tiene a precisare durante l'udienza, che "vanno apprezzati i progressi" fatti in questi campi, tuttavia "non si può non riconoscere che le scoperte e le acquisizioni nel campo puramente psichiatrico e psicologico non sono in grado di offrire una visione veramente integrale della persona". "Purtroppo le impostazioni di certi periti vengono acriticamente accettate dai giudici ecclesiastici. Per il canonista - ricorda il Santo Padre - deve rimanere chiaro il principio che solo l'incapacità, e non già le difficoltà a prestare il consenso e a realizzare una vera comunità di vita e di amore, rende nullo il matrimonio".

IL PERDONO DI ALÌ AGCA

Papa Wojtyla ha chiesto al presidente della Repubblica italiana Francesco Cossiga la concessione della grazia per l'ex terrorista turco Alì Agca, colui che attentò alla sua vita a piazza san Pietro il 13 maggio 1981, detenuto in un carcere italiano dove sta scontando l'ergastolo. La notizia, filtrata agli inizi di marzo dagli ambienti vaticani senza eccessivo clamore, quasi con pudore, ancora una volta contribuisce a fornire l'idea di quanto sia profetica e allo stesso tempo umana la missione pastorale di Karol Wojtyla.
Il papa venuto dall'Est, il papa dell'"aprite le porte a Cristo", anche di fronte a chi ha cercato con la violenza di "rubargli" la vita, non dimentica di essere prima di tutto un padre, il pastore scelto dalla Provvidenza per portare nel mondo la lieta novella, il Vangelo. E come Buon Pastore evangelico Karol Wojtyla non lesina energie e attenzioni per la sua "pecorella" all'apparenza più lontana, il terrorista turco Alì Agca che il 13 maggio 1981 in piazza San Pietro gli sparò al basso ventre con il chiaro intento di ucciderlo. Ma Dio non volle. E Giovanni Paolo II appena potè parlare al pubblico dal suo letto d'ospedale pensò proprio a lui, ad Alì Agca, "che - disse - sinceramente perdoniamo". Lo stesso perdono cristiano per il suo attentatore, papa Wojtyla rinnoverà in seguito in altre pubbliche e private occasioni, durante la visita all'ex terrorista nella cella di Rebibbia e nell'udienza concessa alla madre di Agca in Vaticano. "L'ho sinceramente perdonato", ha sempre ripetuto il pontefice.
Ed ora arriva la notizia della richiesta di grazia avanzata al capo dello Stato italiano. Un gesto dal significato profondo e concreto allo stesso tempo, anche se, come si sa, i tempi della giustizia sono assai diversi dai tempi del perdono cristiano. Ma papa Wojtyla con questo passo, a un mondo di guerre, violenze e sopraffazioni ha indubbiamente indicato una via, la strada del perdono e della riconciliazione cristiana, non con parole astratte, ma partendo dalla sua drammatica vicenda personale, vissuta sulla sua pelle, l'attentato subito a piazza San Pietro. Un unico dubbio, quanti sono pronti a seguirlo?
Giovanni Paolo II con la madre di Alì Agca


CIVITAVECCHIA, IL LAVORO E L'AMBIENTE: IL PAPA VISITA LA CENTRALE ENEL

Ogni anno, in occasione della festa di San Giuseppe lavoratore, il papa visita una fabbrica, un complesso industriale, gruppi di lavoratori. La giornata di San Giuseppe, 19 Marzo 1987, Wojtyla la trascorre in mezzo ai dipendenti della centrale Enel di Civitavecchia, un'occasione che gli permette di ribadire la sua tradizionale solidarietà al mondo del lavoro in genere e, nello stesso tempo, di lanciare un appassionato appello in difesa della natura e dell'ambiente. Tematiche particolarmente sentite in tutto l'interland di Civitavecchia, dove, oltre alla presenza della centrale dell' Enel, a una trentina di chilometri circa c'è il discusso impianto nucleare di Montalto di Castro.
"Ci sono punte di inquinamento dell'ambiente naturale davvero pauroose e preoccupanti", avverte il papa nel suo discorso ai lavoratori di Civitavecchia. "Tale situazione rischia di fare le sue prime vittime proprio tra i lavoratori. A me spetta sottolineare - ragiona con fondata preoccupazione il Santo Padre - il dovere di avere rispetto per i beni che Dio ha creato e ha voluto mettere a disposizione di tutti". A Civitavecchia il Santo Padre a Civitavecchia è accolto da migliaia di cittadini, e da una colorita maifestazione di militanti dei Verdi che liberano centinaia di palloncini con la scritta "Stop all'inquinamento". Per una singolare e piacevole coincidenza, all'arrivo del papa, nel porto è attraccata una nave sovietica, la "Kostantin Simonov" di Leningrado, i cui marinai lo accolgono col tipico saluto delle genti di mare, alzando il Gran Pavese; la stessa fanno tutte le altre navi e imbarcazioni presenti. Ma quando il Pontefice passa davanti alla nave sovietica i saluti dei marinai si trasforma in una ovazione, alla quale risponde con altrettanto calore.
Con il capo protetto da un casco bianco, il papa poi visita gli impianti dell'Enel, soffermandosi a parlare con i lavoratori e ad ascoltare, in particolare, quanti gli illustrano i più gravi problemi della categoria. In molti, oltre ai problemi di natura sindacale e lavorativa, parlano al Pontefice delle preoccupazioni legate all'inquinamento e alla difesa ambientale, in conseguenza della eccessiva presenza nel territorio di Civitavecchia di impianti nucleari. Preoccupazioni che trovano un puntuale riscontro anche nelle parole del Papa.
"Il nostro pianeta - spiega infatti Wojtyla - risulterebbe ben presto inabitabile qualora rinunciasse a cercare con assiduità gli strumenti che possono correggere gli effetti negativi delle varie tecnologie. Bisogna rispondere agli interrogativi circa la sicurezza con un impegno pari a quello espresso finora nella promozione degli interessi energetici e produttivi, al fine di garantire il rispetto e la conservazione di tutte le possibilità e le bellezze dell'universo".
"Noi siamo inseriti in un mondo che va apprezzato e rispettato", conclude il Pontefice, "e non dobbiamo cedere alla tentazione di alterarne gli equilibri. Studiosi e scienziati di ogni parte e tendenza si sentano perciò fondamentalmente impegnati per la crescente domanda di energia; ma tengano conto anche della vitale esigenza che non venga turbato l'essenziale equilibrio della natura". La parte finale del discorso papa Wojtyla la dedicata ai problemi del mondo del lavoro, incentrandola, in particolare, alla "dignità e alla centralità dei valori della persona". Con parole ferme si schiera dalla parte di quanti perdono il posto di lavoro, dei disoccupati, dei giovani alla ricerca della prima occupazione e di chi subisce ingiustizia e rivendica perciò i propri legittimi diritti. "Uomini e donne del mondo del lavoro io vi parlo con grande franchezza: Dio sta dalla vostra parte! La fede in lui non soffoca le vostre giuste rivendicazioni, ma anzi le fonda, le orienta, le sostiene. E Dio resta il supremo garante dei vostri diritti. Davanti al suo tribunale ogni uomo si troverà un giorno per rispondere delle ingiustizie commesse verso i suoi simili". La parte finale della viaggio a Civitavechcia è dedicata a una visita al carcere locale, dove il papa si intrattiene con un centinaio di detenuti, e alla celebrazione della Messa in onore di San Giuseppe davanti a oltre 50 mila fedeli.
Papa Wojtyla visita gli impianti dell'Enel


"REDEMPTORIS MATER", LA SESTA ENCICLICA, DEDICATA ALLA MADONNA

"Pio XII, quando proclamò l'Anno mariano nel 1954, intese mettere in rilievo la santità di Maria. Io, seguendo la linea del Concilio Vaticano II desidero far risaltare la speciale presenza della Madre di Dio nel mistero di Cristo e della sua Chiesa". Sono le parole con cui papa Wojtyla spiega il motivo per cui ha scritto la "Redemptoris Mater", la sesta enciclica del suo pontificato pubblicata il 25 marzo '87, giorno della festa dell'Annunciazione. È il documento più importante di Wojtyla sulla figura della Madonna, alla figura a cui ha dedicato tutta la sua vita e che ora dall'alto del soglio di Pietro costituisce il suo costante punto di riferimento e di ispirazione.
Nell'enciclica, una pubblicazione di di 110 pagine alle quali hanno collobarato anche i teologi dell'Ordine dei Servi di Maria dell'istituto "Marianum", il Santo Padre fa una profonda riflessione sul ruolo spirituale e materiale svolto da Maria nella storia della salvezza dell'umanità e all'interno della Chiesa. Maria, madre di Gesù Cristo e madre di tutti gli uomini, punto di riferimento del suo Figlio, dei primi Apostoli e, nei secoli successivi, di miliardi di uomini che vedono in lei rifugio, appoggio, calore e àncora di salvezza in qualsiasi momento.
L'enciclica, scritta con parole cariche di passione, sentimenti personali, espressioni di alta poesia e puntuali approfondimenti teologici, esce alla viglia di due importanti appuntamenti, il secondo Anno Mariano già indetto dal Pontefice e le celebrazioni del Millennio del battesimo cristiano della Russia. Due attese scadenze, entrambe legate alla figura della Vergine che il Santo Padre ricorda ampiamente nel documento. Qualche osservatore, leggendo il testo integrale, mostra un certo disappunto per il fatto che l'enciclica non dedichi molto spazio al ruolo della donna nella Chiesa e nella società. Ma è un disappunto immotivato perchè, leggendo attentamente le parole di Wojtyla, si capisce chiaramente che nella sua sesta enciclica il Papa ha voluto parlare "esclusivamente" della Madonna, vista come donna, madre di Dio, della Chiesa e di tutti gli uomini, come giovane donna che china il capo davanti all'Angelo che l'annuncia di essere stata "scelta" da Dio per un disegno di salvezza, di amore, ma anche di sofferenza. Affiancare a queste tematiche le altre pur importanti questioni relative alla donna nella Chiesa e nel mondo sarebbe stato, forse, fuori luogo. È lo stesso papa a sgombrare il campo a qualsiasi incomprensione, annunciando nel corso della "Redemptoris Mater" che "l'argomento (sulla donna) sarà approfondito in altra sede. È la promessa di un documento (enciclica? lettera pastorale?) che sarà interamente dedicato al ruolo delle donne.
Sono due, in sostanza, le tracce attraverso le quali si snoda la lettura della sesta enciclica di Karol Wojtyla, Maria donna e madre, e Maria madre di Dio, figura di unione della Chiesa universale. "Alla luce di Maria - scrive il Santo Padre descrivendo l'immagine femminile della Madonna - la Chiesa legge sul volto della donna i riflessi di una bellezza che è specchio dei più alti sentimenti di cui è capace di amare il cuore umano: la totalità oblativa dell'amore; la forza che sa resistere ai più grandi dolori; la fedeltà illimitata e l'operosità infaticabile; la capacità di coniugare l'intuizione penetrante con la parola di sostegno e di ringraziamento".
Quanto al ruolo di unificazione ecclesiale incarnato in Maria, il papa lancia, nell'enciclica, due appelli, ai fratelli cristiani "separati", e ai cristiani d'Oriente, in vista del Millennio del loro battesimo. Il Papa, ovviamente, sa che nelle comunità protestanti fa fatica ad essere pienamente accettata la figura di Maria Vergine. Ecco perchè rivolgendosi direttamente "ai fratelli disuniti" del protestantesimo lancia un forte invito affinchè riconoscano la "nostra Madre comune" e si uniscano ai cattolici e agli ortodossi nella piena devozione alla Madonna. "Le Chiese e le comunità ecclesiali di Occidente", ricorda il Pontefice, riconoscono Maria "come Madre del Signore". "Perchè, dunque - si chiede Wojtyla nella "Redemptoris Mater" - non guardare a lei tutti insieme come alla nostra Madre comune?" Perchè non guardare a Maria come a colei che "prega per l'unità della Famiglia di Dio, che che tutti precede alla testa del lungo corteo dei testimoni della fede nell'unico Signore?". Il Pontefice non nasconde, sempre tra le righe della sua sesta enciclica, il desiderio che l'intera Chiesa cattolica, spinta anche dall'esempio di Maria, "torni a respirare pienamente con i suoi due polmoni: l'Orente e l'Occidente". Ricordando poi che l'Anno Mariano si tiene in coincidenza con il millennio del cristinesimo russo, il Santo Padre scrive: "Vorremmo unirci in preghiera con tutti coloro che celebrano il millennio di questo battesimo, ortodossi e cattolici". Parole che ancora una volte tradiscono l'antico desiderio di papa Wojtyla di poter visitare la Russia.

LA COMMOSSA VISITA ALL'AMICO SANDRO PERTINI RICOVERATO AL POLICLINICO "UMBERTO I"

Il papato di Karol Wojtyla è continuamente segnato da grandi avvenimenti, come le encicliche, i viaggi internazionali, le celebrazioni in San Pietro riprese in mondovisione e seguite da miliardi di persone.
Ma c'è un "altro" Karol Wojtyla, più intimo, più riservato, che è riuscito a farsi largo tra i riti solenni e gli appuntamenti istituzionali, è il papa delle decisioni improvvise, prese fuori dal protocollo ordinario, che con l'andar del tempo hanno sempre più avvicinato Giovanni Paolo II al cuore dei fedeli, dei credenti e dei non credenti. Uno degli episodi che con più efficacia fotografa il Pontefice delle decisioni improvvise e spontanee, è la visita fatta al capezzale dell'ex presidente della Repubblica italiana Sandro Pertini, ricoverato d'urgenza al policlinico "Umberto I" di Roma il 25 Marzo '87. Quando quel giorno (la sala stampa aveva appena pubblicato l'attesa enciclica "Redemptoris Mater") seppe che il presidente si trovava in ospedale, Karol Wojtyla fu preso come da una forte emozione e da un desiderio insopprimibile di scappare via dal Vaticano per correre accanto al suo amico presidente. A chi cercò di dissuaderlo, spiegandogli che una sua visita forse avrebbe potuto provocare un effetto negativo sulla debole fibra di Pertini a causa di una prevedibile agitazione emotiva, il papa rispose con decisione: "Sì, lo so, debbono operarlo, ma io non posso mancare questa visita. Lui mi venne a trovare al Gemelli (subito dopo l'attentato del 13 Maggio '81), fu così caro...Perciò, al mio caro amico Pertini debbo far sentire il mio affetto". Ed infatti, quel pomeriggio del 25 Marzo il Papa si recò al policlinico "Umberto I" intrattenendosi con lui per circa mezz'ora, riuscendo ad "abbracciare il mio vecchio amico", spiegherà alla fine dell'incontro, definito "commovente" dal professor Alessandro Gasperetto, direttore del centro di rianimazione.
All'uscita dal policlinico, il Papa viene letteralmente preso d'assalto da una folla quasi impazzita di fotoreporter e giornalisti. A tutti risponde con un rassicurante "l'ho trovato bene". Qualcuno riesce a chiederli se ha potuto parlare con Pertini. In sua vece risponde il professor Gasperetto: "Si è solo affacciato alla porta della camera, gli è stato moralmente vicino ed ha pregato per lui. Credetemi è stato molto commovente. Pertini lo ha visto, si è emozionato, mi è parso agitato. Fortunatamente gli avevamo dato dosi di sedativo per impedire che la visita psichicamente potesse danneggiarlo. Si può comprendere , ci teneva tanto. Wojtyla aveva gli occhi rossi, quando è tornato sui suoi passi ed ha parlato con la signora Carla Voltolina ha sussurrato: tornerò a trovarlo. Poi un groppo in gola gli ha impedito di parlare ancora".

UN INNO IN DIFESA DELLA VITA NEL DISCORSO DI PASQUA 1987

"L'uomo non deve ridurre sè stesso ad oggetto". È il forte appello del papa lanciato dalla Loggia della Benedizione della basilica di San Pietro nel messaggio pronunciato per la Pasqua, la mattina della domenica 21 aprile '87. Davanti a una gran folla di oltre duecentomila fedeli accorsi ad ascoltarlo nella piazza berniniana e per assistere alla tradizionale benedizione "Urbi et orbi", e a una platea televisiva internazionale di oltre un miliardo di persone, papa Wojtyla parla ancora una volta della vita, della difesa della vita nascente, dal suo concepimento fino alla morte.
La vita, ricorda, è il più grande dono fatto da Dio all'uomo, è un dono che va sempre difeso. Via dunque, è l'appassionato invito di Giovanni Paolo II lanciato nella suggestiva cornice delle festività pasquali, ogni tentazione di morte, di violenza, di sopraffazione, di mancanza di rispetto per ogni singola creatura. Via dunque le tentazioni che possono portare a pratiche che negano la vita, come il ricorso all'aborto e all'eutanasia, ma via anche tutte quelle tentazioni legate ad ogni tipo di sperimentazione nel campo bioetico e nelle manipolazioni genetiche.
La parte più forte e profetica del messaggio assume i connonati di una preghiera rivolta a Dio, uno dei modi più caratteristici usato da papa Wojtyla per parlare e far presa sul pubblico. "Ti preghiamo, Signore, fa che l'uomo dell'era tecnologica - esorta Giovanni Paolo II - non riduca sè stesso ad oggetto, ma rispetti già nel suo primo inizio l'irrinunciabile dignità che gli è propria. Fa che viva, in armonia con il piano divino, l'unica logica che gli si addice, quella del dono da persona a persona in un contesto d'amore espresso attraverso la carne nel gesto che fin dalle origini Dio volle a suggello del dono".
Altrettanto decisa è la condanna delle manipolazioni genetichea. Il Pontefice ne parla in termini poetici, ma non per questo meno incisivi ed espressivi. "L'uomo d'oggi - sono le parole del Papa - riscopra la vita come dono che in ogni sua manifestazione rivela l'amore del padre". "Non si estingua nell'uomo contemporaneo la meraviglia riverente per il mistero d'amore che ne avvolge l'ingresso nel mondo". "Noi veniamo al mondo portando la morte con noi, noi che veniamo segnati dalle nostre madri terrene dalla ineluttabilità della morte, viviamo della potenza dello Spirito", con la quale "attraversiamo i confini della morte che è in noi e ci innalziamo dal peccato alla vita, rivelata, Signore, dalla tua Resurrezione". "Nella tua morte, Cristo, la morte è apparsa inerme di fronte all'amore. E la vita ha vinto. Concedi all'uomo moderno, che la morte - continua il Papa facendo riferimento al suicidio e all'eutanasia - con il suo fascino tenebroso in mille modi tenta ed insidia, concedi che riscopra la vita come dono che in ogni manifestazione rivela l'amore del Padre". Nella parte conclusiva del messaggio pasquale il Santo Padre usa un linguaggio ancora più poetico, segnato da parole che, quanto a concretezza e semplicità, riportano alla mente un annuncio di tipo francescano. Quell'amore del Padre, conclude Wojtyla, che si manifesta specialmente quando la vita "si riversa nei rinati dal fonte battesimale o zampilla in ogni fibra del corpo che si muove, respira, gioisce, quando si dispiega nella multiforme varietà degli animali, o riveste la terra di alberi, di erbe, di fiori".

IL VIAGGIO IN URUGUAY, CILE E ARGENTINA

Uno dei più lunghi e complessi viaggi apostolici affrontati da papa Wojtyla è senza dubbio quello che dal 31 marzo al 13 aprile 1987 lo porta a visitare l'Uruguay, il Cile e l'Argentina. Tre difficili paesi sudamericani. Due, in particolare, il Cile e l'Argentina. Il primo alle prese con il regime dittatoriale di Augusto Pinochet; il secondo, l'Argentina, da poco uscita da una dittatura altrettanto dura, che ha portato morte e sopraffazione, e che vive ancora i drammi del passato materializzatisi con migliaia di "desaparecidos", persone scomode e invise al regime fatte sparire con i sistemi più violenti. Un viaggio dunque delicatissimo, come in molti fanno notare al papa nella vana spertanza di convincerlo a rinunciarvi. Delicatissimo per due particolari motivi: la tentazione dei regimi dittatoriali, specialmente quello di Pinochet, di volersi "servire" della visita pontificia per rafforzare il proprio potere interno, potendo millantare, nei confronti delle opposizioni, un inesistente appoggio politico della Santa Sede. L'altro motivo di preoccupazione sono le possibili manifestazioni di piazza che i gruppi più estremistici dell'opposizione potrebbero organizzare approfittando delle grandi adunanze alle Messe celebrate dal papa. Timori puntualmente materializzatisi in Cile, dove Giovanni Paolo II arriva dopo la breve tappa di Montevideo, la capitale dell'Uruguay, nella quale sosta tra il 31 marzo e il primo aprile, incontrando autorità civili e religiose, salutato al suo passaggio sempre da migliaia e migliaia di fedeli.
Appena arriva a Santiago del Cile, il pontefice trova subito un clima surriscaldato. Da una parte le organizzazioni di base e i partiti di opposizione pronti a denunciare al papa il regime di Pinochet, tenuti a freno da un esercito in assetto di guerra; dall'altra, lo stesso Pinochet, che accoglie con tutti gli onori di un capo di Stato il Santo Padre al palazzo della Moneda. È la residenza ufficiale della presidenza cilena, quel palazzo quasi raso al suolo dai militari nel 1972 e dove trovò la morte Salvator Allende, il presidente democraticamente eletto prima della presa del potere di Pinochet, che quando incontra il papa sprizza soddisfazione da tutti i pori. E il papa, neoagnello sacrificale, gli si pone a fianco. Come potrebbe fare diversamente? Si tratta pur sempre del presidente cileno. Gli è fianco anche quando Pinochet mette a segno il suo colpo di teatro più prestigioso, l'affacciata dal balcone del palazzo presidenziale, da dove il pontefice con un mesto sorriso e un gesto lieve saluta la folla sottostante. È l'amaro calice bevuto in Cile da Karol Wojtyla, il grande sacrificio volutamente affrontato nel tentativo di portare una parola di pace e di riconciliazione nazionale in un paese schiacciato da troppi anni da una durissima dittatura. Messaggio di pace puntualmente lanciato alla Messa celebrata allo stadio di Santiago, davanti a migliaia e migliaia di cittadini. Sfidando anche l'impossibile, con grande coraggio e determinazione porta a termine il rito anche quando tra polizia e gruppi di opposizione scoppiano furibondi scontri. Malgrado i lacrimogeni, le cariche dei militari, i tanti contusi e feriti, papa Wojtyla alza il tono della voce al microfono, gridando, implorando pace e riconciliazione. Riesce persino a portare a termine la cerimonia di beatificazione di Teresa de Los Andes, una monaca carmelitana cilena morta nel 1920 a 19 anni.
Durante l'omelia del papa, l'aria circostante diventa quasi irrespirabile per le bombe lacrimogene lanciate da militari e poliziotti contro i gruppi di opposizione che nel frattempo hanno tappezzato lo stadio e la piazza di scritte contro Pinochet. Ma le parole di Wojtyla, malgrado i tafferugli e le sirene delle ambulanze, rimbalzano ugualmente da una parte all'altra dello stadio e, quel che più conta, arrivano alle orecchie di chi deve sentire. "Appoggio i vescovi del Cile - ripete più volte il Pontefice - appoggio i vescovi cileni nei loro sforzi di concordia. Non si può andare avanti, esasperando le divisioni". Riprendendo, poi, uno dei più frequenti slogan lanciati dall'espiscopato cileno, ricorda che "la vocazione del Cile è la concordia, non il conflitto". Alla popolazione chiede con forza "la conversione dei cuori", al potere politico, "la riforma delle strutture ingiuste". "La riconciliazione - avverte ancora richiamando le coscienze di tutti i cileni - implica per tutti una coscienza più viva della dignità umana. Esige anche il rifiuto di ogni forma di violenza e di terrorismo, da qualunque parte vengano. Essi precipitano i popoli nel caos. La riconciliazione, come la propone la Chiesa, è il cammino genuino della liberazione cristiana, senza ricorso all'odio, senza ricorso alla lotta programmata di classe, alle rappresaglie, alla dialettica inumana che non vede negli altri dei fratelli, ma soltanto dei nemici da combattere. Mai ci stancheremo di ripetere che la violenza non è cristiana, né evangelica, né è la strada per risolvere i problemi reali degli individui e dei popoli". Per la riconciliazione del Cile il Papa in seguito eleva speciali preghiera a Dio e alla Madonna nel santuario nazionale cileno di Maipù. "Sia il Cile - prega Wojtyla - una patria riconciliata nel perdono e nel dimenticare le offese. Il Cile percorra sentieri di pace e di concordia, di progresso, di giustizia, di libertà".
Un altro forte riferimento alla tragedia cilena, il papa lo fa nell'incontro con i giovani, accorsi in oltre 80 mila, allo stadio di Santiago, quello stadio che fu usato dagli uomini di Pinochet come campo di concentramento per reprimere i prigionieri politici. Wojtyla proprio durante la Messa parla ai giovani cileni del loro stadio, ricordando che "in epoche passate" è stato " luogo di competizioni, ma anche di dolore e di sofferenze...".
Altri appassionati appelli alla pace e alla riconciliazione nazionale vengono lanciati dal papa nelle successive tappe cilene di Puerto Montt e di Punta Arenas. A tutti offre la pace cristiana, la riconciliazione voluta da Cristo col sacrificio estremo della Croce, a tutti ricorda il biblico comandamento del "non uccidere", l'obbligo civile e morale di non sopraffare, non fare della violenza l'unico mezzo per combattere le ingiustizie. A Puerto Montt, in particolare, richiama all'ordine anche quegli ecclesiastici della Chiesa popolare che sulla spinta delle esasperazioni, delle ingiustizie sociali e delle violenze del potere, mentre predicano l'annuncio evangelico si fanno anche suggestionare da sistemi di lotta che il papa non è disposto a tollerare. E così, il saluto finale del pontefice alla nazionale cilena si trasforma in una accorata preghiera a combattare il male da qualsiasi parte venga. "Resisti, o Cile - grida il papa - alla tentazione anticristiana dei violenti che disperano nel dialogo e nella riconciliazione, sostituendo le soluzioni politiche con il potere della armi e con l'oppressione ideologica. Resisti alla seduzione delle ideologie che pretendono di sostituire la visione cristiana con gli idoli del potere e delle violenza, della ricchezza e del piacere. Resisti, o Cile, alla corruzione della vita pubblica e dei dei mercanti di droga e di pornografia che corrodono la fibra morale, la resistenza e la speranza dei popoli...Resisti all'egoismo dei soddisfatti che sono legati al presente privilegiato di una minoranza opulenta, mentre vasti settori del popolo sopportano condizioni di vita difficili se non drammatiche, e versano nella miseria, nella emarginazione e nella oppressione. Resisti, o Cile, alle interferenze di potenze straniere, che mirano ai propri interessi economici, interessi di parte o ideologici, e riducono i popoli in oggetti di manovre al servizio delle proprie strategie".
Altrettanto appassionati gli interventi pubblici fatti in Argentina, dove l'arrivo del papa è preceduto da tensioni provocate da formazioni estremistiche sia di destra che di sinistra, preoccupate che la visita di Wojtyla si possa trasformare in un evento "troppo politico". Ma, come sappiamo, niente e nessuno ferma il papa, specialmente quando sa che la sua azione pastorale viene letta con le lenti del preconcetto o della disinformazione. E così anche quando mette piede a Buenos Aires, accolto subito dal presidente argentino Alfonsin alla Casa Rosada, la residenza ufficiale della presidenza, Wojtyla sa che dovrà affrontare anche argomenti scomodi. Fa niente se qualcuno storcerà il naso, ma il papa andrà ugualmente avanti per la sua strada. E così a Cordoba lancia lo slogan "battaglia per l'amore" per condannare quanti attaccano, anche con legiferazioni, l'istituto della famiglia. Sono parole pesanti come macigni e prive di timori riverenziali verso i padroni di casa, il Parlamento argentino, che si appresta a votare sì alla legge sul divorzio. "Ammettere il divorzio - si lamenta il Papa - significa scardinare qualsiasi altro valore della società, vuol dite non tener fede a niente. Non ammattere che l'amore coniugale può e deve durare fino alla morte, significa negare la capacità di autodonazione totale e definitiva, equivale a negare ciò che è più profondamente umano: la libertà e la spiritualità". A Tucuman, altra località argentina visitata, il Pontefice addita, sempre in termini di forte condanna, un altro elenco di mali che possono invadere il mondo con conseguenze irreparabili: egoismo, invidia, sensualità, ingiustizia, lussuria, inimicizia, rissa, ubriachezza. Lista completata con l'aperta condanna per tutte quelle pratiche che negano la vita fin dal primo concepimento, come l'aborto, la contraccezione, e qualsiasi forma di cultura di morte, a partire dall'eutanasia.
A Viedma, la futura capitale federale argentina, infine, Wojtyla si incontra con gli indios Mapuches. Anche questo non è un incontro facile, in quanto il papa di Roma viene accolto come il capo di una Chiesa che, nei secoli passati, almeno indirettamente per colpa di missionari ed ecclesiastici al seguito dei conquistadores, non ha fatto molto per impedire la distruzione di culture e intere popolazioni indigene del sudamerica. I capi Mupaches lo ricordano con molta fermezza al papa venuto da Roma. "Sapeva, Santità - si sente infatti chiedere Karol Wojtyla - che noi indios Mapuches e i campesinos, al tempo della conquista militares spagnola, siamo stati sottomessi da oppressori, dei quali la Chiesa è stata complice?". Una domanda tremenda, anche se non inaspettata, alla quale si incarica di rispondere, in un primo momento, lo stesso vescovo di Viedma, monsignor Miguel Esteban Hesayne. "Noi non abbiamo ancora riparato il nostro peccato storico - ammette il presule amico degli indios davanti a Wojtyla - il padrone che sottometteva e disprezzava era il bianco cristiano. Ancora oggi questi indios sono confinati nelle riserve". Il papa ascolta e annuisce. La sua presenza in questa terra non può non suonare come una esplicita ammissione di sincera consapevolezza di quanto sia stato duro e lungo l'antico cammino del popolo indio. La visita in Argentina termina con una lunga serie di incontri a Mendoza, Cordoba, Salta, Currientes, Paranà, Rosario e ancora Buenos Aires.
Visita di Papa Wojtyla in America Latina


IL VIAGGIO IN GERMANIA E LA BEATIFICAZIONE DI EDITH STEIN

Con l'eco ancora viva del viaggio in sudamerica concluso poco più di due settimane prima, papa Wojtyla dal 30 aprile al 4 maggio 1987 visita per la seconda volta la Germania Federale. La prima volta che si recò nella repubblica tedesca fu nel 1980, quando colpì il mondo intero per la profonda commozione con cui visitò il campo di concentramento nazista di Auschwitz. Anche questo secondo viaggio si presenta a forte connotazione antinazista, nel senso che i maggiori appuntamenti in programma riguardano la beatificazione della carmelitana Edith Stein, una giovane ebrea convertita al cattolicesimo uccisa ad Auschwitz. Beatificherà, inoltre, un gesuita, Rupert Mayer, perseguitato anch'egli dai nazisti, e terrà una solenne celebrazione sulla tomba di uno dei cardinali tedeschi cattolici, Von Galen, che più si opposero a Hitler. Il nuovo viaggio in Germania prevede, inoltre, importanti incontri a Colonia, Bonn, Munster, Essen, Monaco e Ausgburg.
Appena arriva a Colonia, prima tappa della visita, Wojtyla pronuncia una forte condanna dei crimini nazisti, definendoli un "periodo di oscurità" della storia. Tema ripreso e rilanciato durante la beatificazione di Edith Stein. Nel nominarla fa grande attenzione a non ferire ulteriormente la sensibilità delle comunità ebraiche, evitando di accentuare troppo le sue origini. Esalta, invece, con grande cura la duplice dimensione esistente in Edith Stein, la sua nascita ebraica e la sua fede cattolica. "Essa - spiega - in solidarietà col popolo ebreo tormentato, ha percorso come ebrea e come suora cattolica, nella speranza cristiana, il doloroso cammino del suo popolo verso l'annientamento".
Nella tappa dedicata all'omaggio ai vescovi antinazisti, il Papa prega sulla tomba del cardinale Von Galen, a Munster, affiancandolo a un altro presule cattolico che combattè pubblicamente il nazismo, l'arcivescovo di Rottenburg, Giovanni Batitsta Sproll. "Von Galen - ricorda - ha levato senza paura la propria voce contro una macchina di morte distruttrice, per la tutela del diritto alla vita e dell'inalienabile dignità di tutti gli uomini". Durissimo, come sempre, il suo giudizio sul nazismo. "Con la presa del potere da parte del mazionalsocialismo per mezzo di Hitler, si è giunti a una svolta fatale, in cui un partito politico portò, nella follia di un nazismo disumano, a una ideologia totalitaria e addirittura a una religione alternativa. La conseguenza fu una lotta accanita, sempre più aperta, contro la fede cristiana e la Chiesa cattolica. Il nazismo portò a una persecuzione sciagurata dei cittadini non ariani, soprattutto degli ebrei, all'assassinio di innumerevoli innocenti nelle prigioni e nei campi di concrentramento, e alla sciagurata seconda guerra mondiale, che ha causato a molti paesi e a molti popoli sofferenze indicibili, morte e distruzione".
A Colonia il Papa si incontra ancora con il Consiglio centrale degli ebrei, ai cui membri auspica che l'Europa sia "animata dai principi ideali ebraici e cristiani". Apprezzamento per le sue parole antinaziste arrivano dal presidente del Consiglio, Werner Nachmann, dichiaratosi anche egli favorevole a una più stretta collaborazione ebraico-cristiana nel vecchio continente. Il tema della condanna nazista e della lotta ai nascenti razzismi si affaccia con decisione anche all'incontro di Essen. Qui Wojtyla dipinge l'ideologia hitleriana con gli appellativi più duri e disparati: "Razzismo satanico, ideologia demenziale, selvagge sevizie, inferno della terra, tempo di menzogne, orrenda macchina repressiva di uno Stato dittatoriale...". Non dimentica, tuttavia, di condannare anche le moderne ideologie di morte, come quelle, denuncia, che portano alla diffusione dell'aborto, una piaga, lamenta Wojtyla, che nella sola Germania Federale porta ogni anno a 300 mila interruzioni volontarie di gravidanze. Rifacendosi al quinto Comandamento, "Non uccidere", definisce l'aborto "un omicidio volontario di una vita umana innocente". E per bloccarlo chiama direttamente in causa i politici tedeschi, a partire dai Verdi e dai movimenti pacifisti e femministi. I problemi del mondo del lavoro vengono affrontati mella visita alla città di Bottrop, nella Renania, dove parla ai rappresentanti dei lavoratori delle miniere e delle industrie. Anche in questa circostanza, lancia un pressante appello contro il degrado della natura, contro l'industria degli armamenti e le manipolazioni genetiche. L'ultima tappa del secondo viaggio tedesco si svolge a Spira, dove si incontra con le comunità cristiane. Nel suo intervento denuncia in particolare la mancanza di libertà di religione ancora esistente in molti paesi europei, specialmente nel blocco dell'Est. Da qui la pressante richiesta fatta a tutti i capi di Stato affinchè tolgano i divieti di culto in quei paesi dove non c'è ancora la libertà di professare una propria fede. A conclusione della visita, un grande appello affinchè, scavalcando confini e muri, si possa arrivare almeno all'Europa delle Chiese unite, per la quale i primi ad essere interpellati sono proprio i cristiani.

IL PAPA, PRIMATE D'ITALIA, STIMOLA I VESCOVI ITALIANI

Il papa è capo e guida della Chiesa universale, ma anche capo e guida della Chiesa italiana, di cui è primate. Giovanni Paolo II non lo dimentica mai. Fin da quando è stato eletto al soglio di Pietro, il Pontefice ha fatto della sua paterna attenzione verso l'Italia una delle principali caratteristiche del suo pontificato. Un impegno pastorale e civile che si materializza in genere con le periodiche visite alle chiese diocesane, alle parocchie romane e, in particolare, durante le visite ad limina in Vaticano dei vescovi italiani. Ma, nel corso dell'anno, ci sono due particolari momenti comunitari: le assemblee generali di primavera e d'autunno della Conferenza Episcopale Italiana (CEI), che "servono" al Papa a fare il punto della situazione socio-politica e pastorale del nostro Paese. I messaggi che il Pontefice diffonde in queste occasioni presentano puntuali riferimenti allo stato di "salute" dell'Italia e sono attentamente recepiti dai vescovi, come è giusto che sia, e diventano immancabilmente oggetto di analisi e di osservazione anche da parte di osservatori sociali, studiosi, politici e di quasi tutta la stampa, specialmente quella laica.
La stessa cosa avviene nei confronti del discorso tenuto il 21 maggio 87 ai vescovi italiani riunini in assemblea, ai quali il Santo Padre legge un atteso documento destinato ad avere una vasta eco anche al di fuori della realtà ecclesiale, trovandosi il Paese alla vigilia di un importante appuntamento elettorale.
Ancora una volta le parole di papa Wojtyla si diffondono come un salutare colpo di frusta per tutto il popolo cattolico, chiamato alla coerenza e al rispetto delle direttive pastorali dei loro vescovi. Il cattolico, è il richiamo del papa, non abbia paura di essere coerente con la sua fede e le sue convinzioni, in qualsiasi ambito e di fronte a qualsiasi scelta. Non un discorso politico, come in genere gli osservatori tentano di leggere le parole del papa, ma semplicemente uno stimolo alla coerenza della fede e al coraggio. Quanto alla "tradizione di impegno sociale e politico dei cattolici italiani", il papa, nel suo discorso all'assemblea della Cei, ricorda che "è una componente fondamentale della vita culturale, sociale e politica della nazione". "Nessuno dovrà dunque meravigliarsi", esorta con forza il Santo Padre, "se i cittadini nelle proprie decisioni si ispireranno sempre alle loro convinzioni profonde, docili alla guida dei loro Pastori". Tali convinzioni, ricorda, si traducono in una costante fedeltà di ciascun cattolico alla promozione concreta dei diritti umani, sociali e politici.
Il Santo Padre con coraggio non disdegna di chiamare anche per nome e cognome le cose che a suo parere "non vanno" nel costume socio-politico del paese. Lamenta infatti un sostanziale regredire, in questi ultimi anni, nell'ordinamento sociale e legislativo italiano "del valore dell'indissolubilità del matrimonio e l'affermarsi, a livello anche di pubblici poteri, di un atteggiamento non sempre favorevole alla tutela delle esigenze primarie della famiglia legittima". Pur prendento atto di una certa crescita di sensibilità nel Paese verso i problemi legati ai diritti umani, alla pace, alla qualità della vita, il Pontefice lamenta il diffondersi di una pericolosa "cultura di morte" legata a mali come aborto, eutanasia e manipolazioni genetiche.
Il cattolico, è l'incoraggiamento del papa, torni ad essere quel punto di riferimento essenziale che "durante e dopo il secondo conflitto mondiale", contribuì alla ripresa economica, politica e sociale del paese. Torni ad essere quel punto di riferimento morale e politico che, pur tra tanti ostacoli e deficienze, contribuì concretamente al riordinamento delle istituzioni socio-politiche del Paese e alla rinascita della libertà e della democrazia. Questo impegno da parte dei cattolici italiani, ricorda il Papa, "è stato intenso, benchè non abbia sempre raggiunto i risultati sperati, non di rado a motivo di umane manchevolezze". "Tuttavia - è la conclusione del Pontefice - molti progressi sono stati fatti, grazie anche all'apporto dei cattolici, nella formulazione legislativa e nella promozione concreta dei diritti umani, sociali e politici".

IL VIAGGIO IN PUGLIA E LA PREGHIERA SULLA TOMBA DI PADRE PIO

Con l'eco ancora viva del discorso tenuto alla assemblea dei vescovi, il Papa inizia un nuovo viaggio pastorale in Italia, e precisamente in Puglia, dal 23 al 25 maggio 1987. Torna, quindi, al contatto diretto con la "diletta Italia", come è solito ripetere, visitando una delle regioni meridionali più ricche di storia, di testomonianze religiose, ma anche di problemi sociali. Tra i principali momenti del viaggio (il sessantacinquesimo in Italia), la preghiera sulla tomba di Padre Pio, a San Giovanni Rotondo, l'incontro con i lavoratori di Cerignola e la visita al santuario di San Michele Arcangelo a Monte Sant'Angelo.
Andando in Puglia, papa Wojtyla non poteva mancare di recarsi sui luoghi di Padre Pio, un santo verso il quale nutre da sempre una particolare devozione. Non è la prima volta che si reca a San Giovanni Rotondo. Karol Wojtyla aveva già fatto questo viaggio quando era un giovane prete e poco prinma di diventare papa. Pare che sia stato lo stesso Padre Pio a predire a don Karol che "un giorno sarebbe diventato Papa". Un dato, comunque, è certo, il Pontefice si è sempre sentito fortemente legato al santo cappuccino di San Giovanni Rotondo. Come ha ampiamente dimostrato durante la nuova visita al santuario, dove ha sostato e pregato nei luoghi di Padre Pio (la cella, il confessionale, la cappella e, principalmente, la tomba). Una visita, quindi, personale, intima, che ha riportato l'"uomo" Wojtyla ai suoi ricordi passati e, nello stesso tempo, gli ha permesso di ritrovare parte delle sue antiche radici spirituali.
Diverso il contenuto delle altre tappe pugliesi. Al santuario di San Michele Arangelo, papa Wojtyla si "serve" della figura dell'angelo vincitore del Demonio per incitare i fedeli a combattere e a vincere i nuovi mali contemporanei. Come un attento catechista, il Pontefice non tralascia di rievocare il racconto biblico sulla lotta che l'Arcangelo Michele intraprese contro Satana, poi cacciato dal Paradiso, per aver capeggiato la rivolta a Dio degli angeli ribelli. Grazie alla forza e alla determinazione di Michele, ricorda papa Wojtyla, "colui che chiamiamo Diavolo e Satana e che seduce tutta la terra, fu precipitato sulla terra e con lui furono precipitati anche i suoi angeli".
"Questa lotta", avverte il Pontefice, "è attuale ancora oggi, perchè il Demonio è tuttora vivo e operante nel mondo", ed è causa del "disordine che si riscontra nella società, delincoerenza dell'uomo, della frattura della quale lo stesso uomo è vittima". A Troia, vicino a Foggia, rievoca le antiche gesta delle popolazioni locali contro gli invasori saraceni. Un ricordo non casuale: se ieri, fa capire il papa, si è combattuto contro le forze nemiche, oggi si deve fare altrettanto contro "altre" forze nemiche, che non sono i saraceni, ma altri "pericoli, tentazioni striscianti, certe ieologie di ispirazione materialista e consumistica". Tali ideologie, ricorda il Papa, "non di rado inculcano se non una mentalità anticristiana, perlomeno indifferente nei confronti dei massimi problemi dell'esistenza e della visione cristiana della vita e della storia". Sono questi i nuovi saraceni contro i quali occorre combattere. "Occorrono - secondo quanto suggerisce il santo Padre ai fedeli di Troia - i necessari antidoti a questo continuo pericolo di sottile avvelenamento delle intelligenze e dei cuori".
Cosa fare? Il suggerimento del Papa è questo: "Dobbiamo filialmente e docilmente ascoltare la Chiesa", seguirla sempre "in quello che essa dice, ci trasmette e ci insegna mediante il magistero del successore di Pietro e dei vescovi. Chi li ascolta, ascolta Cristo. Chi li disprezza, disprezza Cristo e Colui che ha mandato Cristo", cioè Dio Padre. Altrettanto incisive le parole pronunciate a Foggia all'incontro con i giovani: "La Chiesa appare spesso un segno di contraddizione, contro cui si levano dissenso e opposizioni. C'è persino chi la ritiene una struttura inutile e superflua. Non lasciatevi tentare dalle accuse e dai facili giudizi negativi sulla Chiesa. Essi sono spesso il frutto di vieti preconcetti e di una ostilità talvolta metodica e astuta, che è rivolta di fatto contro la fede, ma chi si scaglia in particolare contro la Chiesa cattolica, lo fa perchè essa realizza la presenza più incisiva della dimensione religiosa nella nostra società".
Infine l'incontro con il mondo del lavoro a Cerignola, l'ultimo prima di rientrare in Vaticano. Parlando ai lavoratori il Papa ricorda che la Chiesa è "sempre" dalla loro parte, vicina ai loro disagi e ai loro sacrifici. Agli uomini di governo, ai politici, agli imprenditori ai sindacati, ricorda infine che il loro primario "impegno" deve essere la soluzione dei problemi della disoccupazione, specialmente quella giovanile, definita "un male morale" che interroga le coscienze dell'intera società.

PAPA WOJTYLA AL PONTIFICIO CONSIGLIO PER LA FAMIGLIA: "IL MATRIMONIO È L'ANTIDOTO ALL'ABORTO"

Il matrimonio cristiano baluardo contro le insidie del nostro tempo che minacciano la stabilità del vincolo nuziale. Il Pontefice non si lascia sfuggire nessuna occasione, pubblica o privata, per pronunziare parole in difesa di quella che egli ha sempre considerato nucleo portante della società, la famiglia cristiana. Quando poi si trova al cospetto di organismi che istituzionalmente seguono i problemi legati al focolare domestico, come il Pontificio Consiglio per la Famiglia, allora le parole diventato ancora più mirate, incisive, dirette al cuore degli interlocutori, del popolo cattolico e dell'intera società. Sì, perchè quando un Papa, dall'alto della sua cattedra, affronta questioni delicate e profonde come la famiglia, il messaggio spontaneamente va a colpire anche quelli che cristiani non sono, i cosiddetti lontani, gli indifferenti. La famiglia è un istituto universale, ricorda il Papa, una realtà che trova la sua forza espressiva nell'insegnamento cristiano, figlio diretto di quel Gesù Cristo che, figlio di Dio, volle nascere non certamente per caso nella famiglia di Giuseppe e Maria.
Ebbene, questo istituto familiare oggi è troppo spesso chiamato ad affrontare "tristi difficoltà", avverte il Papa ai rappresentanti del Pontificio consiglio per la Famiglia ricevuti in Vaticano il 29 maggio '87. Oggi, si lamenta, troppe "tristi difficoltà" stanno minando le fondamenta dell'unione matrimoniale. E tra i mali più gravi e inquietanti papa Wojtyla cita le frequenti separazioni coniugali, il "dramma dei figli dei genitori separati" ed i "giovani sollecitati a buttarsi in esperienze" di coppia, "senza curarsi che solo il matrimonio giustificherà la loro intima unione".
Contro questi cedimenti, il Pontefice indica come modello la famiglia nata dall'insegnamento cristiano, definita "esempio" per tutti, laici compresi, perchè "gli sposi cristiani" sono chiamati a svolgere una funzione illuminante "nei confronti dei momenti di dubbio e di oscurità", incoraggiando "altri sposi e altri focolari tentati dallo scoraggiamento, dall'egoismo, dall'infedeltà, a volte anche dal divorzio e dall'aborto". In questo modo, ragiona il Santo Padre, oltre ad essere di esempio e di aiuto per tutta la società, la famiglia cristiana contribuisce alla costruzione della stessa Chiesa attraverso la comunione coniugale, specialmente quando "l'unione intima di corpi e di spiriti fruttifica in modo responsabile con la nascita dei figli".
Ed ancora, la Chiesa riceve linfa dagli sposi cristiani quando "l'amore per il coniuge resta fedele malgrado la tentazione dell'infedeltà e dell'abbandono, e persino quando, se non ci sono più ragioni umane per amare, si continua tuttavia ad amare con la forza del Cristo".

IL QUARTO VIAGGIO NEGLI STATI UNITI E IL SECONDO IN CANADA

È l'America la meta del quarto e ultimo viaggio internazionale compiuto da papa Wojtyla nell'87. La grande America del nord, il Far West (con una puntatina anche tra i pellerossa del Canada) per sette giorni dall'8 al 14 giugno si stringono intorno al pontefice venuto da Roma per acclamarlo, ascoltarlo, parlargli dei problemi più disparati, tipici di una società opulenta, ma carica di differenze e contraddizioni. Come al solito ricco e frenetico il programma della visita. Prima tappa, il Texas, seguono poi nell'ordine Louisiana, Florida, South Carolina, Arizona, California. Decine gli incontri in agenda. Attesissimi quelli con i pellerossa, come pure le celebrazioni con le comunità ispaniche, con gli afro-americani, i milioni di cattolici statunitensi che a volte costituiscono un pò la spina al fianco della Santa Sede in materia di morale sessuale. Mobilitate, quindi, anche le più attive organizzazioni gay, anche loro attente alle parole del Papa, magari nella ardita speranza di trovare un Karol Wojtyla un pò più comprensivo sul fronte della contraccezione. Il flagello dell'aids continua a mietere vittime in America e si spera che il Papa possa dire qualche cosa anche su questo versante.
Imponente l'organizzazione. Diciannovemila i giornalisti al seguito; sei milioni i dollari previsti dai servizi di sicurezza per la protezione della persona del Pontefice, l'industria dei gadget e dei ricordini impazzita, con l'immagine di Wojtyla presentata in tutte le salse, quasi con irriverenza, come uno dei tanti "prodotti" commerciali in circolazione. Del resto, l'America è questa, il Papa lo sa. È una specie di "pedaggio" che va pagato per poter parlare ai milioni di americani in attesa, sia lungo le strade, che davanti ai teleschermi.
"Vengo come pellegrino, Dio benedica l'America", dice Wojtyla al suo arrivo a Miami, accolto dal presidente Ronald Reagan e della moglie Nancy. L'incontro è affettuoso, così come affettuose e cariche di forza sono le prime parole dette dal Papa nel suo indirizzo di saluto. "Come i molti che prima di me sono venuti in questa terra - confessa il Pontefice ai milioni di americani appena sceso dall'aereo - io vengo come un pellegrino. Vengo come un pastore per parlare e pregare con i cattolici. Vengo come un amico di tutta l'America e di tutti gli americani". "Vengo a proclamare il Vangelo a tutti coloro che scelgono liberamente di ascoltarmi, vengo a raccontare ancora una volta la storia dell'amore di Dio nel mondo". Ricorda ancora di essere prima di tutto "amico della pace e della giustizia, del malato e del moribondo, di coloro che inciampano, cadono e si rialzano", di coloro che cercano e trovano, e di coloro che ancora non hanno trovato la chiave della vita.
Il tour americano offre anche l'occasione al successore di Pietro di vedere da vicino come sta la salute del mondo, potendo parlare, sia negli incontri ufficiali, che specialmente nei colloqui riservati, con uno dei più grandi protagonisti della scena politica mondiale, Ronald Reagan. Rapporti Est-Ovest, trattative per il disarmo tra Urss e Usa, la piaga del Libano, i vari conflitti in corso in America Latina, in Medio Oriente: queste ed altre tematiche internazionali trovano, durante il viaggio americano del papa, costantemente posto accanto alle problematiche sociali, alla piaga dell'emarginazione che, anche in un paese ricco, pesa su tanta parte della popolazione costretta a vivere ai margini della società. Il viaggio americano offre l'opportunità a Wojtyla di parlare dell'olocausto e delle persecuzioni razziali durante i colloqui avuti con gli esponenti delle comunità ebraiche statunitensi. Altro tema delicato, l'intolleranza e la discrinminazione razziale, che in una società come l'America trova sempre grande e interessato ascolto, specilmente tra i milioni di cittadini di etnie diverse (africani, asiatici, europei) costretti a fare i conti con problemi di natura razziale. A Miami, come sempre, ali di folla festante lungo le strade al passaggio del corteo papale. Tre i momenti principali della visita: l'incontro con Reagan, con la comunità ebraica e con il clero americano. Quest'ultimo assai atteso e "delicato", per esplicita ammissione dello stesso Wojtyla. È notoria, infatti, l'attenzione prestata dal clero statunitense per le tematiche morali e sessuali, per gli interrogativi che di tanto in tanto spuntano sul celibato sacerdotale e per il ruolo della donna nella Chiesa. Tematiche che puntualmente spuntano nell'incontro con i circa 700 sacerdoti accorsi all'incontro di Miami. A tutti il pontefice risponde col Vangelo in mano. Indicando nelle verità evangeliche lasciateci in eredità da Cristo la chiave per risolvere anche i quotidiani problemi.
Carica di suggesione la visita a New Orleans, nel profondo sud, dove davanti a migliaia di persone rilancia con rinnovato vigore la condanna del razzismo e porta ad esempio l'opera e il sacrificio di un martire come Martin Luther King. Al suo passaggio, battimani, suoni, canti a ritmo di jazz. Wojtyla non disdegna di stringere mani, salutare e toccare quasi fisicamente la folla plaudente, con comprensibile affanno dei servizi di sicurezza. Di Martin Luther King ricorda in particolare "il ruolo provvidenziale da lui svolto nel contribuire al giusto miglioramento delle condizione dei neri americani". Toccanti le parole dedicate alla comunità afro-americana. "In questa nazione prospera, impegnata dai padri fondatori alla dignità ed eguaglianza di tutti, la comunità nera si vede addossare una quota sproporzionata delle privazioni economiche. Troppi vostri giovani partono sfavoriti - aggiunge Wojtyla - nelle loro richieste di una istruzione qualificante e di un lavoro giustamente remunerato. La Chiesa non può mai tacere di fronte alle ingiustizie".
A Columbia, nella Carolina del Sud, il viaggio assume anche connonati ecumenici. Qui il Papa si incontra con i rappresentanti delle altre confessioni cristiane. Si intrattiene con i cosiddetti Predicatori della Bibbia. Ha pregato insieme a loro, soffermandosi anche con l'ex presidente Jimmy Carter, leader di una comunità battista. Una associazione interreligiosa, composta da cristianai di tutte le confessioni, cattolici compresi, gli presenta un documento contenente l'invito a un autorevole pronunciamento contro la pena di morte. Ma il papa, in terra d'America, non si limita a denunciare le discriminazioni razziali o le pur gravvissime ingiustizie legate alle supposte differenze provocate dal diverso colore di pelle. A San Antonio, nel Texas, parlando a messicani, portoricani, cubani, salvadoregni e nicaraguensi, invita le varie comunità a integrarsi fra loro e a sentirsi parte integrante dell'intero corpo della nazione. La grande sfida a cui sono chiamati i cattolici ispano-americani, è l'esortazione di Wojtyla, "è quella dell'integrazione nella comunità statunitense senza perdere le proprie radici. Soprattutto alla Chiesa sta a cuore che i cattolici emigrati preservino la fede cristiana e la tradizione". Nella ricca Phoenix, in Arizona, si trova al cospetto di altri problemi, il più drammatico dei quali è l'aids, il morbo che negli Usa ha già fatto più di 23 mila vittime. "Coi malati di aids - dice - siate come il buon Samaritano". Tema ripreso parlando ai membri di una associazione per l'assistenza sanitaria, ai quali ricorda che "chi cura i malati di aids vive in prima persona la parabola del Samaritano". Accoglienza e amore, dunque, è la "ricetta" dettata da Wojtyla per chi ha la sfortuna di essere colpito dal morbo del secolo.
L'America è anche cinema, star-system e comunicazione. Anche questa America si è incontrata col papa. Succede naturalmente a Los Angeles, i cui rappresentanti del mondo delspettacolo e dei mass media, circa 1.500 persone tra attori, giornalisti e produttori, lo ricevono in un grande salone del Registry Hotel. Il meeting viene usato da Wojytla per sottolineare le responsabilità morali che gravano sulle spalle di chi lavora nel campo delle comunicazioni e dello spettacolo. "Voi esercitate una profonda influenza nella società. Centinaia di migliaia di persone - ricorda - guardano i vostri film e i vostri programmi televisivi, ascolta no le vostre voci, cantano le vostre canzoni e rispecchiano le vostre opinioni. È un fatto rilevante che le vostre decisioni, anche minime, possano avere un impatto anche globale". Le questioni più strettamente ecclesiali, alla luce delle problamatiche della società americana, vengono infine affrontate nell'incontro con i trecento vescovi statunitensi alla missione di San Fernando a una quindicina di chilometri di Los Angeles. Anche in questa occasione Wojtyla ribadisce con forza il magistero della Chiesa nei confronti di tematiche delicate come il sacerdozio femminile, il celibato dei preti, la contraccezione, la condanna dell'aborto, dell'eutanasia e dell'omosessualità. Rispondendo, quindi, direttamente e indirettamemte alle rivendicazioni sollevate anche con manifestazioni di protesta durante il viaggio americano, specialmente a Los Angeles, allestite da organizzazioni e movimenti cattolici abortisti ed associazioni di omosessuali. La Chiesa, fa capire il Papa, non è una sorta di supermercato della fede sensibile alle mode e ai cambiamenti dei costumi. Il viaggio si conclude con le importanti tappe di San Francisco, dove incontra nuovamente i malati di aids ("Dio vi ama"), di Detroit, la città della grande industria automobilistica che gli dà la possibilità di parlare dei problemi del mondo del lavoro, e di Fort Simpson, in Canada, accolto da una comunità di pellerossa esquimesi.
L'incontro tra Papa Wojtyla e Nancy Reagan


LA VISITA IN VATICANO DI KURT WALDHEIN, UNA SCELTA DI CORAGGIO E UNA SFIDA ALLE INCOMPRENSIONI

Sono tanti i gesti profetici di papa Wojtyla. Quasi ogni giorno, si può dire, il successore di Pietro compie dei passi destinati col tempo a lasciare il segno. Passi grandi e piccoli, tutti alla luce del sole e sempre concepiti da un intimo desiderio di portare la parola di Cristo in ogni angolo del mondo.
Giovanni Paolo II è un Papa che ha fatto dei gesti profetici e improvvisi una costante del suo pontificato. Non è azzardato affermare che quando ha una ispirazione ed è convinto che una determinata decisione vada presa, va avanti senza esitazione. Non si lascia condizionare da nessuno, tantomeno dai pareri dell'opinione pubblica o dei suoi consiglieri. Quando papa Wojtyla "sente" in cuor suo che deve compiere un determinato gesto ed è intimamente convinto che quel gesto, anche se non viene immediatamente capito dall'esterno, non lo ferma più nessuno.
Uno degli episodi che maggiormente dimostra questo particolare lato del carattere di papa Wojtyla è l'udienza concessa in Vaticano il 25 giugno 1987 al presidente della Repubblica austriaca Kurt Waldheim. Visita accordata malgrado la montante protesta internazionale scoppiata intorno al passato di militare al servizio dei nazisti dell'ex-segretario generale dell'Onu.
Quell'udienza sarà ricordata come una delle più contestate e meno capite dell'intero papato wojtyliano (pari, forse, in quanto a polemiche suscitate solo alla visita di Wojtyla al presidente cileno Pinochet). Fin dal primo annuncio, fatto qualche settimana prima dalla Santa Sede, il Vaticano è investito da una valanga di critiche da parte di osservatori, organizzazioni ebraiche, persino esponenti cattolici, qualche vescovo, tutti contrari a che Waldheim fosse ricevuto dal papa. Perchè tanto clamore e tanta opposizione all'ex diplomatico austriaco? Ecco in sintesi le ragioni dei fautori del no alla visita in Vaticano.
Dopo gli anni passati al vertice dell'Onu in qualità di segretario generale, durante i quali si fece apprezzare da tutto il mondo per le sue doti diplomatiche senza suscitare nessuna reazione negativa, la stella di Waldheim si oscura appena viene eletto presidente dell'Austria. Durante la campagna elettorale l'ex segretario generale dell'Onu di colpo si era trovato al centro di polemiche internazionali perchè i suoi avversari politici interni avevano portato alla luce il suo passato di militare nazista. Con questa macchia, quindi, secondo la gran parte dell'opinione pubblica una sua visita al Papa sarebbe stata come minimo inopportuna ed avrebbe rotto l'isolamento politico a cui era stato costretto da quasi tutti i paesi per il suo passato di giovane nazista. E papa Wojtyla che fa? Niente. Ascolta le critiche che da tutto il mondo bussano alle porte della Santa Sede? Assolutamente no. Appena in segreteria di Stato arriva la richiesta di una udienza inoltrata dalle autorità austriache, il pontefice dice sì, incurante dei tanti no che gli girano intorno dentro e fuori la Santa Sede. Non è indifferenza e tantomeno superficialità. È scelta di coscienza. Il papa non è un politico nel senso comune del termine. È un pastore. È il pastore per eccellenza, il successore di Pietro, il Vicario di Cristo. Sa che deve parlare a tutti e ricevere quanti chiedono di volerlo incontrare. Non può ascoltare gli umori della piazza, seguire le mode e le tendenze. Sarebbe fin troppo facile ricordare gli episodi raccontati dal Vangelo nei quali Cristo, sfidando le incomprensioni e le critiche dei suoi osservatori, si incontrava anche con peccatori, adultere, prostitute ed usurai.
Gesù, senza farsi condizionare da chi non lo capiva, parlava a tutti. Così pure papa Wojtyla, che non si lascia influenzare da quanti additato il peccato di passato nazista di Waldheim. Del resto il pontefice polacco sa che tutta la storia della sua vita, il grande amore che nutre per i "fratelli maggiori ebrei", le lotte fatte in gioventù contro il nazismo e l'invasione tedesca della sua Polonia, gli permettono di parlare con chiunque. Anche con un ex-plusisegretario dell'Onu, diventato presidente dell'Austria con voto democratico,improvvisamente accusato di essere stato in gioventù un militare nazista.
Ecco perchè la mattina del 25 giugno '87, Kurt Waldheim fa il suo ingresso in Vaticano, attraversando una deserta piazza San Pietro, chiuso in una automobile superblindata, sotto stretta sorveglianza, mentre in via della Conciliazione un migliaio di persone, tra cui diversi rappresentanti di organizzazioni ebraiche, protesta con slogan e cartelli. Ma il presidente austriaco viene ugualmente ricevuto dal pontefice con tutti gli onori che la Santa Sede riserva ai capi di Stato. Alle proteste esterne, il Vaticano risponde con tre ferme motivazioni: le accuse a Waldheim non sono provate; è stato democraticamente eletto alla presidenza austriaca; il Pontefice non aveva motivo di rifiutare un incontro chiesto dal presidente di una nazione cattolica.
Non passano inosservate nemmeno le accuse di insensibilità che qualcuno lancia nei confronti del Santo Padre: tutta la vita di Karol Wojtyla è una testimonianza continua di affetto e di inequivocabile attaccamento al popolo ebraico per la barbarie subita nei campi di sterminio e durante le persecuzioni naziste. E non è certamente un caso che l'Osservatore romano, il giornale della Santa Sede, nell'annunciare la visita di Waldheim pubblichi anche un articolo su Giovanni Paolo II e la Shoà, lo sterminio degli ebrei per mano nazista.

IL TERZO VIAGGIO IN POLONIA

"O terra polacca! O terra bella! Terra mia! Terra duramente provata! Sii benedetta! Ricevi il mio saluto!". Forse è impossibile trovare espressioni più belle e spontanee per rendere l'esatta dimensione della gioia che un emigrante prova nel far ritorno al proprio paese natio. Ebbene, questa lunga serie di invocazioni alla "mia bella terra polacca" vengono pronunciate, quasi di getto, da un "emigrante" di lusso, papa Wojtyla, l'8 giugno 1987 quando mette piede a Varsavia, la prima tappa del suo terzo viaggio in Polonia, il trentacinquesimo all'estero dalla nomina papale. In questo terzo ritorno fanno "compagnia" al papa polacco ancora una volta una vasta gamma di sentimenti e passioni che vanno dall'amore per la patria ritrovata (segno evidente e comprensibile che, pur dall'alto del soglio di Pietro, il cuore di Karol Wojtyla batte sempre sul versante di Varsavia e dintorni), alla preoccupazione di vedere che il proprio paese non ha ancora riconquistato le perdute libertà sociali e politiche.
L'arrivo nella capitale polacca, come già avvenuto nei due precedenti viaggi, è segnato da milioni di persone affluite lungo la strada dall'aeroporto alla città. Fin dal primo discorso pubblico, tenuto subito dopo aver baciato il suolo, Wojtyla puntualizza come "in questa terra polacca vive la nazione che è la mia nazione". In questa terra, ricorda , "vivono gli uomini che nascono dallo stesso ceppo storico, dal quale anche a me è stato dato di nascere". Parole dalla forte carica emotiva che i polacchi acclamano con scroscianti applausi. È un grido di amore tenero e sincero verso la sua Polonia, quasi uno sfogo, dopo anni di lontananza, tipico di quanti sono costretti a lavorare in terre lontane. Gli emigranti, appunto. Il primo a dargli il "bentornato" a nome della nazione è naturalmente il presidente Jaruzelski, che gli riconosce il merito di portare il nome della Polonia in ogni angolo del mondo. "Il più grande polacco dei nostri tempi, maestro di umanità", è il tributo di Jaruzelski al Papa.
"Per inscrutabile disposizione della Provvidenza divina - risponde tra l'altro Wojtyla - sono stato chiamato proprio da questa terra, dalla fede di san Stanislao, nella regale Cracovia, per svolgere il servizio di Pietro. Siamo ormai al nono anno da quel momento. La Chiesa, durante questo periodo, è divenuta nuovamente consapevole del fatto che, in Cristo, la sua via è ogni uomo, ovunque egli viva sul globo terrestre".
Temi ripresi e ampliati al castello reale di Varsavia, dove Karol Wojtyla torna a spiegare il significato della liberazione dell'uomo avvenuta grazie al sacrificio di Cristo sulla croce. Grazie a Gesù, tutti gli uomini devono sentirsi liberi. Liberi dalla schiavitù del peccato, ma da tutte le altre schiavitù che ancora oggi in troppe parti del mondo vietano i più elementari diritti, primi fra tutti i diritti alla libertà religiosa e alle libere scelte politiche. I polacchi, esorta ad alta voce Karol Wojtyla, "non siano solo oggetto delle direttive delle autorità o dell'istituzione statale, ma ne siano anche soggetti. Ed essere soggetto vuol dire: partecipare alla gestione della cosa pubblica".
Wojtyla parla forte e con estrema chiarezza nel corso di questo terzo viaggio in patria, col chiaro intento di fare da propellente per i suoi connazionali ancora assoggettati da un regime comunista legato ai vicini sovietici. Non cambia toni, nè argomenti, nella tappa di Lublino, la città più vicina al confine dell'Urss. Nei viaggi precedenti le autorità, su "consiglio" di Mosca, gli avevano impedito di raggiungerla. Ora il clima è diverso e Wojtyla lo avverte. Qui, questa volta, può addirittura ricordare lo storico Patto di Lublino del 1569, quando la Polonia fu unita a quella cattolicissima Lituania che in seguito sarà riassorbita dall'Urss. Vicino a Lublino visita Majdanek, un centro dove i nazisti nella seconda guerra mondiale costruirono un campo di concentranento nel quale furono assassinate 360 mila persone tra polacchi, ebrei, soldati sovietici, tutti uccisi nelle camere a gas e bruciati nei forni crematori. Il Papa sosta in preghiera davanti al mausoleo che ricorda quelle vittime, si ferma a parlare con una donna, sopravvissuta alla barbarie nazista. L'abbraccia e le dice: "Coloro che sono gli autori di questo campo di morte sono come un ammonimento per il mondo d'oggi. Li affidiamo alla giustizia e alla misericordia di Dio". Di più non dice a Majdanek.
Accanto al papa, l'altro grande protagonista della terza visita in Polonia è il popolo. Le affluenze vengono calcolate sempre sull'ordine dei milioni. Oltre un milione lo ricevono all'aeroporto di Varsavia; un milione sono i polacchi che lo circondano a Lublino; più di un milione e mezzo lo acclamano a Tarnow dove Wojtyla beatifica, tra l'altro, una ragazza di 17 anni, Carolina Kozka, una contadina uccisa da un soldato russo per essersi rifiutata di fare assecondare le sue pretese disoneste. Una Santa Maria Goretti polacca, elevata agli onori degli altari come esempio di purezza e di martirio. Due milioni lo circondano alla visita fatta al santuario di Czestochowa. Altrettanto entusiasmo suscita la visita a Cracovia, dove la "febbre" per Wojtyla tocca forse il massimo. Non poteva essere altrimenti. Cracovia è stata la sua sede vescovile e cardinalizia. Vicino a Cracovia, a Wadowice, nacque il 18 maggio 1920. A Cracovia fu ordinato sacerdote. È qui che il papa si è formato, ha ancora i suoi affetti più cari. Di buon matino, infatti, si reca a pregare sulla tomba dei genitori, prima di essere "risucchiato" dagli oltre due milioni di concittadini per l'incontro ufficiale. E proprio durante la solenne Messa celebrata a Cracovia si lascia andare ad uno "sfogo", confessando pubblicamente, ma evidentemente sentendosi proprio in famiglia, il disappunto per il divieto impostogli dalle autorità sovietiche di visitare la vicina Lituania. "Oggi sono felice di essere qui, ma desideravo tanto essere anche accanto ai fratelli lituani per festeggiare il seicentesimo anniversario del battesimo della loro nazione".
Mentre il papa celebra nella cattedrale di Cracovia, fuori circa tremila dimostranti sostenitori del Solidarnosc vengono dispersi dalla polizia. In tanti gridano slogan a favore del loro leader Lech Walesa. Un indiretto riferimento ai motivi che hanno spinto i dimostranti a scendere in piazza, Wojtyla lo fa nel discorso tenuto a Tarnow, dove ricorda i patti sottoscritti nel 1981 da Solidarnosc e il governo comunista. "Quei patti vanno rispettati", ricorda il papa, tra gli applausi dei presenti. Di sindacato e di lavoro Wojtyla torna nuovamente a parlare nelle successive tappe di Danzica, città operaia per eccellenza, patria del sindacato libero Solidarnosc nato tra gli operai dei locali cantieri. È qui che papa Wojytla incontra privatamente il leader di Solidarnosc, Walesa. I due si ritrovano a parlare lontani da occhi e orecchie indiscrete, in una saletta del vescovado di Danzica. Per motivi di sicurezza, il colloquio si svolge in forma riservata. "L'atmosfera è stata grande - spiegherà dopo l'ex presidente di Solidarnosc Walesa - perchè eravamo in un posto che conoscevamo e potevamo essere noi stessi. Sono molto soddisfatto, molto felice", senza tuttavia fornire ulteriori particolari sulla natura del colloquio avuto col pontefice.
Papa Wojtyla e Lech Walesa durante un incontro in Polonia


Pubblico e in mezzo a un nuovo bagno di folla, invece, l'incontro con gli operai di Danzica, ai quali ancora una volta Wojytla si è presentato come il paladino dei diritti sociali, civili e sindacali di tutti i lavoratori. Analogo "ruolo" il papa deve svolgere nella visita agli stabilimenti tessili di Lodz, una industria che dà lavoro in prevalenza a manodopera femminile. Non tutti gli stabilimenti hanno il lavoro sindacalmente protetto e alle donne non sempre è riconosciuta la tutela del servizio sanitario industriale. E Karol Wojytla, il "sindacalista", lo denuncia apertamente. "Molte donne continuano a lavorare - sono le parole che pronuncia a Lodz - a tre turni, dunque anche nelle ore notturne, cosa che contribuisce alla diffusione delle malattie professionali. Questo fatto provoca anche un aumento dei contrasti all'interno delle coppie di coniugi. Di conseguenza molte donne sono costrette, da sole, ad educare i propri figli e a provvedere alla loro esistenza materiale".
Prima di parlare a Lodz, Wojtyla aveva fatto una breve visita al santuario della Madonna di Czestochowa. Una breve visita circondato però da altri due milioni di persone che lo attendevano dal giorno precedente. Nella preghiera pronunciata al santuario, oltre a ringraziare la Madonna per il buon esito del viaggio, condanna aborto e alcoolismo, due piaghe particolarmente sentite in Polonia.
L'ultimo giorno lo trascorre a Varsavia. Prima di ripartire per Roma, trova anche il tempo di incontrarsi con due alti responsabili del partito comunista polacco, Kazimierz Barciokowki e Stanislaw Ciosek. La mattina presto si reca a pregare in forma privata sulla tomba di Popieluszko, il prete ucciso da tre uomini della polizia il 19 ottobre . L'ultimo atto della visita papale in Polonia, la conclusione del congresso eucaristico nazionale.
Papa Giovanni Paolo II in preghiera sulla tomba di padre Popielusko


LE VACANZE NEL CADORE

Karol Wojtyla, si sa, ha sempre avuto un "debole" per la montagna. Durante gli anni vissuti in Polonia non si è mai lasciato sfuggire una occasione per fare escursioni, arrampicate, lunghe passeggiate a contatto con la natura in compagnia di amici. Quasi leggendaria, inoltre, è la sua dimestichezza con gli sci. Il fascino delle valli, il verde, il silenzio dei boschi e l'aria aperta hanno sempre esercitato su di lui un fascino particolare. Normale, quindi, che anche dopo la elezione papale, Wojtyla conservasse il suo antico amore per le montagne. Ogni volta che ha potuto, non ha mai disdegnato di passare periodi di vacanze, più o meno lunghi, a contatto con la natura, lontano da Roma. Il primo blitz lo fece il 26 agosto del 1979, trascorrendo una giornata sulla Marmolada. Il secondo, l'anno dopo, il 30 agosto '80, ad Assergi, in provincia dell'Aquila, sul Gran Sasso.
Dopo un paio d'anni, nell'83, le vacanze in montagna incominciano ad "allungarsi". Ed infatti trascorre due giorni, il 16 e il 17 luglio, sul Massiccio dell'Adamello, in provincia di Trento. Il 24 marzo '85 breve relax nel Fucino, in Abruzzo, seguito da altri due gite, dal 15 al 17 giugno a Vittorio Veneto, e il 30 giugno ad Atri e Isola del Gran Sasso, ancora in Abruzzo. Torna in questa regione l'anno dopo, il 9 agosto, per recarsi ai Piani di Pezza e a Rocca di Mezzo.
Ma con l'estate '87 arriva la svolta. Per la prima volta papa Wojtyla decide di trascorrere una vacanza "vera" sulle montagne. Dall'8 al luglio si rifugia sulle cime del Cadore, dove, tra l'entusiamo di turisti e valligiani, visita i più suggestivi luoghi di Lorenzago, San Pietro di Cadore, Fortogna di Longarone. Quartiere generale del papa è la villetta estiva del vescovo locale immersa in un bosco a dir poco millenario. Da qui, attraverso percorsi attentamente studiati dagli uomini della scorta, coadiuvati dagli esperti della Forestale, passa lunghe ore tra i boschi e le valli, tra la felicità di quei pochi fortunati che lo incontrano lungo il cammino.
Tra i tanti incontri, uno in particolare merita di essere ricordato. Ecco come lo racconta il protagonista, il vecchio montanaro Gigi Vecellio, da sempre miscredente, in "lotta" perenne con la moglie Dea, paziente compagna di viaggio e fervente cattolica. Wojtyla viene accolto nella sua abitazione, in uno degli altipiani di Lorenzago, la Casera, in Val di Palù, a qualche chilometro dal centro abitato. È un rifugio modesto, ma accogliente, nascosto dal verde, a una decina di metri da una sorgente, dove esce un'acqua freschissima. Tutt'intorno un silenzio quasi irreale regna sovrano.
"Ero lì, davanti alla malga - spiega Gigi Vecellio sempre con un tocco di meraviglia e di piacere - quando ho visto sbucare dal bosco quattro o cinque uomini che andavano su verso il Passo Mauria. Mi hanno chiesto cosa facevo, ho risposto che vivevo lì. Li ho invitati a seguirmi in casa a bere un bicchiere di vino e loro mi hanno seguito. Non so se erano carabinieri o monsignori: erano in borghese. Bene, eravamo lì a bere in cucina, quando dalla porta è entrato il Papa". Quella scena, assicura Gigi Vecellio, non la dimenticherà mai. "Guarda, guarda cosa succede: uno sta a casa sua e gli si presenta uno sconosciuto che dice di essere il Papa". Vecellio, il vecchio miscredente, alla vista di Wojtyla, appene capisce di essere al cospetto del papa, gli si getta ai piedi. "Era stupendo - è sempre Gigi che parla - ho cominciato a piangere. Poi gli ho detto: 'Santità, beve qualcosa?'.E lui, 'no grazie'. Ma poi ci ha ripensato e ha chiesto un bicchiere d'aranciata. Ha bevuto e mi ha chiesto un sacco di cose. Se d'inverno fa freddo, se dormo lì, se il camino tira bene, era entusiasta del panorama. Io gli ho raccontato che ogni anno porto i funghi e il capriolo a don Sesto, il parroco di Lorenzago. Poi l'ho accompagnato fuori. Ha un buon passo da montagna, si vede che è uno pratico. Mi sono rimasti impressi gli scarponi che aveva. Erano proprio malandati. Ci sarà affezionato". Da quel giorno sulla porta dell'abitazione di Gigi Vecellio, in Val di Palù, in ricordo di quell'incontro, campeggia una scritta: "Qui, alle ore 13,15 del 9 giugno 1987, bevve Sua Santità Giovanni Paolo II".
Passeggiate, lunghe soste di meditazione, escursioni. Questa la vacanza-tipo di Wojtyla, che però anche durante i suoi rari periodi di relax non dimentica mai di essere il papa. Ed infatti, anche a Lorenzago ha modo di far sentire la sua voce durante la messa celebrata domenica 12 agosto davanti a migliaia di fedeli arrivati da tutto il Cadore. Sono giorni di vacanza, ma anche di apprensione per la Chiesa cattolica e in particolare per il Vaticano, alle prese con lo snervante braccio di ferro col vescovo ribelle francese Marcel Lefebvre. Proprio mentre il papa è in Cadore, il presule tradizionalista, nemico del Concilio Vaticano II, viene ricevuto in Vaticano dal cardinale Joseph Ratzinger, prefetto della Congregazione per la dottrina della Fede. È un estremo tentativo, sollecitato dal custode dell'ortodossia cattolica, per cercare di evitare una traumatica rottura con i tradizionalisti francesi guidati da monsignor Lefebvre. Ecco perchè, dalla piazzetta di Lorenzago in Cadore, papa Wojtyla lancia un pressante appello per l'unità della Chiesa e "affinchè i diversi apostolati confluiascano in un unico apostolato, quello della Chiesa". Sempre con la mente rivolta a monsignor Lefebvre, visto come una sorta di pecorella che sta sul punto di smarrire la retta via cattolica sancita dagli insegnamenti conciliari, il papa esalta l'apostolato dei laici ed invita i fedeli a "un rinnovato impegno in questa limpida, serena e forte professione di fede cristiana, senza rispetto umano alcuno di fronte a tutte le ideologie che tentano di offuscarla". Altri momenti forti delle vacanze in Cadore, l'omaggio reso alle vittime della sciagura del Vajont e l'appassionato appello per la difesa dell'ambiente e dell'ecologia durante la messa in Val Visdende.

PAPA WOJTYLA INTERVIENE PER SALVARE LA VITA DI PAULA COOPER

Con la ripresa del lavoro autunnale, il Pontefice presenta con discrezione un altro aspetto della sua personalità: dal Papa delle grandi folle, Wojtyla si trasforma nel papa capace di aiutare concretamente anche la singola persona, di salvare l'ultima pecorella sul ciglio del precipizio. È il Giovanni Paolo II che intercede, attraverso vie riservate, in favore della vita di Paola Cooper, la giovane americana condannata a morte per aver ucciso una anziana signora quando era minorenne. Da mesi, decine e decine di organizzazioni sono scese in campo per strapparla dalla sedia elettrica. Anche il nipote della vittima si appella pubblicamente in difesa della vita della ragazza. Lei, Paola Cooper, si è rivolta anche al Papa, che discretamente fa i suoi passi, busse alle porte giuste (durante l'incontro col presidente americano Reagan nel recente viaggio negli Usa?).
E così la mattina del 26 settembre 1987 la sala stampa vaticana, senza fornire particolari dettagli, fa sapere che il Pontefice ha chiesto la grazia per Paula. "Posso affermare - dice il direttore Joaquin Navarro-Valls - che la Santa Sede e il Santo Padre, attraverso canali confidenziali, hanno già fatto conoscere il proprio punto di vista tendente ad ottenere la grazia per Paula Cooper, sottolineando gli aspetti umani e umanitari del caso". E forse anche per questo che la giovane americana dopo qualche tempo vede trasformare la sua pena di morte in carcere a vita, con la prospettiva che un domani possa essere di nuovo utile alla società. Del resto lei stessa aveva chiesto di essere messa alla prova, dopo essersi sinceramente pentita per quel delitto commesso quando era minorenne. "Voglio vivere - aveva scritto al papa in un precedente appello che aveva commosso il mondo - voglio vivere anche se per 60 anni di prigione. Non ho mai avuto una possibilità nella vita e tutto quello che chiedo è di averne una". Parole simili, evidentemente, non potevano non toccare il cuore del Papa, al di là della tradizionale condanna per la pena di morte che Giovanni Paolo II non si stanca mai di predicare.

LA DIFESA DELL'ORA DI RELIGIONE NELLE SCUOLE PUBBLICHE

La costante attenzione verso i problemi della Chiesa universale non "distrae" certo il pontefice dalla cura dalle questioni italiane. Wojtyla non dimentica mai di essere anche il Primate del nostro paese. E proprio in questa veste non disdegna mai di far sentire la sua voce quando, a suo parere, la situazione lo richiede. Succede, ad esempio, nel corso del lungo dibattito sviluppatosi sull'insegnamento della religione cattolica nelle scuole pubbliche italiane, alla luce dell'Intesa sottoscritta tra Stato e Chiesa in seguito alla ratififca del nuovo Concordato. Gran parte dell'87 è dedicato dalle varie forze politiche e culturali a un serrato confronto sull'opportunità, o meno, di considerare la religione cattolica materia al pari delle altre, non facoltativa, e per questo da considerare insegnamento curricolare, senza discriminazioni, sia per gli studenti e genitori favorevoli, che per i contrari. La novità prevista dalla nuova Intesa sembra inattaccabile: gli studenti e le famiglie hanno il diritto-dovere di scegliere se seguire o meno l'ora di religione. Una volta fatta la scelta (a favore della quale si registrano punte di gradimento che toccano il 90-95 per cento degli studenti), il giovane ha diritto di seguire i corsi i religione senza nessuna forma di discriminazione. Tale principio, però, tra le forze politiche laiche, e qualche associazione, non viene mai accettato completamente, a tal punto che anche tra le forze politiche governative nell'87 si registrano interventi che vorrebbero collocare l'insegnamento della religione alla prima o all'ultima ora di ciascuna classe. Contro questa prospettiva prendono posizione in particolare i vescovi della Cei e le organizzazioni cattoliche. Ma sabato 26 settembre '87 scende inaspettatamente in campo anche il Papa, nel mezzo di una celebrazione in piazza San Pietro, presenti oltre 70 mila giovani dell'Azione cattolica. "Desidero esprimere la mia partecipazione e solidarietà - afferma Giovanni Paolo II - alle preocucpazioni manifestate dalla Cei per quanto concerne le difficoltà che sembrano insorgere circa l'insegnamento della religione cattolica nelle scuole pubbliche, scelto da un così gran numero di genitori e di giovani. All'impegno pastorale dei vescovi si sente associato il Papa, come vescovo di Roma e pastore della Chiesa universale".

IL PAPA APRE IL SINODO DEI VESCOVI DEDICATO AL RUOLO DEI LAICI NELLA CHIESA

Circondato da oltre duecento, tra cardinali, vescovi e sacerdoti, il Santo Padre il primo ottobre 1987 apre ufficialmente il Sinodo dei vescovi. Tema dell'assise, "Il laico cristiano nella Chiesa e nel mondo". Argomemto delicatissimo, pieno di interrogativi e spine, al quale guardano dentro e fuori dalla Chiesa cattolica. I Sinodi, come si sa, sono istituzioni assembleari consultive volute dai padri "legislatori" del Concilio vaticano II. Ne fanno parte vescovi e cardinali in rappresentanza di tutte le diocesi sparse nel mondo. Essendo stati convocati questa volta per discutere su un tema tanto delicato sta a dimostrare che nei piani alti della Curia romana non si intende far passare sotto silenzio tutto quell'insieme di attese e inquietitudini che il corpo laico della Chiesa sempre più frequentemente manifesta ai propri pastori. Calo vocazionale, frequenza della Messsa domenicale, autorità dei vescovi, ruolo dei laici all'interno della Chiesa: su questi ed altri argomenti gli oltre duecento alti prelati si interrogheranno dal primo al 30 ottobre. Il papa si aspetta molto dai lavori di questo Sinodo. Presiedendo la celebrazione di apertura nella basilica vaticana non nasconde le sue preoccupazioni. "Sarà un lavoro complesso - spiega nell'omelia - un lavoro che sarà portato avanti dai pastori sinodali sotto lo sguardo di Dio e delle Chiesa intera". Come a sottolineare la solennità e l'universalità del momento, alla Messa di apetura del Sinodo, Wojtyla è affiancato da 4 patriarchi di Chiese orientali, 38 cardinali, 158 vescovi e 56 sacerdoti. E nelle prime file della navata centrale della basilica di San Pietro i 60 uditori laici, 33 uomini e 37 donne, provenienti dalle comunità cattoliche di tutto il mondo.

L'ETICA E LE NUOVE TECNOLOGIE

Non solo tematiche "alte" come la fede, la teologia, ma anche problematiche più terrene come il mondo del lavoro, la questione operaia, la disoccupazione, la distribuzione del reddito, entrano costantemente nella sfera delle attenzioni del papa. E così, una udienza concessa il 20 novembre '87 ai partecipanti al convegno "Uomini, nuove tecnologie, nuova solidarietà" organizzato dalla Conferenza episcopale italiana, gli offre lo spunto di sollecitare i responsabili della "cosa pubblica" ad avere più attenzione verso il delicato settore lavorativo. L'uomo, avverte, sia sempre al centro di qualsiasi progetto, di ogni iniziativa, e la corsa al profitto non sia mai fatta a discapito dei più deboli. Morale, economia, politica, mondo del lavoro e solidarietà, per Wojtyla, devono sempre viaggiare insieme e di comune accordo.
"L'economia - spiega ai circa mille partecipanti al convegno della Cei - sta sempre più affermando la sua razionalità senza alcun riferimento all'etica. In una visione cristiana delle cose va invece ribadito che l'economia, pur godendo di una sua relativa autonomia, rimane intrinsecamente legata all'etica, misura universale dell'autentico bene umano, e alla norma morale". Riferendosi alla solidarietà, uno dei principali temi dibattuti al convegno, papa Wojtyla ricorda che si tratta di un "valore-guida" che i cristiani hanno il dovere di seguire come "istanza teologale" per mettere in pratica "gli obblighi della carità evangelica". Mette anche in guardia i cattolici dal pericolo che la solidarietà possa essere trasformata in una sorta di "proclamazione astratta" fine a sè stessa e senza benefici per nessuno.
"Compito di ogni cristiano - aggiunge - è di incarnarla (la solidarietà) nelle situazioni concrete così da contribuire alla loro positiva evoluzione". Il Papa fa poi riferimento alle conseguenze negative che le trasformazioni tecnologiche in atto nei paesi industrializzati possono avere nei confronti dei paesi sottosviluppati. "Èinammissibile essere inerti di fronte agli effetti perversi, e in definitiva anche economicamente irrazionali, di processi che penalizzano pesantemente il Terzo Mondo, creando forme sempre più profonde di squilibrio e di disuguaglianza". I cattolici, conclude, devono elaborare "una nuova e più autentica cultura del sociale" per "coniugare più sapientemente libertà, corresponsabilità, autonomia, interdipendenza, efficacia e solidarietà".

LA VISITA IN VATICANO DEL PATRIARCA DI COSTANTINOPOLI DIMITRIOS I

La Chiesa cattolica e quella ortodossa unite (o quasi) all'ombra di San Pietro. Lo storico avvenimento avviene dal 3 al 7 dicembre '87 in vaticano. Protagonisti, papa Giovanni Paolo II e il patriarca di Costantinopoli Dimitrios I, il più prestigioso capo spirituale della cristianità ortodossa che varca la soglia della basilica di San Pietro esattamente 20 anni dopo Atenagora I, suo predecessore, ricevuto nel 1967 da Paolo VI.
Venti anni dopo, vedere i due più importanti capi della cristianità (separata fin dal lontano 1054) abbracciarsi, pregare insieme sulla tomba di San Pietro, è sempre una bella emozione. Per un attimo si ha la sensazione che le ferite di quel lontano scisma siano state tutte rimarginate, anche se sono ancora tanti, troppi, i segnali che fanno capire che cattolici ed ortodossi devono ancora camminare a lungo prima di ritornare definitivamente insieme. È lo "scandalo" per eccellenza che papa Wojtyla si rifiuta di accettare e per il quale non cessa mai di lanciare messaggi, appelli ai fratelli separati, inviti al ritorno alla casa comune cristiana. Come 20 anni prima, il clima dell'incontro è suggestivo e di grande commozione, fin dal primo abbraccio tra il capo della Chiesa di Roma e il suo "fratello" ortodosso, capo spirituale dei cristiani d'Oriente. Dimitrios I trascorre in Vaticano 5 giorni, accompagnato da un nutrito gruppo di metropoliti, vescovi e monaci ortodossi.
La cerimonia più toccante, la Messa di domenica 6 dicembre in San Pietro in parte presieduta congiuntamente dal papa e dal patriarca. I due leggono alcuni passi del Vangelo, i cui passi dimostrano ampiamente come le due grandi confessioni cristiane non possono non avere radici comuni, tutte riconducibili nella fede in Cristo.
Ma la perdurante divisione tra le due Chiese diventa visibile al momento della celebrazione dell'Eucarestia. Dimitrios I, che per tutta la prima parte della messa ha affiancato Giovanni Paolo II sull'altare della Confessione, si stacca dal papa e va a sedersi al lato della basilica vaticana, sotto la statua di Sant'Andrea, il patrono della sede patriarcale di Costantinopoli. Un gesto, apparentemente simbolico, ma doloroso, di evidente spaccatura. Perchè, se il Patriarca e il Pontefice avessero continuato a celebrere insieme, vivendo insieme l'Eucarestia, elevando insieme l'ostia consacrata e il vino benedetto, rinnovando insieme il sacrificio dell'Ultima Cena di Gesù Cristo, la divisione tra cattolici e ortodossi sarebbe stata automaticamente cancellata. Invece, il Papa, nel continuare il rito da solo non ha potuto fare altro che constatare con una evidente punta di amarezza: "Non possiamo ancora bere insieme allao stesso calice", mentre il patriarca si allontana da lui per andare a sedersi accanto agli altri patriarchi presenti in basilica.
Niente Messa celebrata comunitariamente. Ecco il segno visibile della divisione tra cattolici e ortodossi. Ma non il solo, L'altro, forse ancora più grave, riguarda il nodo del riconoscimento, da parte ortodossa, del primato del papa. Roma, come sede della tomba di Pietro rivendica a sè tale primato, sotto tutti i punti di vista (dottrinali, apostolici, pastorali). Gli ortodossi al massimo sarebbero disposti a riconoscere al Papa un simbolico primato "d'onore", che però dovrebbe sempre riservare una effettiva autonomia alle Chiese ortodosse. Ma per Roma una simile prospettiva significherebbe andare contro il concetto di Chiesa cattolica universale nata sulla continuità della prima comunità cristiana sorta sul luogo del martirio di San Pietro. E il braccio di ferro tra cattolici e ortodossi dunque continua dopo quasi mille anni dallo scisma. Papa Wojtyla nell'omelia ricorda il tempo (prima dell'anno 1054) in cui le due Chiese non erano separate. "Durante tale periodo - spiega - era rinosciuto alla sede di Roma non solo un primato d'onore, ma anche una reale responsabilità per presiedere alla carità e per favorire il mantenimento della comunione tra tutte le Chiese. È per il desiderio di obbedire alla volontà di Cristo - ribadisce con forza il Pontefice - che io mi riconosco chiamato, come vescovo di Roma, a esercitare tale ministero". Dopo la Messa, altro gesto a sorpresa e non privo di una certa spettacolarità, il Papa e il Patriarca si affacciano alla Loggia della Benedizione della basilica di San Pietro e benedicono la folla. È storia anche questa. Prima della partenza, Dimitrios I e Giovanni Paolo II firmano un documento comune in cui confermano la volontà di proseguire i contatti "per ristabilire la piena comunione tra la Chiesa cattolica e la Chiesa ortodossa". Dichiarano, inoltre, di "rigettare ogni forma di proselitismo e ogni atteggiamento che potrebbe essere interpretato come una reciproca mancanza di rispetto". Si impegnano infine a lavorare in favore della pace nel mondo, contro tutte le forme di ingiustizie e contro la miseria.
Giovanni Paolo II e il patriarca Dimitrios I


IL MESSAGGIO DI NATALE 1987 A SAN PIETRO

L'eccessivo ricorso alla tecnologia allontana l'uomo da Dio. Nel messaggio pronunciato in mondovisione la mattina di Natale dalla Loggia della Benedizione di San Pietro papa Wojtyla torna ad affrontare temi scomodi, controcorrente, all'apparenza antimodernisti. Mette in guardia, in sostanza, il mondo contemporaneo dai pericoli legati a una ricerca spasmodica delle risorse tecnologiche, all'adorazione incondizionata del dio-motore o del dio-tecnologico, di un dio, cioè, senza anima, privo di una pur minima visione spirituale, umana e solidaristica della vita. Non una condanna della tecnologia in quanto tale e tantomeno della ricerca scientifica, ma un invito all'uomo d'oggi a non mettere tra parentesi, o peggio ancora sacrificare, i valori trascendentali per rincorrere paradisi tecnologici inesistenti dove Dio non è di casa.
"Mai come oggi - è il ragionamento del Papa - l'uomo è stato tentato di credersi autosufficiente e capace di costruire con le sue mani la propria salvezza". La salvezza umana, anche di fronte alle risorse tecnologiche e scientifiche più avanzate, per Giovanni Paolo II "sta solo nella fede in Dio e nel figlio di Maria fattosi umono". Tale verità evangelica per un cristiano dovrebbe essere un punto fermo e inattaccabile. Ma il Papa sente che ogni tanto, anche nelle solennità più importanti per la Chiesa come il Natale, va "rinfrescata". Dio, il Dio rivelatosi ad Abramo, suo Figlio Gesù mandato sulla terra per mezzo di Maria per salvare l'umanità, rappresentano "misteri divini" che nessun progresso umano può raggiungere e nessuna misura della perfezione umana può eguagliare". Ma, "sapranno gli uomini avvalersi della possibilità di salvezza offerta loro da Dio? Sapranno gli uomini - si chiede Giovanni Paolo II- accogliere la straordinaria possibilità loro offerta dal Bimbo di Betlemme trascendendo i limiti delle loro timidezze? Questi interrogativi sono emersi in ogni generazione, ma ritornano con intensità particolare in questo nostro tempo di era tecnologica. Per queso la Chiesa leva la sua voce per invitare gli uomini contemporanei a guardare verso Betlemme per sentirsi tutti insieme figli del figlio di Dio".

UN VESCOVO PALESTINESE PER LA PRIMA VOLTA PATRIARCA DEI LATINI DI GERUSALEMME

Mentre il mondo cristiano è ancora nel pieno del clima natalizio, Giovanni Paolo II si rende protagonista, senza discorsi e senza viaggi spettacolari, di un gesto profetico e storico che scuote le coscienze del mondo intero, distogliendo l'attenzione dell'opinione pubblica dalle imminenti feste di fine anno. Per la prima volta la Santa Sede annuncia che a capo dei cattolici di rito latino di Gerusalemme è stato nominato un vescovo palestinese. È Michel Sabbah, designato da Wojtyla Patriarca latino per i cristiani residenti nella martoriata terra di Gesù. Mai, in passato, la Chiesa aveva scelto per questo importante e delicato incarico un presule nato nella stessa Palestina. Per motivi politici e diplamatici era stato sempre nominato un esterno. Monsignor Sabbah succede infatti a un italiano, monsignor Beltritti.
È una scelta coraggiosa con la quale il Santo Padre lancia due importanti messaggi: il particolare interesse con cui la Chiesa cattolica segue le sorti del popolo palestinese e il desiderio di veder nascere quanto prima la pace nella terra di Gesù. Due messaggi affidati alla figura del nuovo patriarca, un presule cinquentaquattrenne nato a Nazareth. L'annuncio della nomina viene dato, come è nel tradizionale stile della Santa Sede, senza eccessiva enfasi. La mattina di lunedì 28 dicembre la notizia viene sobriamente confermata dalla Sala stampa vaticana dal portavoce papale Joaquin Navarro-Valls, che si preoccupa pure di sgombrare il campo da qualsiasi lettura politica sulla nomina di monsignor Sabbah.
"Il criterio seguito per la scelta del nuovo Patriarca - spiega Navarro - è stato strettamente quello religioso e pastorale, che tiene conto della realtà locale, cioè di una unica diocesi per i 65.000 fedeli di rito latino, l'85 per cento dei quali di origine araba, dei territori dello Stato di Israele, della Cisgiordania e della Repubblica di Cipro. Qualsiasi criterio politico o di opportunità non è stato tenuto in alcun conto". Al di là della comprensibile prudenza vaticana, la scelta operata dal Santo Padre viene accolta con entusiasmo dai diretti interessati, i cristiani palestinesi e anche dalla stessa Olp di Arafat. Grande attenzione verso monsignor Sabbah arriva anche dal governo israeliano. Avi Granot, portavoce dell'ambasciata di Israele a Roma commenta: "La designazione è una scelta della Chiesa, noi da parte nostra, auguriamo al patriarca designato, Michel Sabbah, vivo successo e speriamo in una proficua e costruttiva cooperazione, come quella già esistente con le altre autorità delle diverse Chiese in Israele". La pace si costruisce anche così. E Giovanni Paolo II non si dimentica mai di ricordarlo.
Papa Wojtyla col vescovo palestinese Michel Sabbah


IL 1988 NASCE NEL NOME DELLA RUSSIA

Non ancora spenta l'eco suscitata dalla nomina del primo vescovo palestinese a capo dei cristiani di Israele, ecco che l'attenzione del Papa si rivolge verso altri improvvisi scenari. Precisamente verso l'amata Russia. L'occasione, l'omelia di Capodanno 1988 nell'ambito della Giornata mondiale della pace, che il Pontefice tiene nella basilica di San Pietro ripreso dalle telecamere di tutto il mondo. L'88 appena arrivato è l'anno del primo millenario del battesimo cristiano della Russia. Una scadenza storica che sta tanto a cuore a papa Wojtyla, il cui massimo desiderio come si sa è quello di poter fare un viaggio pastorale a Mosca. È da tempo che voci sempre più insistenti vorrebbero che l'attesa visita in Russia Giovanni Paolo II potrebbe farla proprio per celebrare il millenario cristiano russo. Ma non sarà così.
Wojtyla, comunque, dedica l'omelia della Giornata mondiale della pace '88, significativamente, proprio alla Russia. "Da tempo preghiamo la genitrice di Dio - confessa infatti parlando in San Pietro - perchè sia in modo speciale con noi quest'anno, durante il quale, dopo mille anni, renderemo grazie alla Santissima Trinità per il battesimo che ebbe luogo sulle rive del Dnieper, a Kiev. Questo battesimo aprì la via per introdurre la luce di Cristo tra i molti popoli e nazioni dell'Europa orientale, diffondendola sino agli Urali, in un lungo cammino di civiltà cristiana". "Tutte queste genti - continua ancora Wojtyla - ritroveranno il loro inizio storico nel ricordo del millenario battesimo, ricevuto inizialmente dalla principessa Olga, la prima santa russa, accolto poi e promosso stabilmente tra il popolo della Rus' dal principe san Vladimiro". "Condivideremo", conclude il Papa, "la gioia di questo inizio con tutti i figli e le figlie del popolo russo, ucraino, bielorusso e di altri ancora". Alla fine, affida alla Madonna "tutti i problemi di quei popoli, di quei fratelli e sorelle". La seconda parte dell'omelia mette in risalto forse il più importante e drammatico dei problemi che gravano sulle popolazioni russe e sovietiche, la libertà religiosa, per la quale il Pontefice invoca interventi urgenti e risolutivi, perchè, avverte, "la libertà religiosa è condizione essenziale per la pacifica convivenza".

PAPA WOJTYLA A PRANZO CON I BARBONI

Archiviata la Giornata mondiale della pace 1988, con la quale ha acceso forti interrogativi e attese su un suo possibile viaggio in Urss, il Pontefice torna ad affrontare subito le piccole e grandi scadenze che lo attendono fin dalle prime battute del nuovo anno. Tra le più significative previste in questo primo scorcio di 1988 ce n'è una carica di profondo significato e senza precedenti, stando almeno alla storia dei papi degli ultimi secoli. Giovanni Paolo II la sera del 3 gennaio invita a cena 150 barboni di Roma. Altrettanto significativo il luogo del simpatico incontro, l'Ospizio di Santa Maria, dentro le mura vaticane, la "foresteria" dove in genere sono ospitati monsignori, cardinali e alti prelati di curia. L'iniziativa è del Circolo San Pietro, ma il papa l'ha accolta con entusiasmo. Lo si vede subito quando si incontra con i commensali, anziani senza fissa dimora, clochard, immigrati senza lavoro.
Wojtyla li saluta uno ad uno. Chiede come si chiamano, a ognuno regala un sorriso e un ben accetto "come va?". Poi si siede a tavola come un loro vecchio amico e mangia il cibo (tortellini, cannelloni, vari tipi di carne, dolci, frutta) preparato dal Circolo San Pietro e dalle suore dell'Ospizio. La grande sala subito si riempie di sorrisi e di pacche sulle spalle. Tra il Papa e i 150 sfortunati si crea un immediato clima di amicizia. Uno dei barboni, che all'apparenza dimostra di essere dotato di un certo grado di cultura, si spinge persino a chiedergli quando pensa che possa cadere la cortina di ferro. Scherzosa la risposta del Pontefice: "Cadrà verso chi, verso me o verso te?". Due gli espongono i problemi di Napoli. E lui: "Di problemi ne hanno tutti". "Sì - è la controreplica - ma oggi anche di più perchè abbiamo perso anche la partita". "Eh, lo so che a Napoli il calcio è importante - ammette Wojtyla - me lo diceva proprio ieri don Stanislao".
La simpatica serata del papa in mezzo ai barboni di Roma si conclude con un breve, ma sentito discorso. "Grazie - dice il Papa - per essere venuti qui. Ho cercato di parlare con ognuno di voi. La vostra è una situazione difficile, soprattutto per la mancanza del lavoro, un grave problema del nostro tempo. La Chiesa cerca di fare quello che può incontrando la gente disoccupata e senza casa. Non posso dare certo una soluzione subito a questi problemi, ma vedremo anche con i miei collaboratori come si può rimediare. Anche il figlio di Dio è nato fuori di una casa, anche lui si è trovato nella stessa linea di chi non ha casa e non ha mezzi di cui vivere. Vi auguro di migliorare le vostre condizioni di vita, e che la Chiesa di Roma possa aiutare a risolvere queste condizioni". "È vero che gli impegni del Papa sono molteplici, ma credo che un giorno il Signore non chiederà al Papa se ha visto il ministro tale o l'ambasciatore talaltro, ma se ha ricevuto e parlato con i poveri".

"NO ALLA GUERRA, SÌ AL DISARMO" IL PAPA PARLA AL CORPO DIPLOMATICO

Dai problemi dei barboni romani, ai conflitti internazionali, ai pericoli che minacciano pace e libera convivenza tra i popoli. E sullo sfondo uno scenario che incomincia a suscitare speranze inimmaginabili solo pochi mesi prima, i primi accordi sul disarmo bilaterale tra Usa e Urss. Sono le tematiche affrontate dal papa alla udienza di inizio anno concessa, il 9 gennaio 88, al corpo diplomatico accreditato preso la Santa Sede. Insomma, luci (poche e cariche di speranza) e ombre (tante e minacciose), puntigliosamente delineate, a partire dalla guerra Iran-Irak definito dal Pontefice "un conflitto inumano, terribilmente distruttore, assurdo". Come pure la guerra in Afganistan dove "da otto anni si assiste al dramma delle sue popolazioni". Altre zone "calde" indicate con preoccupazione dal Pontefice, l'America Centrale, dove "perdurano le opposizioni sanguinose che turbano gravemente la pace in molti Paesi"; il Medio Oriente, dove "le popolazioni che vivono sulla terra della Palestina sono in un contesto politico e sociale sempre precario"; e poi i conflitti in Libano, in Etiopia, nello Sri Lanka, in Cambogia, in Mozambico. "La Santa Sede è convinta - spiega il Papa agli ambasciatori - che in tutti questi casi sia possibile prevenire a una soluzione senza che i belligeranti si vedano umiliati".
Ma la lunga scia di sangue, secondo il Pontefice, può essere interrotta. I primi segnali incominciano ad arrivare proprio dalle due nazioni più potenti, l'America e l'Unione Sovietica, in seguito all'accordo bilaterale sottoscritto per la riduzione delle armi nucleari intermedie. Questo accordo, commenta Wojtyla, "apre delle prospettive incoraggianti per la pace". "Grazie alla loro volontà politica le due grandi potenze hanno saputo creare una nuova situazione e si sono accordate, non più solamente per limitare, ma per distruggere fisicamente una intera categoria di armi". "Le Nazioni che vivono dentro sistemi differenti - conclude Wojtyla - si rendono meglio conto ora che devono imparare a vivere insieme, a trovare terreni di cooperazione, ad approfondire le loro relazioni diplomatiche".

"I MIRACOLI ESISTONO"

Dai grandi problemi internazionali, alle grandi questioni teologiche. Papa Wojtyla, capo di uno Stato, la Città del Vaticano, di per sè minima realtà di diritto internazionale. Ma papa Wojtyla è anche il capo della Santa Sede, è anche un pastore, un sacerdote, e non lo dimentica mai. Ecco quindi che, mentre discute con i potenti della terra sulle grandi sfide del mondo, alle prese con le settimanali catechesi dell'udienza pubblica del mercoledì, durante la quale parla di fede e di morale, di rivelazione e di salvezza, di peccati e di penitenza. Nell'udienza di mercoledì 14 gennaio, affronta il delicato tema dei miracoli forse perchè su questo argomento avverte una certa "freddezza" persino tra i credenti e i fedeli praticanti.
"I miracoli esistono, sono esistiti ieri - avverte - esistono anche oggi". "Per intercessione degli uomini, dei santi e dei devoti", spiega Wojtyla, i miracoli fanno parte della nostra quotidianità. Anche se a volte non ce ne accorgiamo. I miracoli, ricorda, "sono i segni della potenza di Dio, li ha compiuti Gesù, sono stati continuati dagli apostoli e poi dai santi, che si succedono di generazione in generazione dai tempi apostolici ad oggi".
I miracoli sono "segni" il cui scopo essenziale, ricorda ancora il Pontefice-curato, "è di far vedere il destino e la vocazione dell'uomo al Regno di Dio". "I miracoli, tuttavia - tiene a precisare - non sono in contrapposizione con le forze e le leggi della natura, ma comportano soltanto una certa 'sospensione' sperimentale della loro funzione ordinaria, non un loro annullamento. Anzi i miracoli descritti nel Vangelo indicano l'esistenza di una Potenza che supera le forze e le leggi della natura, ma che nello stesso tempo opera nelle linee delle esigenze della natura stessa, anche se al di sopra della sua attuale normale capacità; non è ciò che avviene, per esempio, in ogni guarigione miracolosa? La potenzialità delle forze della natura viene attuata dall'intervento divino che la estende oltre la sfera della sua normale possibilità di azione".

"DIO BENEDICA IL GOVERNO E L'ITALIA", L'UDIENZA AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO GORIA

I miracoli, dunque, esistono. Uno, in verità, è da anni sotto gli occhi di tutti. È, detto col dovuto rispetto, il "miracolo" che fa camminare un Paese "capriccioso" come l'Italia, il cui presidente del Consiglio dei ministri, Giovanni Goria, il 15 gennaio 1988 per la prima volta viene ricevuto dal Papa in udienza privata. Wojtyla l'accoglie nella sua biblioteca. L'incontro è affettuoso e cordiale. Discutono riservatamente per più di mezz'ora e non è escluso che uno dei più delicati argomenti trattati sia stato l'insegnamento della religione cattolica nelle scuole pubbliche, tema ampiamente dibattuto in vista di una possibile riforma dell'Intesa sull'ora di religione. Alla fine del colloquio, trattandosi di una udienza privata, non vengono emessi, secondo la prassi vaticana, comunicati ufficiali. Ma dai sorrisi, dai volti distesi e dalle calorose strette di mano si capisce benissimo che tra il Papa e il giovane premier italiano ci sia stata una forte sintonia su quanto discusso, ora di religione compresa. L'incontro si conclude con scambio di regali, foto-ricordo e qualche veloce battuta. Mentre si mettono in posa per essere fotografati, Goria esclama un accondiscendente "viviamo nell'epoca delle immagini". "È la forza del quarto potere", gli fa eco il Papa.

"VORREI VISITARE L'UNIONE SOVIETICA"; WOJTYLA PARLA NELLA SEDE DELLA STAMPA ESTERA

Un altro grande miracolo per cui il Pontefice non si stancherà mai di pregare è il viaggio in Urss. È lui stesso a confessarlo pubblicamente, lunedì 18 gennaio '88, nella sede dell'Associazione della stampa estera a Roma, davanti agli inviati ed ai corrispondenti di tutti i più importanti giornali del mondo. Accolto da applausi e da tante strette di mano, appena incomincia a parlare affronta subito il tema più dibattuto del momento in materia di viaggi papali internazionali, ovvero "quando il papa andrà a Mosca?". Giovanni Paolo II sarebbe pronto a partire anche subito, ma ci sono sostanzialmente due delicate questioni che finora glielo hanno impedito, la mancanza dell'invito ufficiale da parte delle autorità sovietiche e il mancato riconoscimento di Mosca per i cattolici ucraini e sovietici rimasti fedeli al papa. Due punti non da poco che Wojtyla con grande determinazione affronta davanti alla stampa estera.
"Sono convinto che una tale visita - spiega - avrebbe una sua importanza non solo da un punto di vista religioso, ma anche della convivenza internazionale. Però un atto di tal genere non si può fare che nella verità, dovrebbe essere una vera visita, in risposta a un vero invito. Ma questo invito - precisa il Pontefice con una evidente punta di amarezza - finora non è arrivato". Oltre al mancato invito, Wojtyla parla anche dell'altra spina, il riconoscimento da parte di Mosca dei cattolici sovietici rimasti fedeli a Roma, un passo che evidentemente non suonerebbe molto gradito al Patriarca ortodosso russo. "C'è un altro grande problema", spiega Woityla, "nell'Unione Sovietca c'è una parte della Chiesa cattolica e questa parte ha un giusto desiderio di ricevere la visita del Papa, come anche le altre Chiese. Poi, naturalmente il Millennio del battesimo della Rus' (l'antico nome dell'Ucraina) che ricorre quest'anno, è un grande evento nella storia del cristianesimo, della Chiesa nel senso ampio della parola, non solamente nella storia della Chiesa ortodossa, ma nella Chiesa universale". "È da tempo che facciamo sforzi, diamo segni della nostra partecipazione spirituale, morale, a questo grande evento. Ma la visita deve compiersi sempre nella verità". E la "verità" invocata da papa Wojtyla non può non tener conto della tradizionale esistenza in Urss, in particolare in regioni come l'Ucraina, la Lettonia e la Lituania, di una Chiesa locale cattolica da sempre rimasta fedele al papa di Roma. "Una Chiesa praticamente clandestina - lamenta Giovanni Paolo II - messa fuori legge (da Stalin), non riconosciuta, anzi durante un certo tempo, riconosciuta come se non esistesse". È concepibile immaginare che il successore di Pietro possa recarsi in visita in Urss senza poter andare a trovare ufficialmente quei cattolici che, in clandestinità e sfidando persecuzioni di ogni genere, sono sempre rimasti fedeli a Roma?

LA VISITA IN VATICANO DEL PRESIDENTE DEL NICARAGUA DANIEL ORTEGA

Dall'Unione Sovietica, paese per il momento "proibito" al capo della Chiesa cattolica, al Nicaragua, paese difficile anch'esso per tanti altri motivi, ma che il papa ha già visitato il 4 marzo 1983. Quel viaggio viene ricordato in genere per le forti tensioni che Giovanni Paolo II trovò lungo il suo cammino e per i severi ammonimenti dati ai sacerdoti che avavano aderito alla giunta sandinista presieduta da Daniel Ortega. Dopo 5 anni il presidente nicaraguense ricambia, in un certo senso, la visita. Il 29 gennaio '88 il leader sandinista viene ricevuto in udienza dal papa, in Vaticano, durante il suo tour italiano.
L'incontro Wojtyla-Ortega suscita i più disparati commenti. Qualcuno parla di riconciliazione, altri scomodano addirittura la storia parlando di "Canossa di Ortega". La verità come al solito nessuno è in grado di delinearla compiutamente. Comunque, Canossa o non Canossa, alla fine dell'udienza il clima tra il papa e il presidente sandinista è dei più sereni. Ortega scherza persino con chi osa insinuare che l'incontro sia stato piuttosto freddino. "Freddo l'incontro col Papa? Se qualcuno - risponde il presidente - ha avuto questa impressione sarà perchè la temperatura di Roma è più fredda di quella di Managua, dove ci sono oltre 30 gradi".
In verità, Ortega durante l'udienza chiede al Papa di incoraggiare gli sforzi di pace in America Latina, riconoscendo quindi il peso morale che la Chiesa cattolica e il suo pastore svolgono a livello planetario. Giovanni Paolo II gli conferma la "sollecitudine" con cui segue quotidianamente, "con il pensiero e la preghiera", il dramma dei popoli sudamericani.
"È stato un colloquio molto franco e costruttivo - racconta poi a fine udienza Ortega - Sua Santità si è pienamente identificato nel processo di pace che stiamo portando avanti in Nicaragua". "Il Papa si augura che il piano di pace trovi applicazione in ogni suo punto - è il commento finale del portavoce pontificio Joaquin Navarro valls - in particolare nel diritto della gente di vivere in una vera democrazia". Giovanni Paolo, aggiunge il portavoce, ha sottolineato al presidente Ortega "la necessità che la pace sia conseguita attraverso un dialogo leale, nel rispetto dei diritti e delle libertà fondamentale di tutti".
Giovanni Paolo II e Daniel Ortega


IN DIFESA DEGLI SFRATTATI

La voce del Papa è la voce degli ultimi. E tra gli "ultimi" ci sono anche i senza casa, gli sfrattati, quanti soffrono nelle grandi e nelle piccole città per la mancanza di alloggi dignitosi. Di questa particolare categoria di ultimi parla il Santo Padre nella lettera di accompagnamento del documento vaticano sulla casa, o più precisamente sulla mancanza della casa. Il testo viene presentato ufficialmente il 2 febbraio '88 dal cardinale Roger Etchegaray, presidente della pontificia commissione di "Justitia et Pax", e dall'arcivescovo Jorge Mejia, vicepresidente della stessa commissione. È un terribile atto di accusa contro governi e istituzioni, Chiesa compresa ("Anche la Chiesa può essere rimproverata", ammette il cardinale Etchegaray). Impressionanti le cifre: un miliardo di persone prive di un alloggio decente; cento milioni di senzatetto; nell'Europa occidentale più di un milione alla ricerca di un alloggio; più di venti milioni di bambini dell'America Latina costretti a vivere per strada, senza una casa. È la fotografia che papa Wojtyla ha modo di vedere ogni volta che visita l'Africa, l'Asia, il Sudamerica e persino la vecchia Europa. Una piaga internazionale per la quale ora scende apertamente in campo anche la Chiesa cattolica spinta dal suo pastore con un documento ad hoc che chiama in causa tutte quelle amministrazioni statali che, sul tema degli alloggi, sono state finora praticamente latitanti. Il docunmento parla apertamente di "ingiustizia sociale perpretata ai danni dei senzatetto; denuncia l'esistenza di alloggi sfitti che non vengono messi a disposizione di chi cerca casa; condanna la speculazione edilizia; invita le autorità a valutare con prudenza l'abbattimento di case abusive quando sono abitate da ex senzatetto; come pure chiede prudenza e pazienza ai proprietari di abitazioni nel mettere in pratica il pur "legittimo diritto" dello sfratto; e "consiglia" sfrattati e quanti sono privi di abitazione di organizzarsi in associazioni per far valere i loro diritti con azioni di protesta "mirate", ma che non debbano mai sfociare in atti di violenza gratuita e controproducente.

IL CONSIGLIO SUPERIORE DELLA MAGISTRATURA IN UDIENZA DA PAPA GIOVANNI PAOLO II

I vertici della giustizia italiana a "consulto" da papa Wojtyla. È una notizia quasi impensabile solo qualche anno addietro. Per taluni, forse fantapolitica vaticana. Eppure anche questa specie di tabù cade sorprendentemente la mattina del 15 febbraio 1988, quando in Vaticano si presentano i 70 giudici del Csm (Consiglio superiore della magistratura) per essere ricevuti dal Pontefice. L'incontro si trasforma in una udienza ricca di interesse, anche dal punto di vista tecnico-giuridico. Giovanni Paolo II, infatti, nel suo discorso fa suoi due punti fondamentali dell'ordinamento giudiziario italiano, l'indipendenza della giustizia da qualsiasi altra forma di potere e l'impegno dei giudici per la "costruzione del bene comune" nella società. Ricorda ancora uno dei grandi vicepresidenti del Csm Vittorio Bachelet, assassinato dalle Br all'Università "La Sapienza" di Roma.
Ai 70 membri del Csm il Papa assicura di essere loro "vicino in queste non facile responsabilità". "Con i vostri atti - aggiunge - dovete essere voi stessi una testimonianza vivente di giustizia per coloro che amministrate, come per tutti i magistrati che ogni giorno devono fare opera concreta di giustizia a servizio dell'uomo ed a garanzia dei suoi diritti fondamentali". Di Vittorio Bachelet dice di essere sicuro che il "suo ricordo è ancora vivo nella memoria di tutti" e che tutti lo ricordano sempre come come esempio di rettitudine professionale e di alta moralità.

GIOVANNI PAOLO II PUBBLICA LA "SOLLICITUDO REI SOCIALIS", L'ENCICLICA SULLA PREOCCUPAZIONE VERSO I PROBLEMI SOCIALI

"Sollicitudo rei socialis", ovvero la nuova enciclica di papa Wojtyla sulle preoccupazioni dei problemi sociali. L'atteso documento, il settimo del papato wojtyliano, presentato nella Sala stampa vaticana il 19 febbraio 1988, mostra ancora una volta un Giovanni Paolo II fortemente attento alle questioni relative al mondo del lavoro, allo sviluppo, al dramma del mancato sviluppo sociale che attanaglia troppe regioni del mondo, sempre più spaccato in un Nord ricco e appagato, e in un Sud vittima di povertà, miserie e abbandono. Gli stessi drammi affrontati dal predecessore di papa Wojtyla, Paolo VI, che venti anni prima nell'enciclica "Populorum progressio" aveva richiamato i grandi della terra a farsi carico dei problemi della pace e della convivenza sociale alla luce di una più giusta distribuzione delle risorse e del benessere. La pace, aveva affermato venti anni prima papa Montini scuotendo le coscienze di tutto il mondo, è un bene che non può essere disgiunto dallo sviluppo sociale di ogni popolo, specialmente dei Paesi più poveri.
La "Sollicitudo rei socialis", scritta per celebrare il ventennio dell'enciclica montiniana, riprende quei temi e in un certo senso li aggiorna alla luce dei progressi conseguiti e dei troppi ritardi registrati nei confronti dei milioni di poveri ancora costretti a vivere con l'elemosina o gli scarti dei paesi ricchi. Poveri e diseredati, nota papa Wojtyla, che sono sempre più di casa anche nel cosiddetto ricco Occidente, specialmente nelle periferie delle grandi e piccole città.
Il nuovo documento sociale, diviso in sette capitoli di cento pagine, esamina in sostanza le cause che, dopo venti anni dai richiami della "Populorum progressio", hanno portato a un drammatico allargamento del fossato che divide il Nord e il Sud del mondo. Tra i motivi additati dal Pontefice, "i meccanismi economici, finanziari e sociali di un sistema monetario e finanziario che vanno riformati" e che hanno favorito "l'arricchimento di individui e di gruppi, l'indebitamento di Paesi del Terzo Mondo e l'ampliamento di arsenali di arnmi sia nei paesi sviluppati, che in quelli in via di sviluppo". Ed ancora, altra grave causa del mancato sviluppo planetario è la "contrapposizione" dell'Est all'Ovest, e viceversa, in blocchi ideologici e militari l'uno contro l'altro. Con la conseguenza che il mondo, a partire dalla stessa Europa, per troppi decenni è rimasto fermo, come cristallizzato di fronte a due sistemi socio-politici tra loro nemici e dannosi per tutta l'umanità. "Ognuno dei due blocchi", scrive papa Wojtyla, nasconde dentro di sè, a suo modo, la tendenza all'imperialismo, o a forme di neocolonialismo". Ne consegue che "questa divisione del mondo è di diretto ostacolo alla vera trasformazione delle condizioni di sottosviluppo nei paesi in via di sviluppo o in quelli meno avanzati". Ecco perchè, il Pontefice nell'enciclica lancia un pressante appello al superamento di tale suddivisione, unitamente a uno stop immediato alla corsa al riarmo, specialmente quello atomico, perversa tendenza che ha come unico fine "la morte per tutti".
Di fronte a una simile prospettiva di degrado socio-morale, la "Sollicitudo rei socialis" risponde rilanciando a gran voce la Dottrina sociale della Chiesa, vista come ferma risposta al capitalismo selvaggio ed egoista, e al collettivismo marxista". Non una terza via, avverte il Papa, tra il capitalismo e il marxismo, ma un "modello a sè" che la Chiesa offre a tutti gli uomini di buona volontà, un modello di crescita e sviluppo "pienamente umano, non solo tecnico ed economico, un nuovo assetto internazionale fondato sulla giustizia e sulla pace". "Oggi - ragiona Giovanni Paolo II nell'enciclica - forse più che in passato gli uomini si rendono conto di essere legati da un comune destino, da costruire insieme, se si vuole evitare la catastrofe". Da qui la "radicale convinzione", nota il Pontefice, che "l'unica via da seguire è la collaborazione allo sviluppo tra Nord e Sud, e tra Est e Ovest" attraverso un imperativo comune, "solidarietà e impegno comune per il bene di tutti". Questo perchè, è l'esortazione conclusiva dell'enciclica, "la solidarietà ci aiuta a vedere l'altro - persona, popolo, nazione - non come uno strumento qualsiasi, per sfruttarne a basso costo la capacità di lavoro e la resistenza fisica, abbandonandolo poi quando non serve più, ma come nostro simile da rendere al pari di noi".

"EUNTES IN MUNDUM", LA LETTERA APOSTOLICA SUL MILLENNIO DEL CRISTIANESIMO RUSSO

Instancabile papa Wojtyla. In cima ai suoi pensieri c'à sempre lei, la Russia e il forte desiderio di poterla visitare. Il delicato argomento torna alla ribalta internazionale con la presentazione ufficiale, il 22 marzo '88, della lettera apostolica "Euntes in mundum" scritta dal Pontefice al Patriarcato ortodosso di Mosca in occasione del millennio del cristianesimo russo. Il documento, una storica apertura verso i milioni di cristiani "separati" d'Oriente, vede la luce in coincidenza dell'arrivo a in Vaticano di un'altra attesissima lettera, l'invito del Patriarcato moscovita alla Santa Sede a partecipare alle celebrazioni del Millennio. Il messaggio, però, si rivela una mezza delusione, perchè il Patriarcato si limita a chiedere alla Santa Sede, in vista dei festeggiamenti del millenario, di inviare a Mosca solamente una delegazione vaticana. Non è, dunque, un esplicito invito al papa. E il gesto, è facile immaginarlo, non deve aver fatto molto piacere a papa Karol Wojtyla, che tuttavia nella sua lettera apostolica continua dritto nella sua "offensiva della persuasione" verso i fratelli ortodossi. Nella "Euntes in mundum" non a caso mette in evidenza i tanti punti in comune e le tante affinità elettive (religiose, sociali, tradizionali) esistenti tra cattolici ed ortodossi, malgrado i quasi mille anni passati dallo scisma tra le Chiese cristiane d'Oriente e di Occidente. La lettera afferma con forza la prospettiva di una unione in una Chiesa che "sia una e insieme differenziata", e dove sia riconosciuta l'autonomia delle Chiese ortodosse. "L'evangelizzazione degli slavi orientali (russi, ucraini, bielorussi), avvenne, nota Wojtyla, "mentre la Chiesa continuava a rimanere una e indivisa". Ecco perchè, scrive con estrema convinzione il Pontefice, la celebrazione del millennio di quella evangelizzazione "non può non accendere ancora meggiormente il desiderio della piena comunione in Cristo di queste Chiese sorelle e spingerci a intraprendere nuove ricerche e a fare nuovi passi per favorirla". Una simile prospettiva di unione, ricorda ancora il Papa, potrà essere perseguita attraverso l'attuazione degli insegnamenti del Concilio Vaticano II là dove indica il superamento dello scisma d'Oriente e d'Occidente attraverso il solenne decreto conciliare sull'ecumenismo, dove è chiaramente sottolineata la "caratteristica autonomia disciplinare di cui godono le Chiese orientali". Questa autonomia, si legge nella lettera apostolica di papa Wojtyla, "non è conseguenza di privilegi concessi dalla Chiesa di Roma, ma della legge stessa che tali Chiese possiedono fin dai tempi apostolici". La via della pace universale, è la conclusione della lettera per il millennio russo, passa anche attraverso la ritrovata unione di tutti i cristiani, sia d'Oriente che d'Occidente.

LA MADONNA AL CENTRO DELL'OMELIA DI PASQUA 1988

Una accorata preghiera alla Madonna perchè guidi gli uomini di oggi verso i sentieri della pace e della giustizia. È il punto centrale dell'omelia per la Pasqua '88 tenuta dal papa domenica 3 aprile. A causa delle cattive condizioni atmosferiche, la solenne celebrazione si svolge all'interno della basilica di San Pietro. Intorno al papa la folla delle grandi occasioni, pellegrini provenienti da tutto il mondo, diplomatici e uomini di Stato. Tra i tanti, il ministro degli Esteri italiano, Giulio Andreotti, il segretario di Stato americano George Shultz, con le rispettive consorti; e la signora Sauvé, governatore del Canada.
L'omelia di papa Wojtyla è carica di riferimenti biblici, esposti con un linguaggio che a tratti diventa profondamente poetico. Il significato legato al sacrificio di Gesù Cristo sulla croce e il ruolo svolto dalla Madre sono i punti-cardine della parte iniziale del discorso che il Pontefice legge con tono grave e appassionato. Ma il momento più alto dell'omelia arriva quando, messi da parte i fogli, si lancia in un accorato appello alla Madonna, alla quale rivolge un inno-invocazione affinchè interceda per riportare pace e giustizia nel mondo contemporaneo. "Prega per tutto il mondo, per tutta l'umanità, per tutti i popoli! Prega per la pace nel mondo, per la giustizia! Prega per i diritti dell'uomo, in specie per la libertà di religione, per ogni uomo cristiano e non cristiano. Prega per la solidarietà dei popoli di tutti i mondi, il primo e il terzo, il secondo e il quarto. Ecco, dentro la tua e la nostra gioia pasquale ci portiamo in cuore questo peso dell'umanità, questo peso di tanti cuori umani, nostri fratelli e sorelle".
Formulando, poi, gli auguri di Pasqua in 52 lingue dalla Loggia della Benedizione, invita i fedeli, sia quelli presenti in Vaticano che quelli collegati in mondovisione, a formare una "grande comunità di preghiera" per "i popoli che soffrono, specialmente per quei paesi dove manca la pace, la giustizia, dove mancano i mezzi". "Con questo grido alla Madre del Risorto - conclude Wojtyla - ci portiamo da questa piazza di San Pietro in tutti i cuori, in tutto il mondo. Tutti sappiano che siamo uniti con loro nella croce e nella resurrezione di Cristo".

LA NUOVA CONDANNA DELLE ARMI E DELLA DROGA NEL VIAGGIO PASTORALE A VERONA

Il binomio pace-giustizia, solennemente invocato nell'omelia pasquale, passa necessariamente attraverso un deciso no che va dato ad un altro binomio, armi-droga. Senza questo doppio no, tutti gli altri grandi discorsi che possono essere fatti intorno alla pace, alla fratellanza, alla giustizia e alla solidarietà, sono destinati prima o poi a naufragare.
È papa Wojtyla che lo ricorda nella visita pastorale svolta a Verona, il 16 e il 17 aprile '88, il settantunesimo viaggio in Italia. "Ci sono strumenti - spiega nel discorso tenuto alla Fiera di Verona - che non dovrebbero essere prodotti o la cui produzione e commercializzazione dovrebbero essere rigorosamente controllate. Il primo esempio sono le armi". Queste parole vengono subito lette come un autorevole, anche se indiretto, avallo alla campagna contro l'industria bellica che in Italia da anni viene portata avanti dai "Beati costruttori di pace", un movimento pacifista nato proprio a Verona e che annovera tra i suoi aderenti anche numerosi religiosi e vescovi.
Oltre al grido contro "i mercanti di morte", nella città scaligera condanna gli spacciatori di droga e invita i 30 mila giovani che lo ascoltano a respingere tutte quelle possibili tentazioni legate al tenebroso canto di morte delle sirene che vendono stupefacenti. Nell'incontro con gli industriali veronesi, chiede infine che "i profitti vengano sottoposti a criteri morali", criticando quanti sono attratti da un sempre più vasto "dominio economico".

URUGUAY, BOLIVIA, LIMA, PARAGUAY IL PRIMO VIAGGIO INTERNAZIONALE DELL'88

Dopo una interruzione di circa 7 mesi il Papa torna a peregrinare per il mondo a maggio. Quattro le tappe scelte per questo nuovo viaggio internazionale, il trentasettesimo fuori i confini italiani. Regione interessata, il Sudamerica, dove dal 7 al 19 maggio visita Uruguay, Bolivia, Lima in Perù, Paraguay. Quasi due settimane di pellegrinaggio per vesitare quattro tra i più difficili paesi del mondo, dove Wojtyla entrerà in contatto con problemate complesse e all'apparenza quasi irrisolvibili, come la povertà atavica di zone da secoli appresse da sistemi politici illiberali, sfruttamento, mancanza di risorse. Zone dove sempre più spesso e volentieri, contadini, campesinos, indios hanno solo nella Chiesa l'unica speranza per poter continuare a guardare al futuro.
Il viaggio, in verità, inizia in salita fin dalla prima tappa. In Uruguay il Pontefice è costretto a confrontarsi con una situazione locale che, oltre ai problemi di povertà e di mancanza di sviluppo, non dà molto peso alla religione. Basti pensare che nel paese esiste il divorzio da un secolo, la Settimana Santa viene chiamata "settimana del turismo" e la festa dell'Immacolata Concezione è la "giornata della spiaggia". Ecco perchè, nei due giorni passati in Uruguay il Papa batte sempre sul tasto della nuova evangelizzazione. "Una nuova evangelizzazione - si raccomanda - nel suo ardore, nei suoi metodi, nel suo modo di esprimersi". Ma, soprattutto, una rievangelizzazione da fare subito. E prima di lasciare l'Uruguay il Pontefice suona con forza la carica ai diretti interessati, vescovi, preti, catechisti, religiosi e religiose, invitandoli a "fare presto", perchè "comincia a delinearsi all'orizzonte il grande giubileo del terzo millennio del cristianesimo".
In Bolivia, invece, deve misurarsi con le grandi sacche di povertà che gravano su gran parte della popolazione, vittima della fame, ma anche dei signori della droga visti non di rado come l'unica possibilità per poter limitare i morsi della fame. Problemi che Wojtyla denuncia fin dai suoi primi discorsi pubblici. Come nel grande incontro di La Paz dove, accolto tra danze e balli da migliaia e migliaia di campesinos, bambini, donne vestite con i costumi tradizionali, grida infatti un forte "no a ingiustizia e violenze". Sì, perchè in Bolivia, la fame e la povertà viaggiano sempre di pari passo con la violenza dei più forti contro i più deboli, una violenza di pochi, ma ben armati e sempre al servizio dei potenti. Situazioni che il papa ben conosce, grazie alle periodiche informazioni che gli forniscono i vescovi boliviani. Ed è proprio a loro che si rivolge nell'ultimo discorso tenuto in Bolivia, invitandoli a "difendere e a promuovere la giustizia, denunciando le sue violazioni come contrarie al Vangelo e i metodi ingiusti che usano i potenti".
A Lima, capitale del Perù, altro bagno di folla, altro tour de force con sette discorsi pronunziati in una sola giornata. Su segnalazione della polizia, però, il programma della visita è parzialmente modificato, per alcune voci circa un possibile attentato contro il Papa. In effetti, un'auto carica di tritolo viene fatta esplodere e la città per diverse ore resta senza elettricità. Ma, fortunatamente, il Papa e il suo seguito non vengono coinvolti. È però uno degli innumerevoli segnali di inquietitudine di un paese alle prese con problemi di povertà e di violenza. E Wojtyla nel suo discorso si sente in dovere di ricordarlo con chiare parole di condanna.
Come pure non esista a condannare severamente anche quella parte del clero che, avverte il Pontefice, mettendo in pratica un falso concetto della teologia della liberazione, dà luogo ugualmente ad altre forme di violenza che la Chiesa non potrà mai accettare. "Esistono forme errate della teologia della liberazione - spiega con toni decisi nell'incontro col clero peruviano - forme nelle quali i poveri sono concepiti in forma riduttiva, dentro un segno esclusivamente economico, e si propone loro una lotta di classe come unica soluzione possibile. Si arriva così a una situazione di conflitto permanente, a una visione equivoca della missione della Chiesa, a una falsa liberazione che non è quella che offre Gesù Cristo".
L'ultima tappa di questo viaggio sudamericano è ancora più travagliata, ma ugualmente carica di significato e di messaggi profetici, specialmente sul piano socio-politico. Scenario, il Paraguay e il suo presidente, Alfredo Stroessner, dittatore-padrone del paese, che cercherà in tutti i modi di "usare" la visita del Papa per rilanciare presso l'opinione pubblica la sua immagine di statista illuminato e di "buon" cristiano. Quando il Pontefice arriva a Asuncion, la città è in stato di guerra, polizia e militari in ogni angolo, mura tappezzate con gigantografie raffiguranti Karol Wojtyla e Strossner. Nemmeno l'ombra, invece, del messaggio di benvenuto al Papa fatto affiggere dai vescovi locali, nel quale i presuli accennavano, tra l'altro, anche ai profondi disagi e alle violenze a cui il regime sottopone i partiti di opposizione.
Stroessner accoglie il Papa con una semplice stretta di mano e senza baciargli l'anello pontificio (atteggiamento strano per uno che giura di avere una fede cristiana al di sopra di ogni sospetto), e con un discorso nel quale parla del suo paese come del "più libero, più democratico, più giusto, più nutrito, più sicuro e più in pace del mondo". Karol Wojtyla gli fa eco ricordandogli, invece, che la politica ha una dimensione etica essenziale, perchè è prima di tutto un servizio all'uomo". "La Chiesa può e deve ricordare agli uomini - ricorda ancora - quali sono i doveri etici fondamentali per una ricerca del bene di tutti". Un ruolo di denuncia che i vescovi del Paraguay svolgono da sempre con continui appelli e richiami in difesa dei poveri e degli oppressi dal regime. Ecco perchè il Papa ricorda a Stroessner che "non si può mettere da parte la Chiesa e i suoi templi, così come non si può mettere da parte Dio nella coscienza degli uomini".
Dopo un forte incitamento ai vescovi affinchè non desistano mai nella loro opera di evangelizzazione e di denuncia, il Papa conclude la visita in Uruguay rivolgendosi alle "autorità pubbiche" per perorare la causa dei campesinos. "Le autorità - ammonisce - devono sentirsi obbligate a cercare una soluzione ai drammi che la campagna della vostra terra presenta oggi. Si cerchino i mezzi opportuni perchè sempre più siano coloro che hanno accesso alla proprietà della terra". Parole forti, dette anche in segno di solidarietà per una folta rappresentanza di campesinos che per tutta la durata della visita papale dentro la chiesa dell'Incarnacion ha fatto lo sciopero della fame contro il presidente Stroessner e il suo governo.
Giovanni Paolo II incontra gli indios del Sudamerica


I VIAGGI NELLA "ROSSA" EMILIA ROMAGNA, NEI DRAMMI DELLA CALABRIA E DELLA SICILIA, E NELLA "CATTOLICISSIMA" AUSTRIA

Appena il tempo di tirare il fiato dopo le fatiche affrontate nel viaggio concluso il 19 maggio in Sudamerica, culminato coi severi richiami al dittatore paraguayano Stroessner, ed ecco che Karol Wojtyla riprende a peregrinare per le strade del mondo. Ben tre le tappe previste per il mese di giugno '88, le visite in Emilia Romagna (dal 3 al 7), a Messina e Reggio Calabria (l'11 e il 12) e in Austria dal 23 al 27 giugno.
In Emilia Romagna, la regione a più alto tasso di anticlericalismo, la terra amministrata dal maggior numero di giunte di sinistra, il pellegrinaggio assume un valore tutto particolare. Giovanni Paolo II ha il merito di riscoprirvi le profonde radici cristiane, malgrado decenni di atteggiamenti all'apparenza poco benevoli verso le istituzioni ecclesiastiche. Visita, sempre accolto con calore ed entusiasmo (un dato che sorprende commentatori e mass media), Carpi, Modena, Fiorano, Fidenza, Piacenza, Castel San Giovanni, Reggio Emilia, Parma e Bologna.
L'ultima e più significativa tappa, Bologna la "rossa" per eccellenza. Ma l'incontro si trasforma in un sincero abbraccio tra il Papa venuto da Roma, popolazione e istituzioni. Wojtyla impartisce a tutti la sua benedizione ("a credenti e non credenti") in nome della solidarietà, e in cambio riceve applausi ed apprezzamenti. Il momento più alto della visita, l'incontro all'università di Bologna, dove il Pontefice, accompagnato dal segretario di Stato il cardinale Agostino Casaroli e dal cardinale Giacomo Biffi, arcivescovo di Bologna, viene ricevuto dalle autorità cittadine e dal rettore Fabio Roversi Monaco. Altro momento forte, l'incontro con i giovani a piazza Maggiore, accorsi a migliaia malgrado il maltempo.
"Sono venuto ad irrigarvi", è l'esordio scherzoso del Papa, che in un breve intervento riesce a tener desta l'attenzione dei presenti su temi cruciali come la scuola, l'Europa e la solidarietà. "Questa vecchia Europa - spiega - ha bisogno di una nuova cultura. Di quella vecchia lasciataci in eredità dai secoli ormai sono rimasti soltanto i monumenti. Bellissimi, pieni di storia, ma ormai freddi e senza vita. Riscriverne un'altra, ecco il problema che abbiamo di fronte mentre sta per sorgere il terzo millennio". "Questa nostra Europa è invecchiata, ha perso per strada i fili che le permettevano di andare avanti. La sua scienza è ormai staccata da Cristo. Della sua cultura sono rimasti soltanto i monumenti di un glorioso passato. È tempo di evangelizzarla di nuovo e di creare una nuova cultura". Quanto ai problemi dell'insegnamento, papa Wojtyla spiega ai giovani che "la scuola non deve servirvi soltanto a conquistare una specializzazione, voi siete una grande ricchezza da usare soprattutto per difendere e aiutare i più deboli".
Dopo appena 5 giorni, l'infaticabile Wojtyla è in Sicilia, a Messina, accolto anche qui da grandi folle che si attendono da lui una parola contro quelle che da anni e anni sono l'autentico cancro della Sicilia e dell'intero Meridione, la mafia, la ndrangheta e la camorra. Nel primo intervento pronunciato a Messina, dove beatifica tra l'altro una clarissa del posto, suor Eustochia, vissuta nel 1400, Giovanni Paolo II tiene un discorso improntato ad una severa condanna per tutte le violenze e da un forte impulso di incoraggiamento. Elogia, infatti, i messinesi per la "scelta della vita che ha continuato ad essere amata, accolta e diffusa, nonostante ogni vicenda di morte" di cui in particolare la Sicilia è vittima per colpa di un occulto potere mafioso. Nel pomeriggio dello stesso giorno, attraversa lo stretto di Messina per recarsi a Reggio Calabria. Accolto da duecento vescovi, dal cardinale Ugo Poletti, presidente della Cei, e da autorità civili e militari, presiede alla conclusione del Congresso eucaristico nazionale, nel corso del quale i partecipanti hanno lanciato l'appello per "una tregua di Dio" a tutti coloro che hanno scelto la violenza come "metodo" di vita.
Il pellegrinaggio nel Meridione è seguito da appena dieci giorni di sosta in Vaticano. Dopo di che Wojtyla vola in Austria il 23 giugno per ricambiare la contestata udienza concessa l'anno precedente al presidente austriaco Kurt Waldheim, sul quale ancora pesa la macchia per il suo passato di giovane militare nazista. Fatale che anche questo nuovo incontro debba essere accompagnato dalle rimostranze delle comunità ebraiche internazionali e in particolare quelle austriache. Ma il Papa, tenendo saldamente fede al suo stile, nemmeno questa volta si ferma davanti alle polemiche. In Austria incontra tutti, autorità civili e comunità ebraiche. A tutti offre il suo messaggio di pace e di riconciliazione alla luce della verità. Ed infatti uno dei punti più significativi della viaggio austriaco è la visita al campo di concentramento di Mauthausen. Di fronte alle testimonianze dirette della barbarie nazista ricorda che tutto questo "è accaduto nel cuore dell'Europa, a metà del nostro secolo". "Le domande che ci poniamo - è l'interrogativo che si pone - sono abbastanza incisive e lo sono i nostri rimorsi che ci restano?". "Uomo di ieri, e di oggi - se il sistema dei campi di sterminio esiste ancora in qualche parte del mondo - dicci che cosa il nostro secolo può trasmettere ai secoli che seguiranno. Dicci come potrà svilupparsi l'umanità dopo Auschwitz e dopo Mauthausen. Ci allontaniamo dalle terribili esperienze di allora, ma andiamo nella direzione giusta? Parla tu che hai sofferto e perduto la vita, ne hai il diritto. E noi dobbiano ascoltare la tua testimonianza". Ugualmente significativa la grande Messa celebrata nell'ultimo impegno austriaco, a Trausdorf nel Burgenland, dove per la prima volta sono stati aperti i confini tra Est e Ovest e il Papa si è potuto incontrare anche con sessantamila ungheresi e quindicimila croati arrivati in pulman o con mezzi di fortuna.
Giovanni Paolo II incontra i sindaci siciliani


UNA LETTERA SEGRETA A GORBACIOV

Wojtyla, papa dei gesti improvvisi, istintivi, profetici. Uno di questi gesti è senza dubbio l'invio di una sua lettera al leader sovietico Mikhail Gorbaciov. L'iniziativa ha del sensazionale: è la prima volta che un papa di Roma scrive personalmente a un presidente dell'Urss, un gesto destinato nell'immediato futuro ad avvicinare in maniera inimmaginabile la distanza tra Mosca e il Vaticano. La notizia filtra ufficiosamente durante il viaggio in Emilia Romagna. Pur non ricevendo il crisma dell'ufficialità, nell'enturage papale si fa capire che il cardinale segretario di Stato Agostino Casaroli è pronto per volare alla volta di Mosca per consegnare a Gorbaciov una lettera dal Papa. Il cardinale parte infatti l'8 giugno. Nella capitale sovietica guida la delegazione vaticana alle celebrazioni del millennio del battesimo cristiano della Russia. Appena mette piede a Mosca, Casaroli viene ricevuto al Cremlino dal leader sovietico, e durante il colloquio gli consegna la lettera di Wojtyla, il cui contenuto però non sarà mai reso noto. Si riesce solo a capire, ma in maniera indiretta e riduttiva dalle parole dello stesso cardinal Casaroli alla vigilia della partenza, che il Santo Padre "apprezza" il nuovo corso della politica sovietica e specialmente quelle parti relative alla libertà religiosa annunciate da presidente Gorbaciov.
Storico gesto di pace lungo decine e decine di anni, sinceramente apprezzato dal leader societico, che di lì a qualche mese dopo darà seguito ad un altro storico avvenimento, la visita in Vaticano di Gorbaciov, la prima di un presidente dell'Urss.

LA LETTERA AL VESCOVO "RIBELLE" IL FRANCESE MARCEL LEFEBVRE

Giugno mese delle rose (i grandi viaggi, la nascita dell'intesa con Gorbaciov), ma anche il mese delle spine. E per spine si intende il lungo braccio di ferro intercorso tra la Santa Sede e il vescovo tradizionalista Marcel Lefebvre, il presule "ribelle" anticonciliare, sospeso a divinis per essersi rifiutato di celebrare la Messa applicando le nuove indicazioni del Concilio e per aver consacrato illecitamente alcuni sacerdoti.
Ma all'inizio di giugno, monsignor Lefebvre decide di fare il classico passo più lungo della gamba. Annuncia infatti, con toni di aperta sfida all'autorità del Papa, che ad agosto consacrerà 4 vescovi tradizionalsti, senza, naturalmente, il permesso del Vaticano. È lo scisma, la rottura definitiva con la Chiesa romana. Un vero tradimento, malgrado le tante concessioni ricevute dal Vaticano durante i precedenti ripetuti incontri col cardinal Joseph Ratzinger, prefetto della Congregazione per la dottrina della Fede. La Santa Sede, pur di evitare un altro doloroso scisma, è pronta a concedere a monsignor Lefebvre la possibilità di celebrare la Messa in rito latino e di poter gestire i suoi conventi e seminari. Niente da fare. Il primo giugno '88, il vescovo francese annuncia che consecrerà i "suoi" vescovi, per niente preoccupato che quel gesto lo porterà automaticamente allo scisma.
Chi, invece, alla notizia della sfida lanciata dal vescovo tradizionalista si mostra profondamente preoccupato è il Papa. Per giorni e giorni spera in un ripensamento del presule ribelle. Ma quando si accorge che la situazione sta per precipitare gli invia una lettera scongiurandolo, in nome di Dio, di non commetere quel gesto di sfida. È uno dei documenti più sofferti e alti dell'intero pontificato di Giovanni Paolo II. "Vi esorto, venerato fratello - scrive il Papa - a rinunciare al vostro progetto che non potrà che portare a un atto scismatico, le cui conseguenze teologiche e canoniche sono da voi conosciute. Vi invito ardentemente a ritornare in umiltà alla piena ubbidienza al Vicario di Cristo. Ve lo chiedo per le piaghe di Cristo nostro Redentore, a nome di Cristo che la vigilia della sua passione ha pregato per i suoi discepoli affinchè tutti siano una cosa sola. Caro fratello, non permettete che l'anno dedicato in modo particolare alla madre di Dio porti una ferita al suo cuore di madre". Parole nobili, sofferte, profondamente umane, ma che il "sordo" Lefebvre ignorerà completamente. Ad agosto metterà in atto il suo progetto scismatico consacrando illegalmente 4 vescovi. E la Santa Sede non potrà fare altro che scomunicarlo insieme ai nuovi presuli tradizionalsti e a tutta la sua comunità.

L'UDIENZA IN VATICANO AL DALAI LAMA

Dopo il grande incontro di preghiera di Assisi del ottobre '86, il Dalai Lama, il capo spirituale dei buddisti tibetani, si incontra per la seconda volta col papa. L'udienza avviene il 14 giugno '88, nel corso del tour europeo del leader buddista. Il colloquio tra Giovanni Paolo II e Tenzin Gyatso, questo il nome del Dalai Lama, dura circa mezz'ora, nello studio privato del Pontefice.
L'udienza è definita dal portavoce di Giovanni Paolo II, Joaquin Navarro-Valls, "un incontro a carattere religioso tra due leader spirituali che hanno preso in esame problemi riguardanti i valori religiosi e la pace nel mondo". Senza aggiungere altro. Ma è molto probabile che il Dalai Lama abbia illustrato al Papa il piano di pace per il Tibet, che ha come punto principale il ritiro delle truppe cinesi dalla regione tibetana, piano che dopo la visita in Vaticano, presenterà ufficialmente al Parlamento europeo di Strasburgo. Conclusa l'udienza papale, il capo spirituale buddista è ricevuto anche dal cardinale Francis Arinze e da altri responsabili del segretariato vaticano per i non cristiani.

LA RIFORMA DELLA CURIA

Giugno '88 per il Papa è anche il mese della grandi riforme. In occasione del quarto centenario della nascita della Curia, creata nel 1588 da Sisto V, e dell'ottantesimo della ristrutturazione degli organismi curiali fatta da Pio X, con la Costituzione apostolica del 28 giugno 1988 Giovanni Paolo II presenta la sua grande riforma.
È un ampio progetto di 193 articoli che "aggiorna" in senso più moderno la Curia vaticana, dando un taglio più dinamico e organizzativo a dicasteri, a commissioni pontificie e a tutti gli altri organismi vaticani alla luce delle nuove esigenze della Santa Sede. Non si tratta di una rivoluzione strutturale nel senso pieno del termine. Ma di un rinnovamento organizzativo degli uffici che affiancano l'opera evangelizzatrice del Santo Padre in lineo col rinnovamento conciliare. Karol Wojtyla, dopo aver raccolto su questo tema i pareri di tre commissioni cardinalizie, di tre assemblee plenarie cardinalizie e dopo una consultazione generale di tutto l'episcopato del mondo, "ritocca" sensibilmente la precedente riforma apportata da Paolo VI il 15 agosto 1967. Tra le novità più importanti, un più diretto controllo delle attività dello Ior, l'Istituto per le opere di religione, la banca vaticana, che viene inquadrata all'interno della Curia e resa uno degli organi centrali della Chiesa, perdendo così la precedente autonomia gestionale. Una commissione cardinalizia, inoltre, sovrintenderà a tutte le operazioni dell'ente.
Viene, inoltre, istituito un organismo competente sui problemi di lavoro e di giustizia lavorativa dei dipendenti della Sante Sede. La nuova riforma porterà alla riunificazione dei dicasteri per i Sacramenti e per il Culto divino. Completamete nuova è la Commissione per il patrimonio dell'arte sacra.

LA SECONDA VACANZA IN CADORE

Archiviati i grandi impegni del primo semestre dell'anno, con la fine di giugno, nell'aria, come ogni anno, incomincia a diffondere profumi e voglie di vacanze, che per il Papa significa incominciare a sentire il richiamo della montagna. Memore delle felici vacanze passate nell'87 nel Cadore, il Pontefice anche quest'anno parte alla volta delle Dolomiti. Stesso posto, la villetta di Lorenzago in Cadore, stesso entusiasmo per le infinite possibilità di fare escursioni con ai piedi il solito paio di scarponi da montagna. Ma con una novità, la vacanza sarà più lunga di tre giorni, dal 13 al 22 luglio. Nove giorni fatti di lunghe passeggiate, attraverso nuovi itinerari, e con una puntata sull'Adamello sabato .
Come l'anno passato, il papa viene accolto con grande calore, anche se la popolazione del Cadore cerca di evitare, quando è possibile, di invadere la sua privacy. Ritrova gli stessi amici, il vecchio parroco di Lorenzago, il sindaco socialista, vecchi e nuovi villeggianti che per tutta la durata della vacanza ogni giorno fanno a gara per cercare di individuare il percorso giornaliero che sarà fatto dal Pontefice. Ogni spostamento, naturalmente, avviene sotto lo sguardo attento di giornalisti e cineoperatori. Suggestiva la Messa celebrata sull'Adamello, al cospetto di duemila alpini, a quota 3.500 metri. Giovanni Paolo II dedica l'Eucarestia in particolare ai militari caduti sull'Adamello alla cui memoria il rifugio porta il nome. Il Papa, però, la trasforma in un inno alla pacificazione universale, senza dimenticarsi di ricordare nell'omelia i caduti di tutte le guerre. "Pensando agli altri episodi di guerra avvenuti in questi luoghi e alle innumerevoli vittime colpite dall'odio e dalla violenza - confessa durante la Messa - si sente una profonda angoscia per la sorte di quegli uomini, in balìa dei crudeli rivolgimenti della storia". Anche dalle cime dell'Adamello lancia un appassionato appello alla pace nel mondo: "Esprimiano nuovamente il nostro anelito e la nostra invocazione alla pace, alla fraternità, alla concordia tra i popoli e le nazioni. In avvenire sia la pace a guidare il cammino dell'umanità. La pace maestosa di queste montagne è un invito ed un impegno a costruire e a consolidare una società libera dalla schiavitù della guerra e dell'odio". La seconda vacanza nel Cadore di papa Wojtyla prosegue poi con le visite a Stava, a Belluno, nei luoghi del suo predecessore Giovanni Paolo I, a Pietralba, nella cima di Sappada, e a Treviso. Prima del ritorno a Castel Gandolfo, grande celebrazione nella piazza di Lorenzago, davanti alla chiesa parrocchiale, con tanti entusiastici "arrivederci all'anno prossimo".

LA CHIUSURA DELL'ANNO MARIANO CON UN ANNUNCIO: "PRESTO PUBBLICHERÒ UNA LETTERA SULLA DONNA"

Ma il felice ricordo delle seconde vacanze sul Cadore, appena rientrato nella residenza estiva di Castel Gandolfo, ben presto lascia il passo agli impegni legati al governo della Chiesa universale. La prima importante scadenza è la solenne conclusione dell'Anno Mariano in programma il 14 e il 15 agosto '88. L'occasione sarà resa ancora più solenne perchè il papa renderà nota un'altra sua importante iniziativa, la pubblicazione dell'atteso documento sulla donna. Si tratterà di una Lettera apostolica, porterà la data del 15 agosto, giorno della festa della Madonna Assunta. Non si sa ancora se sarà pubblicato nel corso della stessa conclusione dell'Anno Mariano, o se sarà portato alla conoscenza del mondo intero nelle prossime settimane, in attesa della fine delle traduzioni nelle varie lingue. Un dato, comunque, è certo, nella Lettera il Pontefice dedicherà a tutto l'universo femminile, sia la donna consacrata nella Chiesa che quella che vive nella società e specialmente nella fanmiglia, un appassionato documento destinato a generare autocritiche (tra gli uomini, si intende), dibattiti e presa di coscienza in difesa dell'altra metà del cielo. Il tutto inserito, con la data del 15 agosto, nella solennità della conclusione dell'Anno Mariano, che il Papa celebra la sera del 14 nella basilica di Santa Maggiore, la più grande chiesa del mondo dedicata alla Madonna, e la mattina dopo a San Pietro.
Sulla Lettera apostolica e sul suo contenuto torna a parlare ancora il Pontefice il 2 settembre durante l'udienza concessa a un gruppo di vescovi statunitensi ricevuto a Castel Gandolfo, poche ore prima di partire per Torino, il primo viaggio autunnale in Italia, il secondo nel capoluogo piemontese (a Torino si recò 13 aprile 1980). Nell'accennare al nuovo documento, il Papa prende lo spunto per ribadire che la donna sia liberata "da ogni discriminazione basata sul sesso" e da tutte le forme di sopraffazione a partire dalla violenza sessuale e dallo sfruttamento della bellezza femminile attraverso la pornografia. Nell'evocare la necessità dell'avvento di un autentico "femminismo cristiano", Giovanni Paolo II chiede che la donna sia salvaguardata nel mondo del lavoro, della produzione, ma soprattutto difesa nell'ambito della famiglia e del suo ruolo di mamma e di sposa.

IL VIAGGIO A TORINO

La stagione autunnale viene inaugurata con la tre giorni di Torino, preceduta, in verità, da due "preamboli" nella secondo metà di Agosto, venerdì 19 ad Albano, e domenica 21 a Rocca di Papa. Due visite-blitz in altrettanti centri romani, a un tiro di schioppo dalla residenza estiva di Castel Gandolfo, quasi uno scherzo per un Pontefice come Karol Wojtyla, abituato a macinare migliaia e migliaia di chilometri senza battere ciglio.
Nella capitale piemontese torna a contatto con le grandi folle. Dal 2 al 4 settembre visita la Fiat, il Cottolengo, ma soprattutto presiede alle solenni celebrazioni per il centenario della morte di san Giovanni Bosco, fondatore dei salesiani. Per l'evento, il Papa è attesa da 2.500 giovani che studiano presso le scuole salesiane. La festa del centanario si svolge sotto un tendone bianco a Valdocco, casa natale di don Bosco. Il papa, appena arriva, la sera di sabato 2 settembre, saluta calorosamente al microfono i presenti confessando di sentirsi uno di loro. "Io mi trovo bene con i giovani, sempre. E particolarmente stasera, per questa buona notte che vi dò con tutto l'affetto".
Sul palco si susseguono spettacoli, canti, balli e saluti al Papa da una delegazione di giovani. Uno di essi, nel ringraziare il pontefice per essere presente al centenario di Don Bosco, dice, quasi a futura memoria, "noi abbiamo bisogno di amicizia, comprensione, affetto. Il nostro cuore non può restare deluso". Un invito che un personaggio come Wojtyla prende subito al volo. "A tutti i giovani del mondo porgo l'augurio - dice nel suo discorso di saluto - che quanto state compiendo per la vostra formazione porti frutti di bene". Invitandoli quindi ad essere "ardimentosi", "convinti", "aperti alla speranza", Giovanni Paolo II aggiunge: "Qui a Torino vi siete scambiati esperienze e progetti. Tornate ai vostri gruppi, nelle vostre comunità giovanili e parrocchiali rinvigoriti da tali testimonianze e prospettive". Ma, raccomanda. "se vi capitasse di inciampare e di cadere, ricorrete alla fede in Dio, ricorrete a Lui". La giornata conclusiva della visita a Torino, vede la beatificazione di Laura Vicuno, e la grande celebrazione allo stadio Comunale, davanti a circa 60 mila persone, in gran parte giovani. Nel ricordare che, "attraverso la testimonianza di Gesù, Dio ha dimostrato di essere il Dio della pace, dello sviluppo, della solidarietà, dei poveri e degli oppressi", il Pontefice ricorda che tutti, giovani e meno, giovani, sono "indispensabili" alla attuazione di quel piano salvifico voluto da nostro Padre. Traducendo questa considerazione sul piano sociale, conclude riferendosi a Torino: "Voi a Torino vivete certe situazioni sociali legate al tempo passato dei processi industriali. Rimane sempre davanti a noi un compito di ordine morale, quello di integrare spiritualmente e culturalmente coloro che sono differenti nella comunità, tanto più se condividono la stessa fede cristiana".

IL TRENTANOVESIMO VIAGGIO IN AFRICA: ZIMBABWE, BOTSWANA, LESOTHO, SWAZILAND, MOZAMBICO

Altri scenari si presentano agli occhi del Papa con il nuovo viaggio internazionale, il trentanovesimo del suo pontificato. Sono gli scenari dell'Africa australe che visita dal 10 al 19 settembre, toccando i territori dello Zimbabwe, Botswana, Lesotho, Swaziland, Mozambico. Nella lista dei paesi da visitare manca, non casualmente, il vicino Sudafrica. Non è stata una dimenticanza, ma una voluta omissione dovuta, come spiega la Santa Sede alla vigilia della partenza, al regime razzista ancora in vigore in quel Paese. Ma, per sfortuna e per ironia della sorte, Giovanni Paolo II, a causa del maltempo che colpisce l'aereo durante il volo dal Botswana al Lesotho, è costretto a sostare ugualmente per qualche ora in Sudafrica, precisamente all'aeroporto di Johannesburg, accolto dal ministro degli Esteri sudafricano "Pik" Botha.
Fuori programma a parte, tutto il viaggio si contraddistingue per una lunga serie di appelli contro la segregezione razziale e in difesa delle popolazioni africane colpite da fame e povertà. Il primo appello Wojtyla lo lancia, appenna arrivato ad Harare, nello Zimbabwe, chiedendo ai vicini governanti sudafricani di "liberare Nelson Mandela", il leader del movimento antiapartheid National African Congres, da anni in prigione per motivi politici. Loda, inoltre, lo stesso Zimbabwe come "nazione che vive un nuovo inizio, dove si sta instaurando una nuova era di pace e di riconciliazione, tra non poche difficoltà, una nazione alla quale tutta l'Africa, e certamente il mondo, guarda come a un segno che è possibile costruire un futuro migliore sulle basi della giustizia e della fratellanza in Dio, senza discriminazioni".
Ma, guardando ai paesi dell'intera regione dell'Africa australe, denuncia mali antichi e imperdonabili come "la discriminazione razziale, conflitti che causano un numero sempre maggiore di rifugiati, uccisione di persone innocenti e altre forme di violenza". "Non si può continuare con una visione razzista della disuguaglianza umana", ammonisce ancora rivolgendosi ai vescovi sudafricani accorsi nello Zimbabwe per incontrarlo insieme agli altri vesovi locali.
Stessi temi antirazziali, ma affiancati da analisi relative ad altre problematiche sociali, nella seconda tappa del viaggio, a Gaborone, capitale del Botswana. Il Pontefice viene accolto da un clima di festa incredibile. Sul palco, balli e danze con ragazze a petto nudo, secondo il tradizionale costume in voga nel Paese. Giovanni Paolo II, naturalmente, non si scompone. Sorride, stringe centinaia di mani, saluta tutti. Quando parla, si sofferma in particolare ad analizzare il problema dei poveri e a spiegare i "suggerimenti" contenuti in materia di povertà ed emarginaziozne nel Concilio Vaticano II.
"Questo tema - spiega - è stato ampiamente sviluppato dal mio predecessore Paolo VI. Egli disse, ad esempio, che il 'grido dei poveri' impedisce al religioso di compromettersi con qualsiasi forma di ingiustizia sociale".
Clima ancora più acceso a Maseru, nel Lesotho, dove la visita papale si macchia, indirettamente, di sangue. Succede che un'autobus viene assalita da sconosciuti e i passaggeri, quasi tutti pellegrini che stavano andando ad assistere alla Messa del Pontefice, vengono presi a colpi di arma da fuoco. Dopo la sparatoria, per terra restano una ventina di morti e i feriti non si contano. La tragedia condiziona notevolmente la partecipazione alla Messa, alla quale assistono in 50 mila, contro il milione e mezzo previsto. "Sono venuto in Africa come pellegrino di Pace - si sfoga papa Wojtyla durante la Messa - portando con me un messaggio di riconciliazione. Ora sono pieno di tristezza nel vedere che altri, che volevano unirsi a me in questo pellegrinaggio, sono state vittime di un sequestro che ha causato tanta angoscia ed è finito in uno spargimento di sangue. Prego il Signore che possa prendere a sè quelli che sono morti, che possa consolare i loro cari e garantire la rapida guarigione dei feriti".
Molto folklore, tanto calore e qualche problema protocollare durante la visita nel piccolo Stato dello Swatiziland, il cui sovrano re Msawanati, cattolico fervente (a suo dire), ma sincretista, si presenta al cospetto del Papa con le sue quattro mogli. Ma Giovanni Paolo II non si esime per questo dal condannare la poligamia e ad esaltare il valore del matrimonio cristiano. Più politica la visita del Mozambico, paese marxista da anni alle prese con una sanguinosa guerra civile tra l'esercito governativo e le forze di opposizione guidate dal movimento Renamo. Un lungo e drammatico braccio di ferro, causa di migliaia di morti, feriti e distruzione, che i vescovi e i missionari cattolici stanno cercando di sbloccare con una lunga opera di mediazione. Il Papa lo ricorda favorevolmente nel suo intervento a Maputo, capitale del Mozambico, ricordando per di più che "le attività dei miei fratelli vescovi mozambicani in favore della pace hanno avuto sempre il mio sostegno".

"IL POPOLO EBRAICO NON È DEICIDA"

Il Papa sa che la cosiddetta "memoria corta" è un male che colpisce quasi tutti, a partire dagli stessi cristiani. Ecco perchè, nel corso delle suo omelie, ogni tanto è costretto a ricordare documenti e prese di posizione della Chiesa che il popolo dei credenti tende a dimenticare. O che non conosce per niente. Tra le "vittime" più frequenti di queste periodiche amnesie collettive è uno dei più importanti documenti conciliari, la "Nostra aetete", con quale la Chiesa cattolica cancellò definitivamente la millenaria accusa contro gli ebrei di essere il popolo responsabile della morte di Gesù Cristo. La "Nostra aetate" è una risoluzione varata dal Concilio Vaticano II, tra le proteste degli ultratradizionalisti, venti anni prima. Il Pontefice la rilancia, quasi a sorpresa, nell'udienza di mercoledì 28 settembre '88, ripetendo un concetto che già in passato, sia da parroco, che da vescovo e cardinale, aveva più volte detto. E cioè che il "popolo ebraico non è deicida, non può essere accusato della mortù di Cristo e che Gesù fu ucciso per motivi politici".
"Storicamente responsabili di questa morte - afferma - sono gli uomini indicati dai Vangeli, almeno in parte, per nome". Vale a dire, Giuda, il procuratore romano Pilato, il Sinedrio, il Sommo Sacerdote. "Non si può allargare questa imputazione oltre la cerchia delle persone veramente responsabili". Citando poi il testo centrale della "Nostra aetate", precisa ulteriormente: "Se le autorità ebraiche con i propri seguaci si sono adoperati per la morte di Cristo, tuttavia quanto è stato commesso durante la passione non può essere imputato nè indistintamente a tutti gli ebrei allora viventi, nè tantomeno agli ebrei del nostro tempo". Secondo Giovanni Paolo II, il Gran sacerdote e il Sinedrio, chiedendo a Pilato di mettere a morte Gesù, decisero, con il concorso armato dei romani, di "eliminare un uomo ritenuto politicamente pericoloso", perchè temevano che Gesù potesse sollevare il popolo e provocare, quindi, la reazione degli invasori, l'esercito romano. Quanto alle responsabilità dirette e di coscienza di quelli che mandarono a morte Cristo, il Pontefice ricorda che, comunque, non si devono mai dimenticare le parole pronunziate da Gesù sulla croce: "Padre, perdonali, perchè non sanno quello che fanno".

LA "MULIERIS DIGNITATEM", LETTERA PASTORALE SULLA DIGNITÀ DELLA DONNA

Ampiamente annunciata nei mesi precedenti, il primo ottobre '88 la Santa Sede pubblica la "Mulieris dignitatem", la lettera pastorale di Giovanni Paolo II sulla donna. Non è una enciclica, ma è come se lo fosse. È il documento-manifesto sull'universo femminile (120 pagine, suddivise in una introduzione e sette capitoli) con cui papa Wojtyla pone al centro dell'attenzione generale il ruolo della donna. Ne esalta la sensibilità, le capacità, i contributi, le idee, la bellezza, il fascino, attraverso la descrizione delle più significative figure di donne attraverso un ampio e dettagliato "viaggio" storico e biblico. È il testo che esalta "il genio femminile" e condanna a voce alta tutte le forme di discriminazione (lavorativa, morale, sociale) che da sempre gravano sulle donne, le violenze, i vari tipi di sfruttamento pubblicitario, erotico e massmediologico della ballezza femminile. È il "verbo" con cui Giovanni Paolo II, dall'alto della sua incrollabile fede alla donna per eccellenza, la Madonna, rilancia il ruolo delle donne nell'ambito familiare, sociale e, perchè no?, politico. Ma senza confusioni né velleità rivendicazionistiche fine a sè stesse, come ad esempio, spiega la "Mulieris dignitatem", un certo femminismo estremistico. Il Papa, invece, parla, non casualmente, del ruolo del "femminismo cristiano", che ha nella Madonna, Madre di Dio, la sua più alta e compiuta espressione. La Lettera ribadisce ancora una volta, in materia di sacerdozio nella Chiesa cattolica, quanto il Pontefice ha già più volte affermato, e cioè che a nessuno è lecito stravolgere quanto Gesù Cristo istituì nell'Ultima Cena, assegnando solo agli apostoli le funzioni sacerdotali. Il documento pontificio porta la data del 15 agosto '88, giorno della festa dell'Assunzione e della conclusione dell'Anno Mariano.

IL QUARTO VIAGGIO IN FRANCIA E LA VISITA AL PARLAMENTO EUROPEO

È la Francia la meta dell'ultimo grande viaggio internazionale del 1988, il quarantesimo fuori dei confini italiani. La Francia, con tappe in città caratteristiche come Nancy, Metz, Mulhouse, Mont-Ste-Odile e Strasburgo, la visita politicamente più importante, in quanto qui papa Wojtyla parla davanti al Parlamento europeo. Il pellegrinaggio dura 5 giorni, dall'8 al 12 ottobre. Ovunque, accoglienze calorose e discorsi seguiti da migliaia di fedeli. A Nancy, in particolare, le parole del Pontefice volano più alto del solito con una fermissima condanna contro "l'impero" del male che sta minando la fede dei cristiani, le coscienze degli uomini di buona volontà, finanche la stabilità sociale. "C'è nel mondo un lato oscuro - grida Giovanni Paolo II sulla grande piazza Carnot di Nancy - c'è tanta gente oggi in preda all'angoscia". Questo male, afferma, può essere vinto solo con un grande ritorno alla fede in Dio, ed indica come modello la biblica figura di Giobbe. "La barca della Chiesa - spiega ancora a Nancy - è in mezzo al mondo. Al di là del furore delle onde, pensiamo a tutte le potenze del male, del peccato, della corruzione, della morte, che a volte si scatenano contro la Chiesa, contro la comunità dei discepoli di Cristo e che minacciano nello stesso tempo uomini e donne di questo mondo nella loro vita e nella loro dignità". L'ultimo giorno della visita, il Pontefice è ospite del Parlamento europeo di Strasburgo, dove tiene un discorso, definito "storico" da gran parte degli osservatori, davanti ad una platea attenta e interessata. Unica nota stonata un accenno di contestazione del pastore irlandese e parlamentare europeo, Ian Paisley, che prima di essere cacciato dall'aula riesce a lanciare al Santo Padre la farneticante accusa di essere l'Anticristo. Il breve incidente non turba minimamente la cerimonia. Giovanni Paolo II tiene quasi una lezione sul delicato rapporto tra fede e politica, condannado chi identifica i valori religiosi e valori politici. "Sbaglia - spiega - chi pensa che la fede è possibile solo se si torna al vecchio ordine". Tra i ripetuti e convinti applausi dei parlamentari europei, il Papa critica vecchi e nuovi integralismi religiosi, ma denuncia anche "i messianismi politici che sfociano spesso nelle peggiori tirannidi". In sostanza, un duro, deciso e convinto rifiuto di ogni concezione assolutistica sia della politica, che della religione. Come pure un rifiuto di tutte le ideologie, per colpa delle quali non di rado l'uomo ha perso la libertà. Il Pontefice invita infine i cristiani europei a manifestare liberamente e ad alta voce la loro fede. "Il cristianesino - esorta - non può essere relegato alla sfera privata. Esso ha un ruolo ispiratore dell'etica e una sua efficacia sociale. Se questo sustrato religioso o cristiano dovesse essere emarginato, non è soltanto tutta l'eredità del passato che verrebbe negata, ma perfino l'avvenire dell'uomo moderno europeo, credente o meno, verrebbe gravemente compromesso".

"CONTRACCEZIONE È BESTEMMIA"

"Rifiutare la dottrina del magistero della Chiesa sulla contraccezione è mettere in questione l'idea stessa di Dio". Appena rientrato dalla Francia, papa Wojtyla è chiamato a far sentire ancora una volta la sua voce su una materia che gli sta tanto a cuore e alla quale sta dedicando gran parte delle sue energie, la difesa della morale sessuale alla luce degli insegnamenti dell'"Humanae vitae" di Paolo VI, l'enciclica che ha solennemente ribadito la condanna della pillola e della contraccezione. Lo spunto gli viene offerto da un convegno internazionale sul ventesimo anniversario del documento montiniano svolto in Vaticano, i cui partecipanti, tra i quali monti teologi moralisti, vengono ricevuti in udienza domenica 13 novembre '88.
Giovanni Paolo II ne "approfitta" per difendere senza tentennamenti l'enciclica di Paolo VI. E per stanare qualche dubbio che di tanto in tanto in materia di contraccezione si insinua anche negli uomini di Chiesa afferma solennemente che la contraccezione è equiparabile a una bestemmia contro Dio. "Paolo VI - spiega - qualificando l'atto contraccettivo come intrinsecamente illecito ha inteso insegnare che la norma morale è tale da non annettere eccezioni: nessuna circostanza personale o sociale ha mai potuto, può e potrà rendere in sè stesso ordinato un tale atto". "Non si tratta di una dottrina inventata dall'uomo - sottolinea con forza - essa è stata inscritta dalla mano creatrice di Dio nella stessa natura della persona umana. Metterla in discussione equivale a rifiutare a Dio stesso l'obbedienza della nostra intelligenza". Severo il monito lanciato a quei teologi moralisti che su questo tema mostrano posizioni piuttosto differenti: "Allontanandovi dal magistero della Chiesa - avverte - vi esporrete alla vanità dell'errore e alla schiavitù delle opinioni".

A CENA IN VATICANO CON I COMPAGNI DI SCUOLA

Ma un Papa, e specialmente papa Wojtyla, non si rilassa mai? Tra i suoi tanti impegni, riesce ad avere momenti di privacy fuori dalle udienze, dalle grandi celebrazioni e dai grandi viaggi? Domande quasi retoriche per un pontefice come Giovanni Paolo II, che da quando è stato eletto successore di Pietro, malgrado i gravosi impegni a cui riesce a far fronte con inusitata energia e determinazione, non ha mai rinunciato alla sua amata montagna, dove ha sempre dimostrato di avere una robusta conoscenza con gli sci, alle nuotate in piscina o alle lunghe passeggiate tra il verde degli alberi e delle campagne.
Wojtyla, inoltre, ha sempre tenuto vivo il rapporto con i suoi amici polacchi e con la sua terra, mediante inviti frequenti nel suo appartamento privato in Vaticano o celebrazioni tenute esclusivamente per i suoi connazionali. Uno degli incontri conviviali che di sicuro gli resterà maggiormente impresso nella mente e nel cuore è la grande "rimpatriata" fatta il primo dicembre '88, sempre nel suo appartamento pontificio, con 22 suoi ex compagni di liceo invitati in Vaticano per festeggiare il cinquantesimo anniversario degli esami di maturità, conseguiti nel 1938. Alla festa partecipano venti amici arrivati dalla Polonia, uno da Roma e uno dal Canada.
Del gruppo fanno parte anche le tre attrici che, insieme al giovane Karol Wojtyla (denominato Lolek) recitavano al "Teatro Rapsodico" di Cracovia. L'iniziativa è partita da Jerzy Kluger, l'amico polacco ebreo del papa che vive da anni a Roma. Giovanni Paolo II vi ha subito aderito con entusiasmo. Così tutti gli altri. Il pranzo viene preparato dalle suore polacche che accudiscono l'appartamento pontificio. I 23 giovani-vecchi liceali gustano, così, in allegria pietanze tipiche della loro terra, servite mentre l'appartamento papale, diventato per un paio d'ore una piccola Polonia "spostata" in Vaticano, si riempie di ricordi e di tante risate.

LE UDIENZE "POLITICHE" DI FINE ANNO E L'APPELLO AI TERRORISTI DI TUTTO IL MONDO

Ma l'incontro conviviale con gli amici del liceo non è che una breve, anche se intesa e piacevole parentesi vissuta da Wojtyla tra i tanti impegni affrontati a conclusione del 1988. A cavallo tra novembre e dicembre in Vaticano vengono ricevuti, infatti, tre importanti leader politici, il presidente del Consiglio dei ministri italiano Ciriaco De Mita, il "padre" della primavera di Praga Alexander Dubcek e il presidente dell'Olp Yasser Arafat. Il Pontefice trova anche il tempo di lanciare un appello al "disarmo senza condizioni" ai terroristi di tutto il mondo nel discoro preparato in vista della Giornata mondiale per la pace che la Chiesa celebrerà il primo gennaio.
Sabato 19 novembre, varcano il Portone di Bronzo, in due distinte udienze, De Mita e Dubcek. È la prima volta che Il premier italiano viene ricevuto da papa Wojtyla. Oltre a una delegazione del governo, è accompagnato dalla moglie e dai 4 figli. Per i rapporti bilaterali tra Italia e Santa Sede la visita assume un carattere molto impegnativo, essendo la prima ufficiale dopo la ratifica del nuovo Concordato sottoscritto nel 1984 dallo Stato italiano e dal Vaticano. Sia il Papa che il presidente del Consiglio valutano positivamente l'andamento dell'applicazione delle nuove norme concordatarie, augurandosi entrambi che in futuro la "feconda collaborazione" tra Stato e Chiesa cattolica possa essere ancora più fattiva. Giovanni Paolo II mette comunque in guardia l'ospite dai facili ottimismi, chiedendo un maggiore impegno in materia di degrado morale. Sollecita, in particolare, interventi legislativi a tutela della famiglia e condanna i mali che, a suo parere, stanno creando i maggiori problemi alla tenuta del tessuto sociale italiano, cioè l'aborto, le manipolazioni genetiche, la droga e la criminalità ad essa collegata. Il presidente De Mita risponde dichiarandosi completamente d'accordo con le esortazioni papali, specialmente, dice, quelle che riguardano la difesa della famiglia, per la quale assicura l'impegno del suo governo e del Parlamento italiano, pur nel rispetto delle differenti posizioni esistenti in un sistema politico democratico, laico e pluralista. Assicura, inoltre, che si farà promotore di un progetto di legge che porterà in Italia la parità scolastica tra insegnamento pubblico e privato.
Nel pomeriggio dello stesso giorno, nello studio privato del Pontefice arriva, in udienza privata, Alexander Dubcek, accompagnato dal preside della facoltà di Scienze politiche dell'università di Bologna, Guido Gambetta. Dubcek si trova in Italia per ricevere la laurea "honoris causa" conferitagli dall'univeristà di Bologna, un titolo assegnato al leader cecoslovacco per i suoi meriti sociali e politici acquisiti sul campo fin dai tempi della Primavera di Praga del '68. Il papa si complimenta con Dubcek, ma anche con il preside Gambetta per la scelta operata: "Avete fatto bene a prendere questa iniziativa". Giovanni Paolo II e Dubcek si scambiano poi un caloroso abbraccio, segno evidente di una antica stima reciproca, nata evidentemente ancor prima della nomina papale di Wojtyla.
Quanto all'appello ai terroristi, esso porta la data del 9 dicembre, giorno in cui in Vaticano il cardinale Roger Etchegaray presenta il messaggio scritto dal Papa per la Giornata mondiale per la pace '89. "Mi ascoltino - si legge nell'appello - mi ascoltino coloro che si sono messi sulla via inumana del terrorismo: colpire ciecamente, uccidere innocenti o compiere sanguinose rappresaglie non favorisce una equa valutazione delle rivendicazioni delle minoranze, per le quali essi pretendono di agire". Rivolgendosi, poi, ai militanti armati cattolici irlandesi, Wojtyla ammonisce che "nessun cristiano può coscientemente incoraggiare o appoggiare strutture e atteggiamenti che dividono le persone dalle persone, i gruppi dai gruppi. Lo stesso insegnamento vale per quanti hanno fatto ricorso alla violenza". Il documemto, spiega il cardinale Etchegaray, è il primo del magistero papale riservato a questo argomento, non si riferisce in particolare a nessuna area socio-politica, ma non lascia nessun margine di indecisione in materia di condanna della violenza omicida del terrorismo.
Sulla scia di questo importante appello, il 23 dicembre arriva in Vaticano il presidente dell'Olp Yasser Arafat. È solo una coincidenza. L'udienza è privata, per cui alla fine del colloquio la sala stampa non emette nessun comunicato ufficiale. Si sa solo che Arafat spiega al Pontefice che il popolo palestinese ha, come sempre, due fondamentali obiettivi, una patria riconosciuta e una pace duratura con tutte le regioni mediorientali. Anche il Papa ribadisce la tradizionale posizione della Santa Sede, che si è sempre dichiarata a favore di una patria per i palestinesi, scongiurando però ogni forma di violenza e ogni ricorso alle armi.

IL PAPA DEDICA LA PREGHIERA DI NATALE AI MALATI DI AIDS E ALL'ARMENIA TERREMOTATA

I malati di aids e i terremotati dell'Armenia. È a loro che il Papa dedica il suo messaggio di Natale dalla Loggia della Benedizione della basilica di San Pietro. È alle vittime del male del secolo e della grande calamità che si è abbattuta sul popolo armeno, che va il pensiero di Karol Wojtyla nell'ultimo grande discorso dell'anno, il 1988, che volge al termine, tenuto la mattina del 25 dicembre. L'atteso messaggio natalizio, trasmesso in mondovisione, per la prima volta viene mandata in onda in diretta anche sulle televisioni sovietiche, è un segnale di non poco conto sui nuovi rapporti che stanno nascendo tra la Santa Sede e l'Urss.
Ai malati di aids il Pontefice dice con forza di non perdere mai la speranza. Ma, nello stesso tempo, in loro favore chiede la solidarietà di tutti e "studi più approfonditi con cui sconfiggere nel più breve tempo possibile il morbo". Wojtyla, in particolare, esorta credenti, non credenti, scienziati, ricercatori, uomini di buona volontà, a superare "la diffidenza di un ambiente sociale impaurito e istintivamente sfuggente".
"In questo giorno di Natale - continua l'appello papale - penso in particolare a quanti sono stati colpiti in Armenia dal disastroso sisma e ora piangono i loro cari sepolti tra le macerie; sono vicino a quanti vegliano angosciati accanto ai feriti negli ospedali, a coloro i quali lottano col freddo e con le intemperie, privi di un tetto sotto cui cercare riparo per loro e per i figli". "Si sforzi nel mondo - esorta ancora il Pontefice - lo slancio di generosità che ha mobilitato governi, organizzazioni e singoli in una meravigliosa catena di solidarietà, e col contributo di tutti si avvii l'opera di ricostruzione, così che la speranza torni a rifiorire in quella terra tanto provata".
Gli ultimi impegni ufficiali dell'anno del Pontefice, nel rispetto della tradizione, sono la recita del "Te Deum", nella chiesa del Gesù, a Roma, il rito di ringraziamento al Signore celebrato la sera del 31 dicembre, davanti alle autorità civili e religiose. Quest'anno, però, papa Wojtyla ha voluto far precedere la celebrazione del "Te Deum" da un breve viaggio pastorale, il settantanovesimo in Italia, il dicembre, a Fermo e a Porto San Giorgio, in provincia di Ascoli Piceno. Quasi un blitz, durato poche ore, durante il quale Giovanni Paolo II pronuncia tre discorsi augura buon anno a migliaia di fedeli, e stringe centinaia di mani. Uno modo tutto wojtyliano di concludere felicemente il 1988.

IL 1989 NASCE ALL'INSEGNA DELLA PACE E DEL DISARMO E DI UN SORPRENDENTE ANNUNCIO: "IL PAPA ANDRÀ A CUBA"

È la pace la grande "protagonista" dei primi discorsi pubblici del Papa tenuti sulla scia del nascita del nuovo anno. Il primo intervento, la mattina di Capodanno nell'omelia di piazza San Pietro dove, davanti a migliaia di fedeli, al corpo diplomatico accreditato presso la Santa Sede, e sotto i riflettori delle televisioni di tutto il mondo, si augura "che il 1989 sia l'anno della pace, della giustizia e della crescente solidarietà, della sollecitudine sociale per ciascuno e per tutti".
"Oggi la Chiesa - spiega il Pontefice - pensa a tutti gli uomini dell'intero pianeta, a tutte le nazioni in cui ciascuno trova le proprie radici umane e la propria identità". Particolare attenzione Wojtyla chiede per le minoranze, per gli immigrati e per quanti sono costretti a lasciare la propria terra per andare a lavorare altrove. "Le sollecitudini e le speranze della Chiesa - avverte infatti Giovanni Paolo II - sono verso quanti sono costretti a vivere in un contesto sociale diverso dalle proprie tradizioni culturali e religiose. Si tratta di problemi minoritari. E il rispetto di essi va considerato in qualche modo come la pietra di paragone per un'armoniosa convivenza sociale e come l'indice della maturità civile raggiunta da un paese e dalle sue istituzioni, per garantire la partecipazione alla vita pubblica. Esso è segno di elevato progresso civile e ciò torna a disonore per quei paesi nei quali non è garantita tale partecipazione in un clima di vera libertà". Parole chiare ed incisive che vanno ad inserirsi autorevolmente nel teso dibattito in corso sia in Italia che negli altri Paesi occidentali dove negli ultimi anni la presenza di immigrati provenienti dal Terzo Mondo è cresciuta sensibilmente.
Le speranze di pace contenute nel discorso dell'inizio dell'anno trovano puntuale conferma nell'annuncio che il cardinale Roger Etchegaray, presidente di "Justitia et Pax", fa il 2 gennaio: "Presto il Papa visiterà Cuba". Il porporato nei giorni precedenti era stato ospite delle autorità cubane e durante un colloquio col presidente Fidel Castro aveva raccolto l'invito per il Pontefice a visitare l'isola simbolo del comunismo latinoamericano. "Sono assolutamente sicuro - spiega il cardinale Etchegaray - che la visita del Papa a Cuba si farà, non so quando avverrà, ma essa è desiderata dallo stesso Pontefice, dai vescovi e dai cristiani dell' isola. È desiderata anche da Fidel Castro".
Ed ancora la pace torna al centro dell'attenzione del Papa nel discorso che il 9 gennaio tiene al corpo diplomatico accreditato presso la Santa Sede. Nella consueta udienza di inizio d'anno agli ambasciatori presenti in Vaticano, il Pontefice non manca di sottolineare le buone notizie arrivate dal fronte della distenzione tra Est ed Ovest nell'anno appena concluso. Loda i trattati di disarmo bilaterale sottoscritti da Usa e Urss, ma si preoccupa di additare le tensioni sorte tra i paesi che si affacciano sul bacino del Mediterraneo e le lamentele pervenutegli dai cattolici residenti in Paesi dove non è stata ancora riconosciuta la libertà di religione. "La pace - avverte - è un bene assoluto, ma è anche un bene fragile, in difesa della quale tutti sono chiamati a vigilare".

IL VALORE DEI RELIGIOSI E DEI LAICI NELLA VITA DELLA CHIESA

Come un padre che spesso e volentieri si sente in dovere di dare consigli e ammonimenti ai propri figli, anche il Papa tante volte avverte l'esigenza di ricordare alla grande famiglia cattolica i valori di quelle verità evangeliche che costituiscono la base della fede cristiana. Per riparlare di queste verità, Giovanni Paolo II nella seconda metà di gennaio '89 prende lo spunto da due particolari circostanze, l'udienza concessa alle 120 monache abadesse responsabili dei monasteri benedettini italiani, e la pubblicazione dell'atteso documento sui laici nella Chiesa cattolica.
Alle abadesse, ricevute in Vaticano il 16 gennaio a conclusione del convegno su "Donna e vita monacale oggi", Giovanni Paolo II ricorda l'importanza della vita religiosa e contemplativa, vista non come "fuga" dalla realtà, ma come scelta di vita fatta di totale preghiera a Dio e di intenso lavoro manuale, contemplativo e culturale. Il Papa ricorda anche l'importanza della verginità che ogni suora fa al momento di prendere i voti. "La verginità come scelta di consacrazione a Dio e come rinuncia al matrimonio", ricorda il Pontefice, "non è frustrante perchè apre tutto l'essere ad una maternità secondo lo spirito". E come modello ancora una volta indica la Madonna.
Il documento sui laici, invece, è in un certo senso la "Magna carta" del pensiero di Giovanni Paolo II su come le persone non consacrate (mogli, mariti, nonni, giovani, catechisti) possono contribuire attivamente all'affermazione della parola di Dio nel mondo, in armonia con le indicazioni dei vescovi e della Chiesa. Il testo vede la luce un anno e mezzo dopo il Sinodo sui laici svolto in Vaticano nell'autunno dell'87. Nella prima parte del documento, papa Wojtyla analizza l'attuale momento della società, additando i maggiori problemi che travagliano l'uomo e quanto di negativo sta emergendo in particolare nella società del benessere. Partendo da queste analisi, il Papa scrive che il laico è chiamato a svolgere un ruolo di primaria importanza nella costruzione della Chiesa, secondo i vari carismi e le molteplici aspirazioni che muovono i passi dell'intero laicato, sia singolarmente che sotto forma di associazionismo. Nasce anche da qui, spiega il Papa, la strada per una nuova evangelizzazione in grado di fronteggiare le spinte che stanno portando il mondo verso pericolose forme di indifferenza religiosa.

"ROMA, CITTÀ CON ANGOLI DA TERZO MONDO"

"Roma, città da due volti e con angoli da Terzo Mondo, dove tanti hanno poco e pochi hanno troppo". Queste parole, uscite dalla bocca di Giovanni Paolo II il 6 febbraio '89 nel discorso tenuto durante l'udienza di inizio anno alla giunta amministrativa di Roma, segnano uno dei momenti in cui, secondo osservatori e opinione pubblica, il Papa ha svolto con più determinazione il suo ruolo di vescovo di Roma. È senza dubbio uno dei più alti richiami fatti dal Pontefice agli amministratori della Città Eterna, un monito in difesa dei più deboli destinato a condizionare l'opera sia della presente che delle future giunte capitoline.
La giunta che il 6 febbraio varca il Portone di Bronzo e si porta al cospetto del Papa è guidata dal sindaco democristiano Pietro Giubilo. Il Pontefice rivolge loro un discorso tutt'altro che formale. "Roma - spiega tra l'altro - appare una città a due facce: accanto a immensi tesori di beni religiosi, culturali, umani, si osservano settori di molteplici malesseri sociali, angoli da Terzo Mondo, punte di grande ricchezza e sacche di grande povertà. Accanto a gruppi che dispongono di ogni tipo di beni materiali, esistono altri che hanno appena il necessario. Vi sono pochi che possiedono molto e molti che possiedono poco". Lungo e doloroso è l'elenco dei mali che travagliano la città: "povertà vecchie e nuove, mancanza della casa, dei servizi specialmente nei quartieri periferici, malati, abbandono degli anziani, portatori di handicap, malati di aids, drogati, delinquenza". Roma, conclude il Papa, per far fronte ai suoi bisogni necessita di un nuovo di solidarietà per il quale devono sentirsi impegnati istituzioni pubbliche e private, volontari, uomini di buona volontà e, naturalmente, la Chiesa.
Analogo appassionato grido il Papa aveva lanciato appena 24 ore prima, ma non in difesa di una pur grande e particolare città come Roma, ma della vita intera. L'occasione, la annuale Giornata per la Vita indetta dai vescovi italiani il 5 febbraio. Davanti ad oltre 15 mila persone giunte in piazza San Pietro, Giovanni Paolo II ricorda che "tocca ai fedeli laici, che più direttamente o per vocazione o per professione sono coinvolti nell'accoglienza alla vita, rendere concreto ed efficace il sì della Chiesa alla vita umana". Questo perchè, avverte ancora il Santo Padre, "la vita di ognuno, quella che chiede di nascere, quella malata o debole, quella in declino, è un bene assoluto di tutti e per tutti".

PAPA WOJTYLA INTENSIFICA IL DIALOGO CON L'URSS E CONDANNA UFFICIALMENTE (E ANCORA UNA VOLTA) IL RAZZISMO

Dialogo con l'Urss e condanna del razzismo con un documento ad hoc. Sono le due importanti tematiche affrontate dal Papa nei giorni a cavallo tra la fine di gennaio e l'inizio di febbraio '89, e destinate a produrre importati ed insperati frutti nei mesi successivi. I rapporti tra Unione sovietica e Santa Sede ricevono una improvvisa impennata a partire dal 16 gennaio, quando in Vaticano arriva una delegazione ufficiale del Comitato sovietico per la pace, composta dal presidente Ghenrich Borovikh, dallo scrittore Vitalij Gubarev e dall'astronauta Gheorghi Grechko. L'incontro tra il Santo Padre e i tre personaggi sovietici è cordiale e molto intenso.
La notizia, pur essendo stata ampiamente pubblicizzata da tutta la stampa occidentale, in Urss viene data solo dopo dieci giorni. Il 27 gennaio ne parla per la prima volta l'Izvestija, seguita nientemeno che dal quotidiano del partito comunista, la Pravda, che dedica all'udienza vaticana una pagina intera, con tanto di foto del Papa e dei tre rappresentanti del Comitato per la pace. Interessante e sorprendente anche il commento con cui la Pravda accompagna la cronaca dell'udienza. Tra il Cremlino e il Vaticano, si legge sul foglio sovietico, non esistono "ancora" relazioni diplomatiche, "ma il dialogo è possibile, come dimostrano i contatti a vari livelli, fino all'incontro di Gorbaciov con Casaroli a Mosca. È veramente straordinario, con il capo della Chiesa che riceve tre comunisti, per un colloquio dedicato a problemi ugualmente importanti per ambedue le parti. Chi avrebbe potuto anche soltanto poco tempo fa?". La Pravda, significativamente, riporta anche un giudizio espresso da papa Wojtyla sul nuovo corso politico sovietico durante l'udienza. "Seguo con attenzione la perestrojka - aveva confessato il Pontefice ai tre alti emissari di Gorbaciov - seguo con attenzione il clima nuovo che la perestrojka sta creando. Democratizzazione e perestrojka sono molto preziose. Ho scritto a Gorbaciov dicendo proprio queste cose".
Un altro grande impulso alle relazioni sovietico-vaticane arriva il 6 febbraio con la visista in Vaticano del premio Nobel per la pace Andrej Sacharov. L'udienza col Papa è privata, ma il significato è altissimo. L'incontro avviene il giorno prima della pubblicazione di uno dei più importanti documenti del papato di Giovanni Paolo II, "La Chiesa di fronte al razzismo". Con questo documento papa Wojtyla ribadisce le sue tradizionali condanne verso ogni forma di razzismo e di discriminazione, definendole "bestemmie contro il Signore", in quanto si oppongono alla uguaglianza di tutti i figli di Dio. Altrettanto netta la condanna delle discriminazioni religiose. La Chiesa, ricorda il Santo Padre, è contro ogni forma di sopraffazione e di rifiuto, come pure si batte per la verità e per la giustizia, in tutti i campi, a partire dalla difesa della libertà di ciascun individuo. Un concetto ripreso il 10 febbraio davanti a 1.500 giornalisti, italiani e stranieri, ricevuti in udienza su invito dell'Ucsi (Unione cattolica stampa italiana). Punto centrale del discorso del Papa la verità legata alla libertà: "I giornalisti dicano sempre la verità se vogliono essere liberi". Sulla stessa linea il discorso pronunciato alla giunta regionale del Lazio, ricevuta in udienza il 20 febbraio '89, alla quale raccomanda con forza la sorte degli immigrati arrivati a Roma e nelle città laziali per cercare lavoro e rifugio. "Trattateli come fratelli e come tutti i lavoratori", esorta papa Wojtyla.

MASS MEDIA, TV E TEOLOGI "RIBELLI", LE SPINE DEL PAPA

La fine di febbraio '89 chiama il Santo Padre ad affrontare tematiche scomode, come l'uso perverso della tv e dei mass media, e la sottile ribellione di 163 teologi tedeschi, olandesi, svizzeri e austriaci in materia di morale sessuale e contraccezione, autentiche spine che un Papa come Giovanni Paolo II affronta con risolutezza e spezza senza esitazione.
Parlando il 24 febbraio alla Pontificia commissione per le comunicazioni sociali, il Santo Padre condanna il "flagello" della pornografia presente nei programmi televisivi e nei mass media. Con parole ferme chiede una programmazione più in linea con i necessari contenuti educativi di cui hanno bisogno in particolare i giovani. Il Papa sottolinea anche come la famiglia sia inadeguatamente presentata dai mass media, che mostrano "acriticamente" soltanto aspetti devianti quali l'infedeltà coniugale, i rapporti sessuali fuori dal matrimonio e l'assenza di una visione morale e spirituale del rapporto di coppia.
Su analoghe tematiche e con altrettanta fermezza nove giorni prima papa Wojtyla aveva respinto l'improvvisa ribellione esplosa, sotto forma di un documento di critica alle posizioni della Santa Sede, per mano di 163 teologi delle Chiese del nord Europa. In sostanza i 163 avevano mostrato un certo "fastidio" nei confronti della morale sessuale predicata dalla Chiesa. E in un documento avevano in particolare chiesto "lumi" circa la concreta applicazione pastorale dell'enciclica "Humanae vitae", con la quale il predecessore di papa Wojtyla, Paolo VI, aveva solennemente condannato la contraccezione e l'uso della pillola anticoncezionale. Giovanni Paolo II affronta il tema facendo pubblicare sulla prima pagina dell'Osservatore romano un ampio corsivo, nel quale i 163 teologi moralisti vengono apertamente richiamati all'ordine, e l'autorevolezza dell'Humanae vitae, specialmente nella parte relativa alla contraccezione, solennemente ribadita ("La norma morale dell'Humanae vitae non ammette eccezioni, in quanto proibisce un atto intrinsecamente disordinato").

MONITO AGLI AUTOMOBILISTI PRIMA DELLA BREVE VACANZA IN MONTAGNA

Tra le innumerevoli novità partorite dal genio di papa Wojtyla, c'è anche qualla di aver individuato una nuova categoria di peccatori: gli automobilisti indisciplinati. Il monito viene lanciato durante l'udienza dell'8 marzo concesso al ministro dei Lavori pubblici Enrico Ferri, al presidente dell'Automobile Club Rosario Alessi e a 200 dipendenti dell'Anas e dell'Aci. "Guidare secondo le norme di sicurezza stradale - è il ragionamento del papa - è un obbligo non solo giuridico, ma anche morale e religioso". I pirati del volante, avverte il Santo Padre, ne risponderanno anche davanti a Dio. "La violenza - avverte ancora il Pontefice - deve essere sempre condannata, anche quando si manifesta nella conduzione del mezzo meccanico, trasformato in strumento di distruzione e di morte".
Dopo qualche giorno, esattamente il 14 marzo '89, in incognito si concede una breve vacanza. Lontano da occhi e orecchie indiscrete, Giovanni Paolo II in tutta segretezza si reca a Campo Felice, in Abruzzo, dove trascorre diverse ore sulla neve. Un momento di autentico relax per il Papa montanaro per antonomasia. Wojtyla è accompagnato da una decina di persone. In abiti borghesi si concede anche alcune discese in sci, dominati dal Pontefice con classe e stile invidiabili, assicureranno in seguito i pochi fortunati che lo hanno potuto ammirare. La vacanza a Campo Felice dura sei ore. La presenza del Papa in Abruzzo non passa, comunque, inosservata. Alcuni sciatori che lo vedono esclamano meravigliati: "È un perfetto sciatore, che conosce bene la montagna e sa come affrontarla. Non è certamente uno dei soliti sciatori della domenica".

IL CONCERTO IN VATICANO DEL MISTICO BATTIATO, PRELUDIO PER UNA PASQUA DI PACE

Papa Wojtyla è un Pontefice costellato di tante "prime volte". Tra le più caratteristiche, il concerto di Fraanco Battiato in Vaticano alla sua presenza il 19 marzo '89, quasi un preludio, fatto di musiche mistiche, religiose ed orientaleggianti, alle imminenti festività pasquali che il Santo Padre celebrerà con un discorso che avrà i suoi punti salienti nella denuncia delle guerre, delel violenze, dell'intolleranza e del dissesto ecologico del pianeta.
Ad accogliere Franco Battiato nella sala "Paolo VI" in Vaticano oltre diecimila persone, testimoni di un evento che va al di là della pur grande valenza artistica dell'autore siciliano, perchè per la prima volta nella storia della Chiesa il Papa di Roma, nella persona di Giovanni Paolo II, assiste ad un concerto pop. Battiato esegue alcune delle sue composizioni più note ed ispirate, "Nomadi", "Fisiognomica", ed altre musiciche, che Karol Wojtyla ascolta con intensa attenzione. Alla fine del concerto, il Papa in persona si congratula con Battiato, stringendogli la mano. Il musicista, sorridente ed emozionato, ammetterà uscendo dal Vaticano: "Confesso, la voce mi mancava per la troppa emozione".
Anche se su piani diversi, altrettanta emozione si respira la mattina di Pasqua del 26 marzo, quando piazza San Pietro è invasa ancora una volta da migliaia e migliaia di fedeli accorsi per ascoltare le parole augurali di Giovanni Paolo II. Il Pontefice, come di consueto impartisce la benedizione Urbi et Orbi, ripreso dalle telecamere di tutto il mondo. Il suo discorso, oltre ai voti augurali legati al messaggio di pace della Pasqua del Signore, è carico di riferimenti alla situazione attuale. Quasi gridando al microfono denuncia che il futuro del mondo è messo in forse da "sanguinose" piaghe: le guerre fratricide (come quella del Libano), il razzismo, l'intolleranza, la fame nei paesi sottosviluppati, la violenza, lo sfruttamento delle donne e dei bambini, il "turpe mercato del vizio", la mancanza di libertà, specialmente quella religiosa, ancora in troppe parti del mondo, i pericoli ecologici. In sostanza, una lunga sequela di "mali" contro i quali il Pontefice, con tenacia e con fede incrollabile, si appella a Dio e a tutti gli uomini di buona volontà.

IL GRIDO DI WOJTYLA PER LA PACE IN LIBANO

Le speranze di pace legate al messaggio pasquale ben presto vengono vanificate dalle terribili notizie che arrivano dal Libano. Ai primi di aprile lo sfortunato paese mediorientale è funestato da un nuovo bombardamento siriano, che non risparmia nemmeno la nunziatura apostolica di Beirut. "Vorrei vedere progredire la pace in tutta la regione", dice papa Wojtyla, a poche ore dal bombardamento, al nuovo ambasciatore siriano accreditato in Vaticano. Nel rinnovare il suo fermo desiderio di vedere finalmente il Libano libero e indipendente, e che il popolo palestinese possa avere presto una sua patria, unitamente alla salvaguardia del diritto di Israele alla sua esistenza, il Papa ricorda al diplomatico siriano che come insegna la storia "le contrapposizioni non recano le soluzioni sperate". Riferendosi in particolare alle responsabilità della Siria nel conflitto mediorientale, ricorda che "le prove che il vostro paese ha conosciuto devono aiutarlo a comprendere le sofferenze che colpiscono le popolazioni del vicino Oriente in preda a conflitti distruttivi ed omicidi da tanto tempo. È proprio impossibile dare a questa regione del mondo, in cui la diversità di popoli e religioni è incancellabile per le sue radici storiche, questo volto originale di convivialità che fu a lungo esemplare?". Nell'udienza generale di mercoledì 5 aprile torna ad invocare la pace per il Libano, "che da tre settimane - ricorda il Pontefice - sta vivendo una ulteriore tragica esperienza di violenza distruttrice. Desidero fare mio l'appello di questi e di tutti i figli del Libano che, insieme con la pace, invocano un aiuto concreto per mettere fine a questa grave prova e per salvare il loro paese dai pericoli che ne minacciano l'indipendenza e la stessa esistenza".
Con l'eco della tragedia libanese ancora viva, domenica 9 aprile il Pontefice è chiamato ad interessarsi di un altro conflitto, l'isola di Timor, ex colonia portoghese, occupata dall'Indonesia. Se ne parla durante l'udienza in Vaticano del presidente del Portogallo Mario Soares. Giovanni Paolo II, oltre ad esprimere la sua preoccupazione per le sorti future dell'isola, assicura il presidente portoghese che il suo prossimo viaggio a Timor, come tutti i precedenti viaggi, avrà solo un carattere prevalentemente pastorale e punterà a creare un ponte di pace tra le parti in lotta.

IL PAPA CHIUDE IL CONVEGNO DELLA CEI "IL DIRITTO ALLA VITA È INTANGIBILE"

"Le stesse leggi civili non poche volte sono le prime a violare o comunque, a non proteggere adeguatamente l'intangibile diritto alla vita". Papa Wojtyla lo ricorda con forza, chiudendo il convegno nazionale sulla vita indetto dalla Cei, la Conferenza episcopale italiana. Parole dette con fermezza e in tutta coscienza, mentre le principali strade di Roma sono attraversate da un imponente corteo di donne aderenti ai partiti di sinistra scese in piazza in difesa, dicono, della legge 194, quella che ha introdotto in Italia l'aborto legale. Ma non per questo Karol Wojtyla si lascia intimorire. "Un altro appello rivolgo ai legislatori - continua infatti nel discorso ai convegnisti della Cei - perchè, sia pure in situazioni politiche e sociali non facili, aiutino i cittadini a riconoscere il valore della vita e a rispettarlo mediante una legislazione coerente con le esigenze inviolabili della persona umana". Tutto questo perchè, avverte, "nessuno può negare che si registrano ancora troppe forme di maltrattamento e di rifiuto della vita. Ne è responsabile una coscienza sociale che, non credendo nel valore inviolabile della vita, se ne fa padrona assoluta e arbitra, insindacabilmente".
Anche una singolare manifestazione ciclistica in piazza San Pietro ha come tema centrale la difesa della vita e la lotta all'aborto. È la mattina di mercoledì 26 aprile, durante la udienza generale. Tra i fedeli accorsi ad ascoltare la parola del Papa c'è anche un variopinto gruppo di 74 ciclisti professionisti in procinto di partecipare al Giro d'Italia. Sulla loro maglietta campeggia la scritta "No all'aborto". Il Papa apprezza l'iniziativa e alla fine dell'udienza si fa persino fotografare in mezzo ai componenti della squadra ciclistica. Un ultimo apparente momento di relax, anche se alle prese con un tema delicato e sentito come quello della difesa della vita, poche ore prima di intraprendere il quarantunesimo viaggio all'estero, precisamente in Madagascar, La Reunion, Zambia e Malawi.

MADAGASCAR, LA REUNION, ZAMBIA, MALAWI: IL QUARANTUNESIMO VIAGGIO ALL'ESTERO

Dopo un intervallo di circa 7 mesi, papa Wojtyla il 28 aprile '89 riprende a peregrinare per il mondo. Fino al 6 maggio visita per la quarta volta l'Africa, toccando Madagascar, La Réunion, Zambia e Malawi. Il viaggio inizia sotto i migliori auspici. Nell'aereo che lo porta ad Antananarivo, in Madagascar, nel consueto incontro con i giornalisti annuncia di aver invitato in Vaticano il leader sovietico, Mikhail Gorbaciov e che l'udienza quasi certamente ci sarà a novembre. "Lo riceverò - annuncia - con grande rispetto - come capo di un sistema, di un grande Stato". Il Papa ribadisce, per l'occasione, un altro suo grande desiderio, la prima visita a Cuba ("Si sta aprendo una strada").
Anche il quarto viaggio in Africa si svolge all'insegna dell'entusiasmo popolare e con un Giovanni Paolo II a stretto contatto con i più gravi problemi delle terre africane. A Lusaka, capitale dello Zambia, parlando al corpo diplomatico, si appella soprattutto ai paesi ricchi che vantano crediti nei confronti nei paesi più poveri, a partire naturalmente dall'Africa. Al ricco occidente, Wojtyla chiede con forza di essere sempre più solidale con il Terzo Mondo incominciado ad attutire, se non annullare, il peso creditizio maturato nei confronti delle regioni povere. L'altro grande intervento fatto nello Zambia è la condanna del razzismo, definito ancora una volta "bestemmia di Dio e piaga morale". La condanna indirettamente è indirizzata al Malawi, ultima tappa del quarto viaggio africano, e paese notoriamente in stretti rapporti col vicino Sudafrica, l'unico Stato al mondo che applica l'apartheid con un perverso criterio legislativo. Riferendosi al Malawi, ricorda come questo paese sia "profondamente colpito da un grande flusso di rifugiati dal vicino Mozambico e va lodato per i suoi sforzi eroici nel prendersi cura di loro, al punto di vedere diminuire le sue risorse fondamentali". Nella solenne celebrazione presieduta a Blantyre, nel Malawi, Wojtyla non dimentica di citare uno dei mali che grava sul paese, l'aids. "Un numero sempre maggiore di persone è affetto da aids - ricorda - dobbiamo trattarli come tratteremmo Cristo stesso". Infine, prima delle conclusione dell'omelia, un caldo invito a musulmani e cristiani "a un mutuo rispetto e a un mutuo riconoscimemto di quanto ci accomuna".

"SOLO I VESCOVI SONO MAESTRI DI FEDE", WOJTYLA RICHIAMA I TEOLOGI ITALIANI

Di fronte ai grandi problemi africani, qualsiasi altro ostacolo che possa essere incontrato lungo le vie del ricco occidente diventa poca cosa e tuttavia da non trascurarsi. È esattamente quanto succede a papa Wojtyla al suo rientro dal quarto viaggio in Africa, costretto a prendere di petto una mini rivolta di 63 teologi italiani, che su alcune pubblicazioni hanno sottoscritto un documento di critica ai vertici della Chiesa cattolica accusata di "eccessivo autoritarismo" e di tradire, sostanzialmente, il rinnovamento conciliare. Per niente turbato da questi rimproveri, Giovanni Paolo II risponde ai 63 teologi nel discorso tenuto il 18 maggio ai 220 vescovi italiani riuniti in Vaticano all'assemblea generale della Cei.
"L'ultima parola in materia di fede - ammonisce con chiarezza - spetta solo ai vescovi" e chi la pensa diversamente (cioè i teologi contestatori), "confonde" i fedeli e divide la Chiesa. È lo stesso Concilio vaticano II, ricorda ancora il Papa, a mettere in evidenza che la missione di insegnare il Vangelo a tutte le genti spetta ai vescovi, i successori degli apostoli. Il richiamo ricalca in pieno un altro ammonimento lanciato qualche giorno prima, il 13 maggio, ai sacerdoti di tutto il mondo, ai quali il Santo Padre aveva inviato una lettera invitandoli ad essere più "fedeli" alla Sacra Scrittura durante la recita delle preghiere. "Basta con le innovazioni fantasiose e con la consuetudine di sostituire i testi evangelici con quelli profani: anche nei canti - aveva ricordato il Pontefice - bisogna rispettare di più la liturgia".

IL VIAGGIO IN NORVEGIA, ISLANDA, FINLANDIA, DANIMARCA E SVEZIA: TRA I LUTERANI DEL NORD

Appena il tempo di indicare la retta via della fede a teologi e sacerdoti, come un padre doverosamente fa nei confronti di quei figli che a suo parere stanno sul punto di sbagliare, ed ecco papa Wojtyla di nuovo in cammino lungo le strade del mondo. Questa volta le terre da vedere sono del nord Europa, precisamente la Norvegia, l'Islanda, la Finlandia, la Danimarca e la Svezia, paesi a forte tradizione protestante che Giovanni Paolo II, il primo papa della storia, visita dal primo al 10 giugno '89.
È il quarantaduesimo viaggio all'estero, uno dei più difficili del pontificato di Wojtyla. I primi segnali arrivano infatti fin dalla tappa d'esordio, ad Oslo, in Norvegia, dove sette vescovi protestanti su undici si rifiutano di incontrarsi col Papa venuta da Roma. La Chiesa luterana norvegese, inoltre, sfodera antiche polemiche, come il caso-Galileo e i presunti "arretramenti" del Vaticano nei confronti del ruolo della donna. "Cattolici e protestanti - risponde Giovanni Paolo II - devono riconoscere che non possiamo ancora proclamare una fede comune nel mistero dell'Eucarestia e della Chiesa", ma "la posizione cattolica sull'Eucarestia non intende offendere i nostri compagni di viaggio".
Ad Oslo, prima di partire per Tromso, dove celebrerà una Messa tra i ghiacci del Circolo Polare Artico, il Papa viene ricevuto cordialmente da re Olav e dal primo ministro signora Gro Harlem Bruntland, un medico, con la quale affronta, tra l'altro, anche il problema dei malati di aids. A Reykjavik, in Islanda, la Messa, che il Pontefice riesce a portare a termine regolarmente davanti a migliaia di persone, di tanto in tanto viene disturbata da cartelli o da piccoli gruppi di oltranzisti luterani. Diverso il clima in Finlandia, dove il Papa arriva sulla scia delle notizie provenienti dall'Iran per la morte di Khomeini ("Un leader religioso che merita rispetto") e dalla Cina, per la strage di Tienammen, una vicenda, commenta il Papa, che "evoca in me profondi sentimenti di compassione e di preoccupazione".
Ad Helsinki loda l'"eccezionalità" della Finlandia, "un paese democratico che vive a fianco dell'Unione Sovietica", un paese che "ha la sua identità nazionale anche se ha fatto parte della Russia zarista". L'ultima tappa del viaggio, è la Svezia, dove il Papa è ricevuto solennemente dal re Carlo Gustavo e dalla regina Silvia. Viene inoltre accolto con parole di affetto e di profondo rispetto da parte del vescovo luterano di Uppsala, Bertil Werkstrom. Il presule prima del suo indirizzo di saluto abbraccia calorosamente sull'altare il capo della Chiesa cattolica, un gesto spontaneo che in parte annulla la precedente freddezza dimostrata dagli altri luterani. Werkstrom ricorda che il movimento ecumenico nacque nel 1920 proprio in quella cattedrale. "Quel giorno - spiega Werkstrom - l'apostolo Giovanni era rappresentato dal vescovo ortodosso, l'apostolo Paolo dal vescovo luterano. Mancava l'apostolo Pietro. Oggi anche Pietro è qui, si chiama Giovanni Paolo II". Altrettanto affetto nelle parole di papa Wojtyla che nel suo intervento sottolinea come egli si trovi lì, in quella cattedrale, "in spirito di penitenza", perchè, citando la lettera di San Giovanni, "se diciamo che non abbiamo peccato, la parola di Dio non è in noi".

LA PREGHIERA DEL PAPA PER IL PICCOLO ANDREA

Dai grandi problemi sociali, ecumenici e politici, ai travagli di un piccolo neonato, in lotta per sopravvivere. Karol Wojtyla è anche questo. Ed infatti, ad appena una settimana dal primo storico viaggio del Papa nei paesi luterani del nord Europa, sabato 17 giugno la Radio vaticana diffonde il testo della lettera che Giovanni Paolo II ha scritto al piccolo Andrea Mancini, un neonato di Pavia nato dalla mamma in coma. È una storia drammatica che il paese da settimane sta seguendo col fiato sospeso. "Piccolo Andrea - scrive Wojtyla - il Papa ti è particolarmente vicino, come è vicino alla tua cara mamma". "In questo momento che tanto profondamente colpisce la sensibilità umana e cristiana di quanti apprezzano il valore della vita umana quale valore divino", si legge nella lettera, il Papa prega "per la salute del bambino e della mamma, e per il conforto del papà e dei congiunti, mentre desidera manifestare anche ai medici e al personale curante vivo apprezzamento per la loro assidua dedizione". Su tutti, Giovanni Paolo II, invoca la protezione della Madonna.

PAPA WOJTYLA A GAETA E A ITRI SULLE ORME DI PIO IX

Due sono i viaggi pastorali compiuti in Italia nella prima metà del 1989. Il primo, il 21 Maggio a Grosseto. Il secondo, il 25 Giugno, nel sud pontino, in provincia di Latina, dove Giovanni Paolo II dopo 140 anni dalla forzata visita di un altro papa, Pio IX, porta a termine il viaggio "italiano" numero 82. Per la circostanza, Karol Wojtyla consegue un altro caratteristico storico primato, il cui contenuto si pone al confine tra lo sport e la testimonianza pastorale: assiste allo stadio degli "Aranci" di Formia, sede della scuola nazionale di atletica leggera, alla esibizione dei più forti atleti del momento. Giovanni Paolo II diventa così il primo Papa della storia della Chiesa ad assistere in uno stadio a gare di atletica leggera. In particolare, a Formia apprezza molto la corsa dei centro metri piani.
A parte la parentesi sportiva, il viaggio nel sud pontino di papa Wojtyla si contraddistingue per una fortissima carica storico-spirituale. A Gaeta visita infatti i luoghi che ospitarono per un anno intero, dal 1848 al papa Pio IX fuggito da Roma all'epoca delle sommosse popolari che portarono alla proclamazione della fugace Repubblica romana. Durante quell'anno, Pio IX si recò spesso a pregare nel santuario di "Maria Santissima della Civita" di Itri, che il papa raggiunge in elicottero dopo la sosta a Gaeta. Sul santuario viene accolto con calore e grande affetto da una folla immensa di fedeli e pellegrini, e dalle autorità cittadine guidate dal sindaco di Itri Pasquale Ciccone. Tre i momenti salienti della visita all'antico santuario retto dai padri Passionisti. All'arrivo, prega davanti al quadro della Madonna della Civita, una vergine nera col bambino attribuita a San Luca, molto simile a un'altra Madonna nera tanto cara a papa Wojtyla, la Vergine di Czestochowa, venerata nell'omonimo santuario polacco. Dopo, visita la stanza di Pio IX, ancora intatta negli arredi e nelle strutture decorative dal giorno in cui vi si rifugiò il papa della questione romana. Fu in quella stanza che Pio IX maturò il dogma dell'Immacolata Concezione, dogma che promulgò solennemente pochissimi anni dopo il rientro a Roma. Il terzo momento della visita al santuario della Madonna della Civita di Itri, l'incontro con gli ammalati, ai quali Giovanni Paolo II regala parole di affetto e di speranza, additandoli come veri depositari della fede in Cristo. L'arcivescovo di Gaeta Vincenzo Farano alla fine del viaggio definirà la visita di Giovanni Paolo II a Gaeta, Itri e Formia, "un evento storico per tutta la diocesi", che per ricordare degnamente l'evento si impegna a costruire una casa di accoglienza per bisognosi, frutto delle offerte raccolte in occasione della visita papale.

LE VACANZE SULLE MONTAGNE DELLA VAL D'AOSTA E IL RIFUGIO ESTIVO DI CASTEL GANDOLFO

L'11 Luglio, ventiquattro ore prima dell'inizio delle vacanze in Val d'Aosta, papa Wojtyla è alle prese con un problema a carattere internazionale che definire spinoso è fortemente riduttivo. La sala stampa vaticana, confermando notizie rimbalzate dall'Avana, dà notizia che il Santo Padre ha chiesto ufficialmente la grazia al presidente cubano Fidel Castro per la vita del generane Arnaldo Ochoa e altri tre ufficiali condannati a morte per traffico internazionale di droga. "La richiesta - spiega il portavoce papale Joaquin Navarro Valls - è stata avanzata per ragioni di carattere umanitario".
Con l'attenzione dell'opinione pubblica internazionale concentrata in apprensione per la sorte dei quattro ufficiali cubani, papa Wojtyla il 12 luglio arriva a Les Combes, in Val d'Aosta, per trascorrervi 10 giorni di vacanza tra le Alpi piemontesi, ospite in una casa privata di Introd. Al suo arrivo, solito clima di festa e di "caccia" al Papa da parte di migliaia di pellegrini, tenuti a freno da un ferreo servizio d'ordine. La formula tipo della vacanza wojtyliana è fatta di lunghe passeggiate per valli e sentieri, letture, meditazioni, preghiere. Unico impegno pubblico, domenica 16 Luglio, la solenne Messa al santuario di Oropa, a Biella, a Pallona, sulla tomba del beato Piergiorgio Frassati, e una al monastero carmelitato di Quart presso Aosta. L'ultimo giorno di vacanza, il 21 Luglio, Wojtyla lo dedica a Torino, dove visita gli stabilimenti della Fiat, accolto dal presidente Gianni Agnelli, e l'importante mostra su "L'arte russa e sovietica dal 1870 al 1930", allestita nell'ex officina di montaggio del Lingotto dall'architetto Renzo Piano. Subito dopo la visita a Torino, il rientro nella residenza estiva di Castel Gandolfo.

IL VIAGGIO A SANTIAGO DE COMPOSTELA E IN ASTURIAS

Appena il tempo di tirare il fiato nella quiete della residenza pontificia estiva, ed ecco via, in viaggio per il mondo ad annunciare la parola di Dio e a invocare sentimenti di pace e fratellanza in ogni angolo della terra. Questa volta la meta è la Spagna, presso lo storico santuario di Santiago de Compostela, dove ad accogliere il Pontefice (per la 43° volta in viaggio fuori dei confini italiani) ci sono ben 300 mila giovani provenienti da tutto il mondo. Il Papa, come tutti i pellegrini che da secoli si recano a pregare a Compostela, il 19 agosto fa l'ingresso al santuario portando sulle spalle la caratteristica cappa marrone ornata di conchiglie, appoggiato al bordone del viandante. Gli si fanno incontro pellegrini, autorità, il re Juan Carlos e la regina Sofia. Nel salutare i sovrani spagnoli, Wojtyla spiega che la "chiesa d'oggi si prepara a una nuova cristianizzazione, che si presenta ai suoi occhi come una sfida, cui dovrà rispondere adeguatamente come in tempi passati...". "Desidero invitare i giovani - aggiunge - ad aprire i loro cuori al Vangelo di Cristo e ad essere suoi testimoni; e se fosse necessario, testimoni-martiri alle porte del terzo millennio".
Il secondo giorno del viaggio spagnolo, il Papa si reca a Oviedo, nelle Asturias, dove viene accolto dal primo ministro Felipe Gonzales e celebra la Messa nel santuario di Covadonga. L'omelia è incentrata sulla pace del mondo e in particolare sul quella del Libano, in difesa del quale chiede l'intervento dei "potenti" della terra e invoca ogni sforzo possibile che porti la pace tra le fazioni in lotta. A Covadonga, infine, auspica di poter vedere quanto prima una "Europa senza frontiere". Nella Messa celebrata nel santuario alla presenza del principe Felipe, erede al trono di Spagna, lancia un nuovo appello affinchè l'Europa trovi la sua unità facendo leva sulle sue tradizionali radici cristiane.

LA LETTERA APOSTOLICA SULL'INIZIO DELLA SECONDA GUERRA MONDIALE

L'unione europea invocata a conclusione del viaggio spagnolo trova una immediata eco nella lettera apostolica scritta dal Papa per ricordare l'inizio delle seconda guerra mondiale nel 1939 e pubblicata il 26 agosto '89. È una lettera scritta per non dimenticare e per far sì che la tanto attesa unificazione dell'Europa si basi sempre sulla verità storica, e sulla condanna dei passati errori. Giovanni Paolo II ricorda come i primi passi del secondo conflitto mondiale iniziarono a muovere il 1^ settembre con l'invasione della Polonia dal versante occidentale da parte delle truppe tedesche; e con l'invasione del 17 settembre '39 da parte dell'Armata Rossa del versante orientale polacco. "La Polonia - denuncia il Papa nella lettera - è stata devastata e frantumata a piacimento da invasori senza scrupoli". Wojtyla mette sul banco degli imputati principalmente le "ideologie totalizzanti", il nazismo e il comunismo, che spinsero milioni di uomini a invadere le terre di altri uomini e a provocare la più grande strage che sia stata consumata sulla faccia della terra per mano umana. "Quando ci si rivolge a quei sei terribili anni - scrive il Pontefice - non si può che essere giustamente inorriditi per il disprezzo di cui l'uomo è stato oggetto... e per l'abisso morale nel quale il disprezzo di Dio, e quindi dell'uomo, ha 50 anni or sono gettato il mondo".

SETTEMBRE 1989, MESE DI VIAGGI ITALIANI E DI DIALOGO ECUMENICO

In un mese, due viaggi in Italia e una importante tre giorni vaticana dedicata al dialogo ecumenico tra cattolici e anglicani. Il settembre, partendo da Castel Gandolfo, Wojtyla visita Orte e Trevignano, in provincia di Viterbo. È una sola giornata di viaggio (l'ottantatreesimo in Italia), ma densa di incontri e di contatti popolari.
Più lungo, invece, il secondo viaggio pastorale settembrino, svolto in Toscana, dove il Papa dal 22 al 24 visita Pisa, Volterra, Cecina e Lucca. Densa di significato storico la sosta a Pisa. Giovanni Paolo II ha l'opportunità di accedere alla locale università, l'ateneo che ospitò Galileo Galilei. Con onestà intellettuale e pastorale, nel discorso pronunciato davanti alle autorità cittadine e al corpo accademico loda senza riserva alcuna la figura del grande scienziato toscano, definendo con chiarezza "improvvido chi lo osteggiò" in vita, cioè quegli ecclesiastici che condannarono le sue teorie, costringendolo a pronunciare la storica abiura.
Gli altri temi toccati durante il viaggio in Toscana, la lotta alla droga e ai trafficanti di droga (nell'incontro con i detenuti nel carcere di Volterra), e l'importanza dei centri di recupero dei tossicodipendenti, in una comunità di Lucca. In entrambi gli incontri, Giovanni Paolo II pronunzia parole di speranza e di solidarietà. Severissimo, invece, si mostra verso il narcotraffico, per bloccare il quale si appella ai governi nazionali ed internazionali perchè cooperino per "bloccare" quelli che lo stesso Papa definisce "mercanti di morte" che minacciano la vita di tanti giovani.
Rientrato in Vaticano, Giovanni Paolo II conclude il tour de force settembrino affrontando i delicati temi relativi ai rapporti ecumenici con gli anglicani, mentre le notizie sulla guerra in corso in Libano si fanno giorno dopo giorno sempre più drammatiche. Per il conflitto libanese pubblica il 26 Settembre due forti appelli in altrettante lettere inviate ai vescovi cattolici di tutto il mondo e ai musulmani. "La scomparsa del Libano - scrive nelle due lettere - diverrebbe senza alcun dubbio uno dei più grandi rimorsi del mondo. La sua salvaguardia è uno dei compiti più urgenti e più nobili che il mondo contemporaneo deve assumersi".
Piena di significato ecumenico, inoltre, la visita in Vaticano che il primate anglicano Robert Runcie inizia il settembre. In tre giorni Runcie si incontra col Papa tre volte. Durante il primo incontro il primate sostiene che "tutti i cristiani devono chiedere perdono a Dio" per le perduranti divisioni e denuncia l'esistenza di sentimenti negativi come l'orgoglio, la mancanza di fede, la chiusura mentale, rancori e pregiudizi, che a suo parere rendono ancora troppo difficili i rapporti interconfessionali. Sul contenuto degli incontri tra il Papa e Runcie non trapela nulla di ufficiale. Ma non è proibitivo immaginare che il Santo Padre e il leader anglicano abbiano messo a fuoco una strada che possa portare nel più breve tempo possibile all'unione tra anglicani e cattolici.

SEUL, INDONESIA, MAURITIUS, L'ULTIMO GRANDE VIAGGIO DEL 1989

L'ultimo grande viaggio apostolico svolto nel 1989 papa Giovanni Paolo II (per la 44^ volta fuori dei confini italiani) lo dedica all'estremo oriente. Il 6 ottobre vola, infatti, in Corea, nella cui capitale Seul presiederà alla conclusione del congresso eucaristico internazionale. Il viaggio dura dieci giorni. Oltre al bagno di folla coreano con un milione di fedeli presenti alla Messa papale, Giovanni Paolo II visita l'Indonesia e le isole Mauritius.
Il viaggio è preceduto da un importante preambolo, il messaggio via radio trasmesso al presidente sovietico Mikhail Gorbaciov, al quale il Papa ripete il suo compiacimento per il rinnovamento in corso in Urss. Trionfale l'arrivo a Seul, una città vestita a festa, invasa da un milione di giovani che si stringono intorno al Papa di Roma mentre celebra l'Eucarestia circondato da 250 vescovi provenienti da tutto il mondo e da centinaia di sacerdoti. Nel messaggio di saluto lanciato a tutte le nazioni della terra, nomina anche la Cina, rinnovando il suo antico desiderio di poterla visitare.
Dopo Seul, Giacarta, capitale dell'Indonesia, paese a stragrande maggioranza musulmana. Nuovo tripudio di popolo all'arrivo: il Papa è accolto da ali di folla, in gran parte ragazzi e ragazze, sventolanti bandierine. Sincero l'omaggio ai capi religiosi del posto, ai quali Wojtyla dice che "l'islam è diventato il sentieto religioso per la maggioranza degli indonesiani". Un riconoscimento verso la fede "maggioritaria" seguita in un paese che ha nei cattolici solo una piccola rappresentanza. Il Papa chiede a tutti di adoperarsi "insieme per la comprensione reciproca e per la pace, per salvaguardare i valori morali e spirituali che costruiranno la salute morale e spirituale del genere umano". Diverso il clima che si respira a Timor, l'ex colonia portoghese da anni sotto il controllo dei militari indonesiani. A Dili, isola di Timor Est, subito dopo la celebrazione della Messa, durante al quale Wojtyla lancia un inascoltato pressante appello alla pacificazione nazionale, sotto il palco gruppi di opposizione si scontrano con le forze dell'ordine, provocando momenti di fortissima tensione. È l'ultima fatica in estremo oriente che precede il rientro in Vaticano del Papa.

LA DIFESA DELLA VITA E LA CONDANNA DELLA DROGA

Archiviato col viaggio in estremo oriente il capitolo dei grandi pellegrinaggi internazionali del 1989, papa Wojtyla tra la seconda metà di ottobre e la prima metà di novembre dedica la parte finale dell'anno a una serie di interventi sul tema della difesa della vita e sulla condanna dell'uso della droga. Il 17 ottobre denunzia "il calo del senso del sacro nella nascita e nella morte dell'uomo, e la crescita dell'aborto autorizzato per legge", nell'udienza concessa ai partecipanti al simposio europeo sulla vita e sulla morte svolto per 5 giorni al "Salesianum" di Roma. Il Papa condanna, tra l'altro, "l'eccessiva medicalizzazione e l'uso di tecnologie sempre più sofisticate" nei due più importanti momenti della vita, nei quali l'uomo d'oggi "vede" sempre meno la presenza di Dio. Un comportamento che, avverte il Pontefice, sta alla base di molti mali, tra cui spicca "la pratica dell'aborto".
Di difesa della vita, in fondo, il Pontefice parla anche durante la visita pastorale a Taranto, dove accolto da oltre ventimila persone, da autorità locali e nazionali, difende i lavoratori e l'ambiente. Al cospetto del Papa il 29 ottobre si presenta una città sconvolta da disoccupazione, criminalità e da un consumo di droga sempre più massiccio. Wojtyla pronuncia parole di incoraggiamento e di esortazione, ma avverte che prima di tutto "bisogna rifiutare le vie della violenza". A governanti e imprenditori dice, inoltre, che si deve "rifiutare ogni via illecita di speculazione privata e di gruppo, specie se a danno dei più poveri, i nuovi poveri". Quanto alla difesa dell'ambiente, avverte che "siamo sottomessi non solo a leggi biologiche, ma anche morali".
L'uso della droga, la condanna del narcotraffico e l'incoraggiamento alle comunità di recupero tornano di nuovo al centro dell'attenzione del Papa a conclusione della grande manifestazione organizzata a piazza San Pietro da don Pierino Gelmini e da Vincenzo Muccioli a favore della legge che punisce penalmente i tossicodipendenti. Il meeting si svolge domenica 5 novembre. Il Papa non fa altro che ribadire quanto già detto in materia di tossicodipendenza: a nessuno è lecito andare verso forme di autodistruzione mediante l'uso di droghe. Ma per estirpare questo male, accanto all'opera delle comunità di recupero, ci vuole un forte e corale intervento di governi, forze sociali e forze di polizia, per stroncare sul nascere i centri di produzione e il commercio che permette la clandestina circolazione delle droghe.
L'intervento antidroga precede di appena 24 ore un altro severo richiamo in difesa della vita nascente. È il deciso "no" all'uso della cosidetta pillola abortiva RU-486 in dotazione in alcuni paesi europei e in procinto di ricevere il via anche dalle autorità italiane. L'annunciata immissione della pillola nel mercato nazionale viene definito dal Pontefice "un atto di guerra chimica" che va contro "i princìpi etici nel campo della famiglia, del rispetto della vita e del bambino già concepito". Dello stesso tono il discorso che il 10 novembre il Papa tiene ai membri del "Centre de liaison des equipes de recherche", una associazione cattolica francese che si occupa di consulenza familiare e coniugale. Agli ospiti francesi Giovanni Paolo II, in sostanza, fa presente che la maggioranza degli italiani non segue più le direttive della Chiesa in materia di aborto, di contraccezione e di etica sessuale. Da qui l'invito del Pontefice a tutte le famiglie cattoliche a respingere con forza la cultura di morte legata all'aborto, a seguire più "fedelmente" la dottrina morale della Chiesa ed a respingere qualsiasi metodo innaturale di controllo delle nascite.
Lo stesso 10 novembre, il Pontefice inaugura in Vaticano una importante mostra di icone russe alla presenza dell'ambasciatore sovietico in Italia e di una delegazione in rappresentanza di Mosca. Una iniziativa senza precedenti, di grande valore artistico, ma di inestimabile significato politico per i "freschi" rapporti che si stanno via via sviluppando tra la Santa Sede e l'Unione Sovietica. Uno dei membri della delegazione sovietica, il ministro della Cultura Melentev, nel presentare le icone, si augura che "alla vigilia del terzo millennio della nascita di Cristo i popoli della terra trovino nuovi indirizzi e nuovi rapporti". Giovanni Paolo II risponde spiegando che "nell'arte russa c'è la fede in Gesù". Un ottimo preludio all'ormai imminente visita in Vaticano del presidente sovietico Mikhail Gorbaciov.

"QUESTO SPORT È TROPPO VIOLENTO", WOJTYLA RICHIAMA ATLETI E CALCIATORI

Il conto alla rovescia per la prima storica udienza in Vaticano di un segretario del partito comunista sovietico, Gorbaciov, è già iniziato. Mancano appena cinque giorni alla fatidica data, venerdì 1 dicembre 1989. In Vaticano e nel palazzo apostolico fervono i preparativi. Ma Giovanni Paolo II apparentemente non tradisce emozioni. Anzi nei giorni appena precedenti l'arrivo di Gorbaciov segue con scrupolo il suo programma di lavoro, senza nessuna variazione. Tra i tanti impegni assolti in vista del summit vaticano-sovietico, il più importante sicuramente è l'udienza del 26 novembre concessa ai partecipanti al convegno su "Etica, sport e fede", organizzato dalla Conferenza episcopale italiana. Davanti al Papa si presentano i massimi dirigenti dello sport italiano, dal presidente del Coni Arrigo Gattai, a quello della Federazione italiana gioco calcio, Antonio Matarrese. Il saluto di Giovanni Paolo Ii non è per niente formale, tutt'altro. Sportivo lui stesso, grande appassionato di sci, di nuoto e di montagna, Wojtyla mette subito il dito nella classica piaga: "Questo sport è troppo violento, si pensa troppo al risultato, e sempre meno ai valori formativi". Da qui l'invito rivolto a dirigenti, allenatori ed educatori a tener presente che i giovani, prima della pratica sportiva, vanno formati nel carattere. Un impegno che chiama in causa in primo luogo la famiglia, la scuola e, perchè no?, anche la Chiesa con le sue istituzioni.

GORBACIOV IN VATICANO

Quello che solo qualche mese prima sembrava un sogno, una utopia, si avvera miracolosamente la mattina del 1^ dicembre 1989 in Vaticano. Via della Conciliazione, tutta vestita a festa con piante poste accezionalmente ai lati e liberata dalla morsa del traffico, poco prima delle 11 è attraversata da un corteo di macchine che scortano una lunga macchina scura. Dentro, due volti noti a tutto il mondo, il presidente sovietico Mikhail Gorbaciov e la moglie Raissa, che risponde con un sorriso e un cenno della mano destra attraverso il finestrino ai saluti della gente. L'imponente corteo attraversa una spoglia e splendida piazza San Pietro per entrare in Vaticano dall'Arco delle Campane.
Incredibile: dopo anni e anni di gelo, indifferenza e reciproci sospetti, il primo segretario del Pcus sovietico viene ricevuto da un papa, il polacco Karol Wojtyla, che va incontro all' ospite come a voler accorciare il tempo che lo divide dallo stringergli la mano. I due si guardano, si sorridono, si stringono la mano e poi insieme scompaiono dietro la porta della biblioteca privata papale. Il colloquio dura più del previsto. Le cose da dirsi sono tante. Alla fine, ripresi dalle telecamere di tutto il mondo, escono dalla biblioteca sorridenti e soddisfatti. Si sa che Wojtyla e Gorbaciov hanno analizzato il nuovo corso politico dell'Urss che ha nella libertà religiosa uno dei punti cardini. Il Papa ne ha parlato tante volte, riferendosi proprio alla ritrovata liberta di culto dopo 80 anni dalla Rivoluzione d'Ottobre, in termini più che positivi, ed è facile immaginare che glielo abbia ripetuto anche durante l'udienza. Gorbaciov da parte sua invita Wojtyla a Mosca e annuncia l'imminente apertura dei rapporti diplomatici tra Urss e Santa Sede. Fantapolitica solo qualche mese prima, ma concreta realtà maturata all'ombra di San Pietro.
La visita in Vaticano di Gorbaciov e la moglie si conclude con un successivo breve colloquio col segretario di Stato, il cardinale Agostino Casaroli, il padre della ostpolitik vaticana, l'uomo a cui si deve certamente un particolare merito nell'aver fatto cadere il muro tra il Cremlino e la Santa Sede, e resa più vicina l'Europa dell'est a quella dell'ovest. Conclusi gli impegni "politici", la coppia Gorbaciov si concede anche un breve giro ai Musei vaticani.
Karol Wojtyla e Mikhail Gorbaciov nella biblioteca papale


ECOLOGIA, VITA UMANA E AMERICA LATINA

La storica visita di Gorbaciov è certamente il principale evento che caratterizza non solo l'ultimo mese dell'anno o l'intero 1989, ma gran parte del pontificato di papa Wojtyla. Eppure, consegnato ai commentatori l'esito dell'udienza del primo dicembre, il Pontefice si ributta nella sua solita attività quotidiana. Che poi tanto "solita" non è. Per la restante parte dell'anno fa in tempo infatti a lanciare nuovi interventi in tema di difesa del creato, di ecologie, e di difesa della vita umana dall'eccessivo ricorso alla manipolazioni scientifica. Torna inoltre a parlare dei problemi dell'America Latina e della guerra nel Libano.
L'occasione per ribadire la sua attenzione verso le tematiche ambientali gli viene offerta dal discorsi presentato in anteprima per la Giornata della pace dei primo gennaio 1990, che sarà dedicata all'ecologia. Nel documento, intitolato "Pace con Dio creatore, pace con tutto il mondo creato", Giovanni Paolo II difende l'ambiente da tutti gli attacchi che ad esso vengono rivolti specialmente dalla società dei consumi. "L'uomo - dice - fatto a immagine e somiglianza di Dio" è il principale responsabile della devastazione di quel creato che lo stesso Dio, come ci tramanda il racconto biblico, fece "bello e buono". La distruzione dell'ambiente, quindi, secondo il Pontefice oltre a essere un danno per la salute dell'uomo, è "un problema morale", un peccato, perchè va contro la creazione com'è voluta da Dio.
Dall'ecologia ambientale, all'ecologia umana, intesa come ddifesa della vita, fin dal suo concepimento fino all'ultimo momento, un arco di tempo che l'uomo deve vivere semza mai dimenticare di essere una creatura voluta da Dio a sua immagine e somiglianza. Parlando il 14 dicembre ai membri della Pontificia accademia delle scienze a conclusione di un simposio di studio dedicato al "vero" momento della morte, il Papa ancora una volta si schiera nettamente contro qualsiasi forma di manipolazione. Chiede persino che medici e ricercatori non si spingano eccessivamente in trapianti apertamente inutili, eseguiti a volte solo per allungare di poco la data della morte. Se lo Stato intende veramente andare incontro ai problemi dell'uomo, ragiona Wojtyla, incominci a varare legge adeguate in difesa della famiglia. Lo chiede, Giovanni Paolo II, parlando il 16 dicembre ai giuristi cattolici, ai quali illustra anche i pericoli legati a quelle legislazioni che tendono ad equiparare alla famiglia tradizionale le semplici unioni di fatto.
Il Sudamerica e il Libano ritornano al centro dell'attenzione del Papa nell'udienza del 6 dicembre ai vescovi che hanno partecipato alla riunione plenaria della Pontificia commissione sull'America Latina, e nel discorso tenuto al comitato tripartito dei paesi arabi. "L'America - dice il Papa - si prepara a celebrare il quinto secolo dell'inizio dell'evangelizzazione, è un continente giovane e pieno di risorse, nel quale però non mancano stridenti contrasti che obbligano i settori meno favoriti della popolazione a pagare intollerabili costi sociali". All'alto comitato tripartito arabo, ricevuto in Vaticano il 23 dicembre, chiede che si faccia tutto quanto è possibile perchè in "Libano tornino pace e democrazia". Lo stesso giorno, nel formulare gli auguri natalizi ai cardinali e ai prelati della curia vaticana, Wojtyla fa lusinghieri riferimenti ai paesi dell'Est ("L'Europa vive oggi un nuovo umanesimo"), con particolare riferimento al valore di quella "casa comune" europea tanto auspicata dal leader sovietico Gorbaciov.

IL NATALE 1989 "OFFUSCATO" DA NORIEGA

Mentre gli animi e i cuori sono ancora gonfi di gioia per l'improvviso vento di pace che ha iniziato a spirare tra l'Est e l'Ovest, la vigilia di Natale viene offuscata da una notizia proveniente da Panama. L'ex dittatore locale, il generale Manuel Antonio Noriega, il 23 dicembre si rifugia nella sede della nunziatura apostolica di Panama per sfuggire al mandato di cattura spiccato nei suoi confronti dagli Usa per traffico internazionale di droga. La vicenda iniziata in sordina, ben presto conquista le prime pagine di tutti i giornali del mondo. Anche in piene festività natalizie, Noriega continua a far parlare di sè perchè non è per niente intenzionato a lasciare la nunziatura. Il caso arriva automaticamente sui tavoli dei piani alti della Santa Sede, alla quale il presidente americano George Bush si rivolge per chiedere che gli venga consegnato l'ex dittatore. Il Vaticano, però, non cede, fedele al principio che chi chiede asilo politico in una ambasciata vada comunque tutelato, al di là delle presunte colpe di cui si possa essere macchiato. Noriega lascerà spontaneamente la nunziatura solo dopo diverse settimane e dietro la certezza di avere salva la vita, condizione irrinunciabile posta dal Vaticano ai dirigenti degli Stati Uniti d'America.

I GRANDI VIAGGI INTERNAZIONALI DEL 1990

Gli anni Novanta bussano alle porte del Papa con tutto il loro carico di speranza accumulato nel corso degli ultimi mesi del decennio appena concluso. La caduta del muro di Berlino, la storica visita in Vaticano del leader sovietico Gorbaciov, la quasi certezza che finalmente l'Europa possa in un futuro più o meno vicino essere riunita dagli Urali all'Atlantico, stanno lì a dimostrare che un nuovo orizzonte sta per aprirsi. E papa Wojtyla è una delle personalità che forse più di ogni altro ha sempre dato concreta prova di credere con ostinata certezza al nuovo corso europeo, anche nei momenti in cui la pace nel mondo veniva messa a dura prova. Spinto proprio da questo spirito, dà il via ai grandi viaggi internazionali del 1990 andando a visitare nuovamente l'Africa dal gennaio al 1^ Febbraio. Torna ancora una volta ad incoraggiare i fratelli africani recandosi a Capo Verde, Guinea Bissau, Mali, Burkina Faso e Ciad, a condannare il razzismo e a rivendicare la solidarietà dei paesi ricchi verso le popolazione meno fortunate.
Ma il secondo pellegrinaggio internazionale del '90, il quarantaseiesimo fuori dall'Italia, presenta un significato politico ed emotivo forse ancora più grande: per la prima volta (tolti i viaggi nella natia Polonia) si reca in un paese dell'Est, dopo la caduta del Muro. È la Cecoslovacchia, che Giovanni Paolo II può finalmente visitare il 21 e 22 aprile, accolto da migliaia e migliaia di fedeli, autorità e pellegrini provenienti anche dai vicini paesi dell'ex-impero sovietico. A tutti papa Wojtyla offre parole di speranza e di augurio, ringrazia la Madonna per la ritrovata libertà e annuncia, prendendo in contropiede gli osservatori del mondo intero, che presto la Santa Sede indirà il primo Sinodo dei vescovi europei dedicato al nuovo riassetto del continente legato al dopo-Muro.
Carichi di altrettanto significato gli altri tre viaggi internazionali compiuti nel '90, in Messico (dal 6 al 14 maggio), a Malta (dal 25 al 27 maggio) e nuovamente in Africa, precisamente in Tanzania, Burundi, Rwanda e Yamoussoukro, in Costa d'Avorio, dal primo al 10 settembre.

LE VISITE PASTORALI IN ITALIA DEL 1990

Non meno intenso il programma delle visite pastorali in Italia nel '90. Sono ben 8 infatti i pellegrinaggi svolti nelle diocesi italiane in poco meno di dieci mesi. Il primo, nella diocesi di Ivrea, dove il Pontefice viene accolto anche dalle popolazioni di S.Benigno Canavese, Scarmagno e Chivasso il 18 e il 19 marzo. Significativa la visita negli stabilimenti Olivetti di Ivrea, accolto dall'ingegner Carlo De Benedetti, il giorno della festa di S.Giuseppe lavoratore, e l'incontro con i dipendenti dello stabilimento Alfa-Lancia di Chivasso, presenti l'avvocato Gianni Agnelli e Cesare Romiti, presidente e amministratore delegato della Fiat. Davanti a manager, sindacalisti e lavoratori, spezza una decisa lancia in difesa del lavoro, della solidarietà e del diritto all'occupazione. Le tecnologie, avverte, "non diventino mai un nuovo idolo" e la ricerca scientifica sia sempre messa "al servizio dell'uomo e dei lavoratori". A tutti, poi, raccomanda che il lavoro non sia causa di allontanamento dalla fede e dalla pratica religiosa: la domenica, supplica Karol Wojtyla, sia sempre il giorno dedicato al Signore.
Nei mesi successivi visiterà ancora Orvieto, il 17 giugno; Benevento, il 2 luglio; dall'11 al 21 luglio ritorna a Les Combes, in Val d'Aosta, per le tradizionali vacanze estive sulle montagne; Albano, il 20 settembre; Ferrara, Pomposa, Comacchio, Argenta dal 22 al 23 settembre; Genova, il 14 ottobre; e infine Napoli, Torre del Greco, Pozzuoli, Nocera Inferiore, Pagani, Aversa, Trentola Ducenta e Casapesenna dal 9 al 13 novembre.

RAZZISMO, ABORTO, FAMIGLIA, LAVORO MALI DI ROMA E PACE NEL MONDO

Tra un viaggio e l'altro, sia in Italia che all'estero, nella prima metà del 1990 papa Wojtyla riesce a far sentire in più occasioni la sua voce sulle più importanti tematiche per le quali si sta battendo fin da quando è salito al soglio di Pietro: vale a dire razzismo, aborto, famiglia, lavoro, mali di Roma e pace nel mondo. Il primo marzo, nella consueta udienza ai parroci di Roma, ascolta un lungo elenco di lamentele in merito ai disagi che pesano sulla popolazione di Roma, specialmente tra gli abitanti della periferia. "Viviamo poveri e abbandonati", si lamenta più di un parroco; "Il nostro pane quotidiano si chiama droga, delinquenza, aids", è la terribile accusa di un parroco di Tor Bella Monaca, don Mario Pecchielan, al quale il Pontefice nel momento del commiato si rivolge dicendo significativamente "è bene che ogni tanto qualcuno dica queste cose".
Il Pontefice torna a condannare il razzismo il 21 marzo, giornata indetta dall'Onu contro la discriminazione razziale e l'intolleranza. "Il razzismo è come la guerra", sostiene il Pontefice, che per l'occasione si schiera anche accanto a quegli immigrati che negli ultimi tempi in Italia hanno subito violenze da parte di teppisti organizzati. Un nuovo appello a favore dei disoccupati Wojtyla lo lancia il 7 aprile ricevendo in Vaticano manager e industriali del "Comitato costruttori della Cee", guidati da Umberto Agnelli, vicepresidente della Fiat, e dai dirigenti delle più importanti case automobilistiche europee. A tutti il Pontefice ricorda che la dottrina sociale della Chiesa pone al centro del suo interesse l'uomo e il lavoro, per cui chiede alla grande industria di mostrare sempre più attenzione per chi il lavoro non ce l'ha: "Aiutate i disoccupati".
Nella stessa giornata riceve in udienza il leader dell'Olp, Yasser Arafat. La visita è privata, ma non per questo meno importante. Wojtyla e Arafat parlano da soli per circa una mezz'ora, e stando a quanto si apprende, i due hanno parlato in particolare della questione di Gerusalemme. Il Papa ancora una volta ha invitato tutte le parti impegnate in Terra Santa a ritrovarsi intorno a un tavolo di pace fatto di diritti e doveri uguali per tutti. Dalla Palestina all'Unione Sovietica. Il gran salto avviene il 14 aprile quando la Santa Sede diffonde il testo scritto dal Papa ai lituani, in quei giorni alle prese con un delicato braccio di ferro con Mosca per la loro indipendenza e sovranità. "In queste ore di trepidazione e di attesa - scrive tra l'altro Wojtyla - sono vicino a tutto il coraggioso popolo lituano". Per scongiurare l'aggravarsi della situazione, la Santa Sede svolge anche un ruolo di mediazione tra i dirigenti di Mosca e quelli della Lituania, culminato con un importante colloquio tra il Pontefice e uno dei più stretti collaboratori di Gorbaciov, Vadim Zagladin. Il diplomatico, oltre ad informarlo sull'evolversi della situazione, gli consegna una lettera personale scritta dal presidente sovietico.
A fine aprile, Wojtyla lascia, momentaneamente, gli scenari internazionali per guardare un pò più da vicino la situazione italiana che, ricorda, vede sempre più addensarsi nubi minacciose sulla famiglia. Da qui l'invito rivolto al governo a varare legislazioni più vicine ai bisogni dei nuclei familiari, colpiti negli ultimi anni da un nuovo tarlo, il calo demografico. "Il male peggiore - ricorda - è il rifiuto della vita nascente", attraverso la contraccezione, l'aborto o la semplice volontà da parte delle coppie di non mettere al mondo nuovi bambini.

"BUON COMPLEANNO, SANTITÀ ", WOJTYLA COMPIE 70 ANNI

Il 18 maggio 1990 è una data importante per papa Wojtyla: è il giorno del suo compleanno. Quest'anno, poi, taglia un importante traguardo, 70 anni. Per la felice ricorrenza, Giovanni Paolo II riceve auguri da tutto il mondo, da capi di Stato, leader religiosi di altre confessioni, semplici fedeli. Tra i tanti, un messaggio, siamo certi, lo colpisce nell'intimo in maniera particolare, gli auguri di Lech Walesa, il padre del sindacato libero Solidarnosc diventato presidente della Polonia.
"Nel Pontefice che oggi compie 70 anni - gli scrive Walesa - io ho trovato l'uomo della fiducia, l'uomo la cui certezza nell'esistenza della grazia divina si trasmette subito agli altri. Tutta la sua figura, i suoi gesti, il modo stesso con cui si china esprimono fiducia". "Nel corso del suo pontificato - scrive ancora Walesa - in Polonia sono avvenute cose di importanza somma, si è avverato il sogno di intere generazioni: siamo diventati un Paese libero che costruisce la democrazia". Difficile immaginare un augurio più gradito per papa Wojtyla.

VITA NASCENTE, INTOLLERANZA, PACE

Anche nel secondo semestre del '90 papa Wojtyla non manca occasione di difendere la vita nascente, di combattere razzismo e intolleranza, e di invitare tutti i popoli della terra a farsi "strumenti" di pace. Parlando ai delegati della Federazione internazionale farmacisti cattolici, ricevuti in Vaticano il 3 novembre, chiede apertamente che siano bandite tutte le tecniche anticoncezionali che si oppongono alla nascita di una nuova vita: pillola, uso di contraccettivo, pillola antiabortiva RU-486 e, persino, metodi naturali come il Billings. Di quest'ultimo metodo, conosciuto anche con l'appellativo Ogino-Knaus, parla anche il successivo 14 dicembre ai partecipanti al convegno sulla regolazione naturale della fertilità organizzato dall'università cattolica del "Sacro Cuore". "Tutto è peccato - spiega - tutto è condannabile, anche i metodi naturali quando si oppongono apertamente al disegno vivifico di Dio".
Ma, accanto alla vita nascente, il Papa si preoccupa anche degli altri aspetti della salute umana. Come dimostra l'appello lanciato a governanti ed istituzioni a non abbandonare al loro destino i malati di mente. Lo fa a conclusione del convegno sulla legge svolto in Vaticano il 17 dicembre '90, chiedendo "rispetto" per il malato mentale e "una forte azione preventiva per l'integrità e la dignità di chi soffre".
Tra le altre tematiche affrontate nella seconda metà dell'anno, l'uso distorto dei mass media (giornali, radio e televisioni), la condanna delle telenovelas ("Ridicolizzano l'indissolubilità del matrimonio") pronunciata il 9 giugno a una delegazione di vescovi brasiliani, e l'allarme per il proliferare delle sette lanciato il 14 agosto. Gli interventi fatti nella parte finale dell'anno toccano tutti i temi della pace e del pericolo per l'insorgere di razzismo e intolleranza contro gli immigrati. Come principale anelito di pace, Wojtyla confessa, ancora una volta, il 6 dicembre il suo grande desiderio di poter visitare la Terra Santa, desiderio manifestato a una delegazione di rabbini ricevuti in Vaticano. Un nuovo e deciso "no all'intolleranza", razziale, religiosa e sociale viene pronunciato nel messaggio preparato in vista della Giornata mondiale della pace del primo gennaio 1991. Il testo, presentato in sala stampa vaticana il 18 dicembre, contiene anche un severo richiamo per quei regimi fondamentalisti che negano la libertà religiosa. Di intolleranza, razzismo e solidarietà agli immigrati il Papa torna a parlare il 23 dicembre in piazza San Pietro accogliendo la pacifica manifestazione degli "ospiti" della ex Pantanella di Roma, un vecchio pastificio abbandonato, dove vivono tra profondi e indicibili disagi centinaia di cittadini extracomunitari ("Comprendo il vostro dolore"). Ma la vigilia del nuovo Natale è contrassegnata da inquietanti segnali di guerra che si stanno affacciando in diverse parti del mondo, specialmente nell'area del Golfo persico. E il Papa non può non sottolinearlo nel discorso augurale alla curia romana ricevuta il dicembre: "L'anno nuovo si affaccia ricco di confortanti speranze, ma anche segnato da drammatiche incertezze. Nubi minacciose ingombrano l'orizzonte del mondo".

NELL'ANNO DELLA GUERRA DEL GOLFO IL GRIDO DEL PAPA PER LA PACE

"Il 1991 sia per tutti gli uomini un anno di pace e non di guerra". Parole profetiche, appassionate, pronunciate dal Papa nelle omelie di Natale e di Capodanno, sotto forma di suppliche e preghiere, mentre avanza l'incubo dell'imminente guerra del Golfo persico.

LA "CENTESIMUS ANNUS", L'ENCICLICA SUL LAVORO

Nella Messa di Capodanno, Giornata mondiale della pace, Wojtyla annuncia la promulgazione di una nuova enciclica commemorativa della "Rerum Novarum" di Leone XIII, la prima enciclica sociale della Chiesa che vide la luce cento anni prima. Il nuovo documento, spiega, "si proporrà di assumere l'eredità" di quello storico testo di Leone XIII, "aggiornandolo alla luce delle nuove problematiche dei nostri tempi". Ed infatti, appena quattro mesi dopo, il primo maggio, giorno della festa del lavoro, il Papa pubblica la "Centesimus Annus". La nuova enciclica rilancia le tematiche sociali già individuate cento anni prima da Leone XIII, si schiera apertamente a fianco dei lavoratori, loda il ruolo del sindacato, sostiene il compito dell'imprenditoria, ammonisce quanti si servono del lavoro altrui per il proprio esclusivo tornaconto. E, in sostanza, il testo-base della dottrina sociale della Chiesa così come la intende papa Wojtyla e che tutto il mondo del lavoro, il sindacato, i politici, la piccola e grande industria, accolgono con rispetto e profondo interesse. Le celebrazioni per il centenario della "Rerum Novarum" culminano con la visita del Papa il 1^ settembre a Carpineto Romano, paese natio di Leone XIII.

DA SOLO CONTRO LA GUERRA

Ma i primi passi mossi dal 1991 avvicinano inesorabilmente lo spettro della guerra del Golfo: Onu, Usa, e Paesi Arabi contro l'Iraq invasore del Kuwait. All'ormai imminente conflitto il Pontefice, da solo, cerca di opporsi con tutte le sue forze. "La guerra è inutile e senza ritorno", dice in più iccasioni. Invia, perciò, messaggi alla Cee, auspicando che "il dialogo e il negoziato prevalgano sul ricorso a devastatori e terrificanti strumenti di morte". L'invito al dialogo e alla trattativa tra le parti il Santo Padre lo rinnova durante l'udienza di inizio anno al corpo diplomatico accreditato in vaticano. Analoga iniziativa alla vigilia dello scoppio del conflitto, con due lettere al presidente americano George Bush e al presidente iracheno Saddam Hussein. A entrambi scrive: "Spero ancora in gesti concreti". Ma la notte del 17 gennaio il conflitto inizia con il sinistro bombardamento di Bagdad. Non per questo Wojtyla si ferma: le esortazioni alla pace e le implorazioni per un immediato cessate il fuoco continuano per tutta la durata della guerra. "La tragedia non sia resa ancora più grave e più disumana", dice all'Angelus di domenica 27 gennaio.
Lo stesso grido Giovanni Paolo II lancia durante la visita alla parrocchia romana di Santa Dorotea, il 17 febbraio, mentre tutta la Chiesa universale quel giorno si unisce in preghiera intorno al Santo Padre per la pace nel Golfo. Gesti, iniziative e appelli che generano dibattiti, discussioni e prese di posizione in tutto il mondo, anche in ambienti notoriamente lontani dal condividere tutti i valori propri della Chiesa.

LA "REDEMPTOR MISSIO", L'ENCICLICA SULLE MISSIONI

Malgrado la guerra, il Papa non dimentica le "altre" tematiche legate alla sua missione. Ed ecco che alla fine di gennaio pubblica una nuova encilcica, la "Redemptoris missio". È il primo documento pontificio dedicato alla validità e alla perenne necessità delll'azione missionaria nel mondo. Un contributo all'opera di migliaia di missionari viventi accanto ai più poveri della terra e un riconoscimento per la loro insostituibile opera evangelizzatrice.
Il 6 marzo convoca in Vaticano, per una comune preghiera di pace i patriarchi e i vescovi dei paesi implicati nel conflitto del Golfo. Tema che, inevitabilmente, rilancia nel messaggio della Pasqua '91. "Cristo avanza nel vostro futuro - grida dalla Loggia della Benedizione della basilica vaticana - da questo luogo, cuore della Chiesa, dove giungono grida di dolore e imploranti appelli all'aiuto, mi rivolgo a voi, responsabili delle nazioni, in quest'ora difficile della storia: ascoltate la voce dei poveri!".
Anche nel primo semestre dell'anno continua il pellegrinaggio del Papa in Italia e nel mondo. In occasione della festa di San Giuseppe lavoratore, il 19 marzo, visita le diocesi di Camerino-San Severino Marche e Fabriano-Matelica. Il mese dopo, venerdì 19 aprile Giovanni Paolo II è ospite dell'università degli studi "La Sapienza" di Roma: è il primo papa che mette piede nella cittadella universitaria romana. A fine Aprile in Basilicata, e poi a Mantova il 22-23 giugno. Carico di significato il pellegrinaggio del 29 Settembre a Latina e a Le Ferriere, il borgo pontino dove cento anni prima era nata Santa Maria Goretti, una figura tanto cara a Karol Wojtyla, da lui additata spesso come esempio di fedeltà all'amore per Cristo e di coraggio.
A Maggio, dal 10 al 13, visita per la seconda volta il Portogallo, con la suggestiva preghiera al santuario di Fatima, e a Giugno torna per la quarta volta nella sua Polonia. Tra gli altri grandi impegni svolti in Vaticano, ai primi di Aprile, concistoro straordinario dedicato alla rievangelizzazione e riorganizzazione della Chiesa cattolica di rito latino nelle repubbliche sovietiche di Bielorussia, Russia e Kazakistan; annuncio, mercoledì 12 Giugno, dell'indizione del Sinodo speciale per il Libano ("Le Chiese cattoliche del Libano si interrogheranno su sè stesse"); a fine Giugno concistoro per la nomina di 22 nuovi cardinali, tra cui il vescovo di Shangai Ignatius Gong Pinmei, di 90 anni, esule negli Usa. "Io sono, veglio, mi ricordo": è la triplice consegna che il Papa affida ad oltre un milione di giovani che il 14 e il 15 Agosto partecipano alla VI Giornata mondiale della Gioventù a Czestochowa, in Polonia.
Da Luglio a Dicembre, Wojtyla incomincia ad additare, con appelli e richiami alla pace, un altro focolaio di tensione, la ex-Jugoslavia. "Occorre disarmare i cuori con un segno di pace", avverte all'Angelus del 21 Luglio. Per scongiurare lo scoppio della guerra nell'ex Jugoslavia pronuncia 25 appelli. Mai, l'instancabile Wojtyla, cessa di ricordare che "non è con le armi che si risolvono i dissidi tra i popoli".
Altri grandi eventi, la visita pastorale in Ungheria, terra di Santo Stefano, la pertecipazione alle celebrazioni romane di Santa Brigida nel sesto centenario della canonizzazione. Infine, il Sinodo dei vescovi per l'Europa dal 28 Novembre al 14 Dicembre, un appuntamento ecclesiale destinato a ridisegnare il volto cristiano dell'Europa dopo la caduta del Muro e le trasformazioni in corso nei paesi dell'Est. Il 1991 si conclude con altri due appelli per la pace mondiale nelle omelie di Natale e di Capodanno, la cui Giornata mondiale per la pace è dedicata al tema "I credenti uniti nella costruzione della pace".

IL 1992, L'"ANNO DELL'AMERICA LATINA"

I drammi dell'Europa, a partire dalle immagini di morte che arrivano dall'ex-Jugoslavia, e l'America Latina, nel quinto centenario della sua evangelizzazione. Sono i due punti focali di un anno, il 1992, che il Papa affronta con una agenda piena di tanti altri impegni e scadenze: i trenta anni dalla inaugurazione del Concilio Vaticano II, il cammino sinodale in Africa, in Libano, in Armenia, nella stessa Europa, i viaggi pastorali in Italia e all'estero che il Santo Padre è costretto a ridurre a causa di un imprevisto ricovero al policlinico "Agostino Gemelli" di Roma per l'asportazione di un tumore benigno.
Il 5 febbraio, intanto, per il Papa c'è una lieta sorpresa, torna ad incontrarsi in Vaticano con Madre Teresa di Calcutta, ripresasi dopo una lunga malattia. A marzo, agli inizi della Quaresima ricorda che la famiglia è al centro del cammino sinodale di Roma. Ecco, quindi, il via ai grandi viaggi. Inizia, in Italia, il 19 marzo a Castellammare e Sorrento; in Friuli Venezia-Giulia dal 1^ al 3 maggio; a Nola, Caserta e Capua il 23 e il 24 maggio; a Crema, Lodi e Cremona il 19 e il 21 giugno; e i pellegrinaggi all'estero in Senegal, Gambia e Nuova Guinea dal 19 al 26 febbraio che segna l'ottava visita pastorale in Africa; in Angola e isola di Sao Tomé e Principe dal 4 al 10 giugno. Ma il mese successivo l'improvvisa doccia fredda...
Il pellegrinaggio di Giovanni Paolo II in Angola


Papa Wojtyla con Madre Teresa di Calcutta


UN ANNUNCIO A SORPRESA: "VI FACCIO UNA CONFIDENZA, QUESTA SERA MI RECHERÒ AL POLICLINICO..."

"Vorrei farvi una confidenza: questa sera mi recherò al Policlinico Gemelli per sottopormi ad alcuni accertamenti diagnostici...". È il Papa in persona ad annunciare al mondo durante la preghiera dell'Angelus del 12 Luglio che di lì a poche ore sarà ricoverato. Il mercoledì successivo sarà sottoposto ad un intervento chirurgico all'addome per l'asportazione di una massa di grasso (un tumore benigno, dicono i medici). La degenza ospedaliera viene seguita praticamente in diretta da ogni angolo della terra. Fedeli, simpatizzanti, semplici persone, governanti di ogni nazione, con messaggi, preghiere e visite al "Gemelli" seguono giorno dopo giorno il decorso della degenza del Papa, che lascia l'ospedale martedì 28 luglio. Anche dalla camera del Policlinico, la stessa che lo ospitò dopo l'attentato del 13 maggio 1981, continua a infondere coraggio al mondo intero, affrontando con serena rassegnazione la nuova prova a cui la Provvidenza lo ha sottoposto con l'improvviso intervento chirurgico.
Il '92, dunque, per il Papa è un altro anno segnato dal dolore fisico, ma è anche l'anno caratterizzato da tanti altri interventi come l'allocuzione al corpo diplomatico accreditato presso la Santa Sede al quale rinnova l'angoscia e la condanna per i segnali di guerra che arrivano da troppi focolai; è l'anno del commosso "grido" dell'anima contro le antiche e nuove schiavitù nell'isola di Gorè, di fronte a Dakar, in Africa; è l'anno della Esortazione apostolica post-sinodale "Pastores dabo vobis", con cui il Papa offre alla Chiesa i frutti del Sinodo dei vescovi dedicato alla formazione sacerdotale. Il documento viene pubblicato il 7 aprile, mese in cui, in occasione della Domenica delle Palme, oltre duecentomila giovani in Piazza San Pietro celebrano la settima giornata mondiale della gioventù. Quasi una anteprima alla gigantesca beatificazione di Josemaria Escrivà de Balaguer e di Giuseppina Bakhita avvenuta alla presenza di oltre trecento mila persone domenica 17 Maggio, mese che si conclude con il "confronto con la città" nell'ambito del Sinodo romano.
Dopo il ricovero al "Gemelli", dalla sera del 28 luglio incomincia la convalescenza a Castel Gandolfo fino al 17 agosto, giorno in cui vola a Lorenzago in Cadore, per restarvi fino al 2 settembre. La ripresa lavorativa, comunque, non si fa attendere molto. Dal 9 settembre riprende le udienze generali a Castel Gandolfo. Sabato 26 settembre rientra in Vaticano e il giorno dopo proclama ventuno nuovi beati. Ottobre è il mese del ritorno alla piena attività, con la celebrazione domenica 3 a San Giovanni in Laterano per la seduta pubblica del Sinodo romano e con il viaggio (il primo dopo l'intervento) dal 9 al 14 a Santo Domingo, per la quarta conferenza generale dell'episcopato latino-americano.

LA RIABILITAZIONE DI GALILEO

Il 1992 è anche l'anno dello storico e coraggioso discorso del 31 ottobre alla plenaria della Pontificia Accademia delle Scienze, nel corso della quale il Papa ribadisce come "appartiene al passato il doloroso malinteso sulla presunta opposizione costitutiva tra scienza e fede" e che "la tragica incomprensione sul 'caso Galilei' insegna che è un dovere per i teologi tenersi regolarmente informati sulle acquisizioni scintifiche". Per il grande Galilei è il sigillo ufficiale di una riabilitazione, che nella Chiesa di fatto era già avvenuta da tempo, malgrado l'antica condanna.

IL NUOVO CATECHISMO DELLA CHIESA CATTOLICA

Altri interventi che segnano il cammino del Papa nel '92: la promulgazione del nuovo Catechismo della Chiesa cattolica, un testo diventato subito un best-seller in tutto il mondo; la commemorazione del trentesimo anniversario dell'apertura del Concilio Vaticano II fatta davanti ai cardinali e alla curia romana pochi giorni prima di Natale; e la visita ufficiale in Vaticano del presidente della Repubblica italiana Oscar Luigi Scalfaro, venerdì 27 novembre. La pubblicazione del nuovo Catechismo avviene in forma ufficiale dal 7 al 9 dicembre in tre momenti: quello "celebrativo" nella Sala Regia alla presenza del Papa, quello liturgico nella basilica di Santa Maria Maggiore e in Piazza di Spagna a Roma ai piedi della colonna mariana; e un terzo momento, con la conferenza del cardinale Joseph Ratzinger, presidente della commissione che dal 1985 ha lavorato al nuovo Catechismo. Altra costante preoccupazione di Giovanni Paolo II, la guerra nell'ex Jugoslavia. "La guerra è inutile per risolvere i problemi e reca danni incalcolabili soprattutto alle persone più deboli e indifese", ricorda nell'Angelus del 1^ novembre. Nella stessa circostanza si appella a "coloro che detengono responsabilità politiche affinché siano risparmiate alle popolazioni ulteriori sofferenze e si prosegua nella ricerca negoziale di soluzioni onorevoli e giuste". Analoghi appelli alla riconciliazione il Santo Padre lancia durante i suoi viaggi in Africa, specialmente nelle visite in Angola e in Liberia, due paesi segnati dalla violenza e dalla guerra. Ai governanti della Liberia il 1^ novembre lancia un ulteriore invito "al dialogo e alla ragione della pace" in seguito alla uccisione delle cinque religiose della Congregazione delle Adoratrici del Sangue di Cristo. Il 1992 si conclude con un altro sorprendente annuncio, lo "speciale incontro" di preghiera e di digiuno per la pace in Europa e in particolare per l'ex Jugoslavia indetto da Giovanni Paolo II dal 7 al 10 gennaio 1993, tema che sarà presente anche nei discorsi di Natale e di Capodanno. Infine, il 20 dicembre, Wojtyla visita la mensa sociale della Caritas di Colle Oppio a Roma. Accolto dal Cardinal Vicario Camillo Ruini e da monsignor Luigi Di Liegro, direttore della Caritas diocesana, si intrattiene a lungo con gli ospiti, in gran parte immigrati, senza fissa dimora, barboni. L'incontro termina con un ennesimo appassionato appello all'accoglienza e alla fraternità, e con una severa condanna di razzismo e xenofobia.
Un'immagine di Papa Wojtyla


1993, RITORNO AD ASSISI

Il 1993 si apre nel segno della preghiera per la pace universale, minacciata da troppi messaggi di morte e di violenza. Dopo la celebrazione della ventiseiesima Giornata mondiale della pace il 1° gennaio e l'ordinazione di undici nuovi vescovi il giorno dell'Epifania, il 9 e il 10 gennaio il Santo Padre si reca ad Assisi, come già il 27 Ottobre 1986, per la pace del mondo, questa volta per pregare e digiunare per la pace in Europa e nei Balcani. Insieme al Papa si uniscono i vescovi cattolici italiani, rappresentanti di altre confessioni cristiane, dell'ebraismo e dell'islam. Nella duegiorni di Assisi si eleva un corale invito ai potenti della terra a compiere scelte coraggiose contro l'indifferenza e a favore della costruzione della pace in tutto il mondo, a partire dei popoli dell'ex Jugoslavia. "Cristo è la nostra pace - prega papa Wojtyla ad Assisi - quando ci allontaniamo da Lui che altro rimane se non l'odio, l'inimicizia, il conflitto, la crudeltà e la guerra? I conflitti che sorgono intorno a noi, la fame, le privazioni, gli stenti che affliggono e tormentano tanti esseri umani sono una sfida per tutti coloro che si proclamano seguaci di Cristo...".

L'UDIENZA AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO GIULIANO AMATO E LA RIPRESA DEI PELLEGRINAGGI

Il 21 gennaio 1993 varca il Portone di Bronzo Giuliano Amato, socialista, presidente del Consiglio dei ministri italiano. Parla da solo col Papa per circa tre quarti d'ora, passando in rassegna, si saprà alla fine, i più importanti aspetti che "caratterizzano l'attuale situazione in Italia e nel mondo, con particolare riferimento alla dimensione morale". Il premier italiano si mostra anche preoccupato per il dilagare dell'aborto legale e clandestino, una piaga che da sempre lo vede su posizioni molto vicine a quelle dei cattolici e in contrapposizione con spezzoni del Psi, il suo partito.
A febbraio il Papa riprende i pellegrinaggi ritornando per la decima volta in Africa. Dal 3 al 10 febbraio visita il Benin e l'Uganda. Durante la visita a Kampala annuncia la data del Sinodo speciale per l'Africa: il 10 aprile 1994.
Il viaggio africano si conclude con una storica sosta a Khartoum, capitale del Sudan, paese islamico. Appena rientra in Vaticano, l'11 febbraio celebra la prima Giornata mondiale degli ammalati. In occasione dell'inizio della Quaresima, il 24 febbraio scrive una lettera all'arcivescovo di Vrhbosna, Sarajevo, con l'invito ad aiutare le donne, dolorosamente offese dalle violenze sessuali dei serbi, a trasformare quell'atto di violenza in un atto d'amore e di accoglienza.
A marzo altro importante intervento a favore della fratellanza tra i popoli, con il messaggio inviato al segretario generale dell'Onu, nel quale esorta i governanti ad "avere il coraggio della pace".
Per la festa di San Giuseppe, il 19 marzo visita pastorale nella diocesi di Sabina-Poggio Mirteto. Il 20 e il 21 successivi, canonizzazione di Claudine Thévenet e di Teresa "de los Andes", la conferma del culto liturgico del francescano Giovanni Duns Scoto e la beatificazione di Dina Bélanger.

IL PRIMO VIAGGIO IN ALBANIA

Il 25 aprile 1993, dopo i solenni riti delle festività pasquali presieduti in Vaticano, storico pellegrinaggio in Albania, durante il quale a Scutari ordina quattro nuovi vescovi. Il 25 aprile, con la visita del Papa, l'Albania cambia il corso della sua storia. Riprende la strada dell'antica sequela, celebrando nel "ritorno della Chiesa - spiega il Santo Padre nella cattedrale di Scutari appena smessa da teatro e da officina - dopo gli anni delle brutali interdizioni e delle severe condanne...".
Dall'Albania ai problemi italiani, ai drammi della Sicilia, dove, in visita dall'8 al 10 maggio, lancia il severo grido ai mafiosi "Convertitevi! Un giorno arriverà il giudizio di Dio!".

"MAFIOSI, CONVERTITEVI! UN GIORNO VERRÀ IL GIUDIZIO DI DIO!"

Teatro dell'ammonimento di Wojtyla, la valle dei templi di Agrigento. A conclusione del discorso, con lo sguardo severo, la mano destra alzata, il papa scuote le coscienze ricordando con forza che "la mafia offende Dio". "I colpevoli che disturbano la pace - aggiunge - che portano sulle loro coscienze tante vittime umane debbono capire che non è permesso uccidere degli innocenti. Nel nome di questo Cristo crocifisso e risorto, di questo Cristo che è vita, io dico ai responsabili: convertitevi! Una volta verrà il giudizio di Dio! Non è possibile che dentro una società devota, così religiosa, così cristiana possa dominare il contrario, quello che offende Dio, che offende e distrugge l'altro, il nostro fratello".
Rientrato in Vaticano, il giorno dopo inizia la causa di beatificazione di Paolo VI e il 23 maggio conclude solennemente il Sinodo della diocesi di Roma. Il cardinale vicario Camillo Ruini gli consegna il Libro del Sinodo, frutto di 7 anni di lavori sinodali che hanno gettato le basi per preparare la Chiesa romana all'avvento del terzo millennio. A giugno papa Wojtyla celebra il trentesimo anniversario della morte di Giovanni XXIII, del quale dice "aprì gli orizzonti della Chiesa alle grandi sfide dell'epoca contemporanea. Annuncia inoltre, domenica 6, che la Chiesa nel 1994 celebrerà l'Anno della Famiglia. Dal 12 al 17 giugno il Santo Padre è nuovamente in Spagna dove canonizza Ossò y Cervellò e conclude il Congresso Eucaristico di Siviglia. Il 19 e il 20 visita pastorale a Macerata, Foligno e sul Gran Sasso dove recita l'Angelus. Il 24 giugno udienza in Vaticano per il nuovo presidente del Consiglio dei ministri italiano Carlo Azeglio Ciampi.
Prima di partire per una breve vacanza estiva sul Cadore, il 2 luglio ritorna al policlinico "Gemelli" per una visita di controllo, già prevista da tempo, in seguito all'intervento chirurgico del giugno scorso. Constatato l'ottimo stato di salute, il Papa ritorna sulle montagne cadorine. Da qui, l'11 luglio durante la Messa celebrata a S.Stefano di Cadore, lancia un nuovo appello per le popolazioni martoriate della Bosnia-Erzegovina. Il 18 luglio a Castel Gandolfo ricorda il cinquantesimo anniversario del bombardamento di Roma. Ma dieci giorni dopo è costretto quasi ad accorrere in soccorso della sua cattedrale, la basilica di San Giovanni in Laterano, colpita da un attentato insieme alla chiesetta di S.Giorgio in Velabro a Roma. Giovanni Paolo II, accompagnato dal presidente della Repubblica italiana Oscar Luigi Scalfaro e dalle più alte autorità civili e religiose, visita la basilica colma di macerie. Spesso dalla sua bocca escono espressioni del tipo "è terribile, è spaventoso!", mentre i tecnici ed i responsabili incominciano a muovere i primi passi per avviare i restauri e riportare San Giovanni in Laterano al suo antico splendore. Agosto, iniziato con un forte richiamo per un immediato cessate il fuoco in Libano, è il mese di Denver (Usa), sede della celebrazione della settima Giornata mondiale della gioventù che papa Wojtyla presiede davanti ad oltre mezzo milione di ragazzi provenienti da 105 nazioni. Dopo un suggestivo appello alla pace e alla fratellanza, dà l'appuntamento a tutti a Manila, nelle Filippine, il paese che ospiterà la Giornata della gioventù nel gennaio .

KAROL WOJTYLA NEI BALTICI, È STORIA

E a settembre un altro grande sogno wojtyliano si avvera. Dal 4 al 10 visita i paesi Baltici, viaggio preceduto da una udienza in Vaticano del tutto particolare e senza precedenti, concessa all'imperatore del Giappone Aikito accompagnato dalla consorte. È una visita che sancisce gli stretti rapporti di stima e di simpatia reciproca esistenti tra la Santa Sede e i giapponesi.
Il giorno dopo, il Papa è di nuovo in viaggio. Per la prima volta può recarsi tra le popolazioni della Lituania, della Lettonia e dell'Estonia, fino a pochi mesi prima territori dell'ex Urss e quindi inaccessibili per il Vicario di Cristo. Struggente la visita alla "Collina delle Croci" di Siauliai del 7 settembre. Wojtyla passa lentamente e si raccoglie in preghiera tra le migliaia di croci piantate da mani ignote durante le persecuzioni comuniste. Non parla. Ma il suo silenzio di commozione è più chiaro di qualsiasi altro discorso. "La vicenda della collina delle croci, il Golgota lituano - scrive Sergio Trasatti, redattore capo dell'Osservatore Romano - è una eloquente parabola da cui traspare nitidamente uno dei pilastri del magistero di Giovanni Paolo II: non si può cancellare Cristo dal cuore dell'uomo...".
Una settimana dopo, pellegrinaggio a La Verna e a Camaldoli. Suggestivo l'incontro con i religiosi di Camaldoli e carico di profetico significato il discorso tenuto a La Verna (Arezzo), dove il Papa viene raggiunto dalle notizie del vile assassinio mafioso del sacerdote palermitano don Giuseppe Puglisi: "Elevo la mia voce - è il monito di Giovanni Paolo II - per deplorare che un sacerdote, don Giuseppe Puglisi, sia stato barbaramente eliminato. Che il sangue innocente di questo sacerdote porti pace alla cara Sicilia".

ECCO "LA VERITATIS SPLENDOR", L'ENCICLICA DELLA VERITÀ

E con ottobre arriva la tanto attesa enciclica morale, la "Veritatis splendor", lo "Splendore della verità", uno dei più importanti documenti (se non il più importante) del pontificato. Viene pubbicata il 6 ottobre '93. Quattro giorni prima, però, Wojtyla invia una lettera all'arcivescovo di Vrhbosna, Sarajevo, per unirsi spiritualmente al triduo di preghiere per la pace nell'ex Jugoslavia cui partecipano anche i responsabili della comunità musulmana, ortodossa ed ebraica.
All'Angelus di domenica 3 ottobre parla della imminente pubblicazione dell'enciclica, la Lettera in cui ha elencato tutte le verità sancite dalla tradizione ecclesiale in materia di morale, che però una lettura troppo distratta e frettolosa dall'opinione pubblica vede come solo l'enciclica che rinnova la condanna di aborto, contraccezione e omosessualità. Ma ecco cosa dice il Santo Padre della "Veritatis Splendor" alla preghiera dell'Angelus: "La Chiesa, quando parla, lo fa perché si sente 'debitricÈ verso l'uomo, spesso disorientato tra tante voci discordi, e verso la verità, della quale è destinataria, prima di esserne annunciatrice... non le sarebbe in alcun modo lecito tacerla o manipolarla per assecondare mode passeggere...".

NUOVO RICOVERO AL POLICLINICO PER LA SPALLA LUSSATA

L'11 novembre 1993, durante l'udienza ai rappresentanti della Fai, papa Wojtyla inciampa in un tappeto mentre si appresta a scendere uno scalino, cade e si lussa la spalla destra. Immediato il ricovero al polilclinico "Gemelli" di Roma, dove i sanitari sotto anestesia gli sistemano la spalla con una vistosa fasciatura. Resta nell'ospedale solo per 24 ore. Pur dovendo limitare i movimenti, riesce ugualmente a far fronte a gran parte dei suoi impegni sia in Vaticano che fuori. Ecco quindi che l'8 dicembre partecipa alla tradizionale preghiera ai piedi della Madonna Immacolata in piazza di Spagna a Roma, accolto dal nuovo sindaco Francesco Rutelli, eletto nelle liste progressiste. All'Angelus di domenica 12 dicembre un nuovo grande annuncio: la preghiera per la pace per l'ex-Jugoslavia indetta per il prossimo 23 gennaio. Domenica visita-pellegrinaggio al policlinico "Umberto I" di Roma e il successivo 24 e 25 celebrazione del santo Natale. La chiusura del 1993, però, segna un altro capolavoro del papato di Karol Wojtyla: il 30 dicembre Israele e Santa Sede, dopo mesi di trattative bilaterali firmano il reciproco riconoscimento, destinato a stabilire relazioni diplomatiche tra le due entità. È un momento che milioni di persone attendono da anni, l'inizio di un nuovo sforzo verso la pace in un territorio caro al mondo e di più fruttoso dialogo tra cattolici e mondo ebraico.

IL 1994, ANNO DELLA FAMIGLIA E DEL VIAGGIO MANCATO A SARAJEVO

"Non siete abbandonati, siamo con voi e saremo con voi e sempre più saremo con voi!". Con il volto teso, la voce forte e il cuore gonfio di dolore il Papa ancora una volta lancia il suo grido in favore dell'ex-Jugoslavia: é il 23 Gennaio '94 il giorno in cui presiede nella basilica di San Pietro la solenne Messa celebrata per chiedere a Dio la pace nei paesi Balcani. È una iniziativa di fede e di speranza, ma è anche un severo richiamo alla indifferenza e alla sordità di quanti assistono con distacco ai drammi della vicina Bosnia-Erzegovina. Analogo incitamento, anche se meno drammatico, nella lettera per l'Italia scritta il 28 gennaio ai vescovi del nostro Paese. Nel documento papa Wojtyla descrive tutta la sua preoccupazione per una nazione, l'Italia, che sta vivendo un delicato momento di trasformazione sociale e politica.
Nella lettera ricorda in particolare che ogni cattolico è sempre chiamato a servire la sua patria seguendo fedelmenti i princìpi della dottrina sociale della Chiesa. Per questo preannuncia una "grande preghiera per l'Italia" che inizierà il 15 marzo sulle tombe dei papi in Vaticano per concludersi, coinvolgendo tutto il popolo di Dio che è nel nostro Paese e tutte le persone di buona volontà, nel santuario mariano di Loreto alla fine dell'anno.
"Carissime famiglie": inizia con queste parole la Lettera alle famiglie italiane pubblicata il 23 febbraio. È un documento forte e tenero, col quale il Santo Padre bussa alle porte di ogni nucleo familiare per far sentire la sua paterna presenza di pastore e di Vicario di Cristo in un momento della storia che vede proprio la famiglia al centro di attacchi e di prove durissime. La Lettera viene stampata in milioni di copie e inviata in tutto il mondo. L'iniziativa era stata preceduta dalla grande celebrazione della Giornata mondiale del Malato presieduta dal Santo Padre in Vaticano. Alto, severo e carico di speranza il richiamo lanciato nell'omelia: "Un grido possente dal mondo della sofferenza: la vittoria dell'amore sull'odio, della pace sulla guerra".
Sono due i grandi avvenimenti pontifici del mese di marzo. Martedì 15 il Papa presiede la concelebrazione con i vescovi italiani presso la tomba di San Pietro per l'inizio della "Grande preghiera per l'Italia e con l'Italia" in vista dell'anno . "Se la società italiana deve profondamente rinnovarsi - spiega Giovanni Paolo II - purificandosi dai reciproci sospetti e guardando con fiducia verso il suo futuro, allora è necessario che tutti i credenti si mobilitino mediante la comune preghiera...". Il Papa invita tutte le comunità ecclesiali italiane (parrocchie, diocesi, conventi...) a pregare per l'Italia nei successivi 9 mesi, seguendo un ideale itinerario di suppliche, invocazioni e meditazioni che si concluderà il 10 dicembre a Loreto. L'altro grande avvenimento di Marzo, la celebrazione nazionale della IX Giornata mondiale della gioventù, la domenica della Palme in piazza San Pietro. "Compiamo oggi - dice Wojtyla a migliaia di ragazzi arrivati da ogni angolo d'Italia e a una delegazione americana e filippina - un gesto che va acquistando, di anno in anno, sempre sempre maggiore valore simbolico: la Croce pellegrinante passa di mano in mano, di spalla in spalla, i giovani americani di Denver...consegnano oggi la Croce ai loro fratelli asiatici provenienti da Manila, la capitale delle Filippine, dove nel gennaio 1995 si terrà il prossimo raduno mondiale...".

ED ECCO LA NUOVA CAPPELLA SISTINA, WOJTYLA INAUGURA IL RESTAURO DEL SECOLO

Dalla grande folla della Giornata della gioventù, alle migliaia di fedeli radunati sempre in piazza San Pietro per la domenica di Pasqua '94. Questo il primo grande appuntamento di Aprile, seguito dall'apertura del primo Sinodo della Chiesa africana (10 Aprile) e dall'inaugurazione (l'8 Aprile) del restauro del secolo, gli affreschi michelangioleschi della Cappella Sistina, riportata al suo originario splendore dopo 14 anni di lavori.
Il Sinodo africano trasforma, anche se solo per poche ore, la basilica di San Pietro in centro mondiale della cristianità africana, con delegazioni provenienti da tutte le comunità cattoliche sorte nel continente nero. Felice circostanza ricordata anche dal Papa nel suo discorso introduttivo. "Oggi per la prima volta si svolge un Sinodo della Chiesa Africana che interessa l'intero Continente: da Alessandria fino al capo di Buona Speranza, dal Golfo Persico sino a Gorée e alle isole atlantiche di Capo Verde. Tutta l'Africa è presente oggi nella basilica di San Pietro. Con profondo fremito del cuore il Vescovo di Roma saluta l'Africa...dall'immenso Sahara sino alle profonde savane e alle ricche foreste tropicali...". Grande emozione, poi, suscita la beatificazione di Gianna Beretta Molla (una mamma morta per mettere alla luce la sua bambina), Isidore Bakanja ed Elisabetta Canori Mora.

IL NUOVO RICOVERO AL "GEMELLI"

Il mese di aprile si chiude, però, con un altro ricovero ospedaliero per Karol Wojtyla in seguito a un incidente di cui rimane vittima mentre esce dalla vasca da bagno. Una banale scivolata gli procura la frattura del femore destro per la quale viene portato per la sesta volta al policlinico "Gemelli" di Roma per essere sottoposto a intervento chirurgico il 29 aprile. Tutto il mondo segue con trepidazione questa nuova prova di dolore fisico affrontata dal Papa, costretto a limitare gli impegni per meglio facilitare la convalescenza. Tuttavia, non manca di essere presente agli appuntamenti più importanti. Nella sua stanza d'ospedale, riceve ad esempio la delegazione di cardinali guidata da Joseph Ratzinger che gli presenta la traduzione in inglese del nuovo Catechismo della Chiesa cattolica. Tra giugno e agosto, pur costretto a ridurre i suoi movimenti, riesce ugualmente a far sentire la sua voce con messaggi, omelie ed interventi pastorali. Particolarmente frequenti le sue sollecitazioni in vista della Conferenza su popolazione e sviluppo che l'Onu organizzerà in autunno al Cairo (Egitto). Il Papa non nasconde il suo disaccordo con gli organizzatori del meeting che nella fase preparatoria della conferenza hanno già fatto capire che al Cairo non ci sarà un adeguato pronunciamento contro la cultura della morte, a partire da pratiche invise alla Chiesa come aborto, eutanasia e contraccezione. E Karol Wojtyla lo dice ad alta voce. Come pure lo spiega al presidente americano Bill Clinton in visita in Vaticano il 2 giugno.
Altri messaggi inviati: al congresso Eucaristico di Siena, alla Chiesa del Ruwanda in ricordo dei tre vescovi uccisi e lunedì 1^ agosto in occasione del cinquantesimo anniversario dell'insurrezione di Varsavia durante la seconda guerra mondiale.

IL VIAGGIO A ZAGABRIA E LA SARAJEVO NEGATA

Sabato 10 e domenica 11 settembre papa Wojtyla compie uno dei suoi viaggi più commoventi e indimenticabili. Va a Zagabria, dove davanti ad oltre un milione di persone invoca la pace per tutti i popoli dell'ex Jugoslavia. Ma è un viaggio che il Santo Padre compie con una profonda tristezza, in seguito al netto rifiuto che l'Onu ha imposto (ufficialmente per motivi di sicurezza) alla sua programmata visita a Sarajevo per giovedì 8 settembre. Ma di fronte alle irrazionali e inconcepibili "ragioni" della guerra, il Papa lancia ugualmente la sua sfida di pace, leggendo la stessa omelia che avrebbe dovuto tenere a Sarajevo durante la Messa celebrata l'8 settembre a Castel Gandolfo, trasmessa in diretta nella ex Jugoslavia.
Il 18 settembre riprende le visite pastorali in Italia recandosi a Lecce, in coincidenza dell'avvio della Conferenza del Cairo su popolazione e sviluppo. Circostanza che ricorda durante il viaggio pugliese. Momento clou del mese successivo è la celebrazione dell'Anno della Famiglia in piazza San Pietro. Accanto al Papa, l'8 e il 9 Ottobre si stringono le rappresentanze delle famiglie di tutti i continenti. A Novembre nuovo viaggio in Sicilia, a Catania e a Siracusa; promulgazione delle Lettera apostolica "Tertio Millennio Adveniente", dedicata alla Chiesa e al mondo in vista dell'arrivo del terzo millennio di cristianesimo. Il 30 Novembre Concistoro per la creazione di 30 nuovi cardinali, tra i quali significativa la nomina del vescovo di Sarajevo. Dicembre, ultimo mese di un anno che ha visto il Papa praticamente sempre un prima linea su tutti i fronti delle ingiustizie, della difesa dei poveri, dei richiami ai potenti della terra, della decisa condanna di tutte le culture di morte, e della infaticabile diffusione della Parola di Dio. Una opera di testimonianza universale che un giornale laico come il "Times" suggella nominando Giovanni Paolo II "uomo dell'anno". Il Papa riceve la simbolica "incoronazione" nel pieno della sua attività: il 10 dicembre a Loreto presiede la solenne conclusione della "Grande preghiera per l'Italia e con l'Italia" alla presenza del presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro; a Natale scrive una Lettera ai bambini di tutto il mondo per al termine dell'anno della famiglia; a Capodanno lancia il suo messaggio di pace per la Giornata della pace. Mentre inizia il conto alla rovescia per l'inizio (il 10 Gennaio 1995) del grande viaggio in estremo oriente che culminerà con la Giornata mondiale della Gioventù di Manila dove lo attenderanno oltre 5 milioni di fedeli: la più grande pacifica manifestazione della storia. Durante il volo che lo porterà nelle Filippine qualche giornalista gli chiede cosa abbia provato nell'apprendere di essere stato nominato dal "Times" uomo dell'anno. "È una cosa dell' anno passato - risponde Karol Wojtyla - ora bisogna guardare al futuro". È Giovanni Paolo II.

1995, L'ANNO DELLE DUE ENCICLICHE E DELLA LETTERA ALLE DONNE

Il 1995 è l'anno in cui i fedeli di tutto il mondo si abituano a vedere un Papa Wojtyla diverso, nell'aspetto esteriore, rispetto al passato. Un Papa che nelle manifestazioni pubbliche, nelle grandi celebrazioni liturgiche cammina a fatica, si muove lentamente ed ha bisogno del bastone. Ma non è un problema. Tutti sanno che il Papa deve essere solo un po' cauto nei movimenti, perché così vogliono i medici che lo hanno curato dopo la frattura dell'anca. Solo misure preventive, dunque, per meglio recuperare l'antica forma. Ed infatti il 1995 sarà consegnato alla storia come uno dei più intensi del papato di Karol Wojtyla. Il primo inequivocabile segnale si ha a gennaio con il grande viaggio in Estremo Oriente, culminato con la Giornata mondiale della gioventù, a Manila Filippine, dove viene accolto da 5 milioni di persone. Questa la cura che piace tanto al Papa, il contatto con la gente, i viaggi, la condivisione delle gioie e dei dolori di tutto il popolo di Dio, di credenti e non credenti. Una cura che per i primi sei mesi del '95 produce frutti abbondanti, fatti di pellegrinaggi in Italia e all'estero, di ripetuti ed instancabili appelli per la pace nell'ex Jugoslavia, per la difesa della donna, in vista della conferenza che l'Onu organizzerà a settembre a Pechino, e di una straordinaria produzione letteraria. In questi mesi Wojtyla pubblica, infatti, ben quattro importanti documenti: due encicliche, sull'ecumenismo e sulla morale, la lettera alle donne di tutto il mondo e la lettera scritta per celebrare la conclusione della seconda guerra mondiale.
I viaggi. In Italia a marzo visita Campobasso e a giugno va a Trento, dove presiede alla commemorazione dello storico concilio di Trento della controriforma. I viaggi italiani, nella prima metà del '95 culminano con le vacanze in Val d'Aosta, a Les Combes, dove il Papa si riposa ai piedi delle vette del Monte Bianco dal 14 al 22 luglio. Ma pur immerso nel silenzio e nella meditazione, Wojtyla trova slancio e determinazione per lanciare ripetuti ammonimenti per gli eccidi in corso nella Bosnia-Erzegovina. Analoghi appelli Giovanni Paolo II lancia durante la visita a Praga, in Slovacchia, dal 30 giugno al 3 luglio, dove beatifica un sacerdote cattolico ucciso dai protestanti, un gesto non pienamente condiviso dalle Chiese riformate. Ma il clima di reciproco rispetto viene subito ristabilito da un'iniziativa senza precedenti, l'omaggio di Karol Wojtyla a una lapide che ricorda un gruppo di fedeli protestanti uccisi nei secoli passati dai cattolici. Il pellegrinaggio in Slovacchia viene preceduto il mese prima dalla visita in Belgio del 3-4 giugno. Qui, alla presenza dei reali belgi, beatifica il servo di Dio Padre Damiaan. L'occasione offre lo spunto a Papa Wojtyla di ricordare il sacrificio del defunto re Baldovino, il sovrano che abdicò per un giorno per non firmare la legge che introdusse l'aborto legale in Belgio. Il Papa sosta a pregare anche sulla sua tomba, un gesto visto come una indiretta volontà del Pontefice di vedere un giorno re Baldovino beatificato.
Una delle date più significative del '95 è sicuramente il 18 maggio, giorno in cui il Papa compie 75 anni. Da tutto il mondo arrivano in Vaticano auguri e messaggi di felicitazione. Giovanni Paolo II risponde con gioia a tutti. Ma ne approfitta pure per fugare alcuni interrogativi sorti proprio in conseguenza del suo settantacinquesimo compleanno, età fatidica per vescovi e cardinali, oltre la quale nella Chiesa si rassegnano le dimissioni. "Servirò la mia Chiesa - risponde Paolo II - fino a quando Dio lo vorrà".
La pubblicazione della lettera per la fine della seconda guerra mondiale "Un monito per tutti, validissimo ancora oggi", precede le due encicliche e la lettera alle donne, documenti attesi e destinati a scuotere le coscienze di credenti e non credenti, cattolici e fedeli di altre religioni. La prima enciclica del '95 è l'"Evangelium vitae", un testo che ribadisce il tradizionale insegnamento morale della dottrina cattolica, condanna aborto, contraccezione, manipolazioni genetiche, eutanasia. Di grande effetto la mano tesa alle donne che abortiscono, per le quali il Papa richiama tutta la società, Chiesa compresa, alla comprensione, pur ricordando che l'aborto resta "un delitto abominevole" che va sempre condannato. Ma è una piaga per la quale il Papa interpella anche gli uomini, che troppe volte abbandonano le donne al loro destino. Analoghi concetti vengono ripresi nella lettera alle donne, nella quale il Papa, in vista della conferenza di Pechino, rivendica per l'universo femminile un ruolo allo stesso livello degli uomini in tutti gli ambiti sociali e politici. Nella stessa lettera condanna il maschilismo aggressivo, loda il femminismo che, senza estremismo, si batte per la parità tra uomo e donna e rilancia il "genio femminile", riprendendo una delle espressioni più note di un'altra lettera pastorale, la "Mulieris dignitatem" del 1988. Nel documento, Wojtyla condanna, inoltre, tutte le forme di sfruttamento che, sia ieri che oggi, hanno condizionato la vita delle donne, come la violenza, specialmente quella sessuale, la pubblicità che sfrutta la bellezza femminile, la pornografia, la prostituzione. Per tutti questi mali, Giovanni Paolo II chiede scusa a tutte le donne del mondo, suscitando il plauso e l'ammirazione di cattolici e non cattolici, comprese le stesse femministe storiche.
L'altra grande enciclica pubblicata nella prima metà del 1995 è la "Ut unim sint", dalle parole di Gesù, "Affinché siate una cosa sola...". l'enciclica sull'ecumenismo. Il documento del "mea culpa" per le divisioni che da millenni, lamenta il Papa, costringono i cristiani a vivere separati. In vista del Terzo Millennio dalla nascita di Cristo, la divisione, scrive Wojtyla, "è uno scandalo" che deve essere eliminato. E per questo chiede perdono ai fratelli delle altre confessioni cristiane, specialmente agli ortodossi. L'enciclica suscita tanti positivi commenti in tutte le realtà cristiane, salvo qualche comprensibile "distinguo".
La visita in Vaticano del patriarca ecumenico di Costantinopoli Bartolomeo I a fine giugno, culminata con la festa di S. Pietro e Paolo del 29 giugno, è il tangibile segnale di come la "Ut unim sint" abbia favorevolmente inciso là dove il Papa parla della necessità del potenziamento dei rapporti tra cattolici ed ortodossi. Resta tuttavia ancora aperto il nodo del "primato" del Papa, in virtù del mandato consegnato da Gesù a Pietro. Giovanni Paolo II nell'enciclica, con un grande senso di umiltà ed apertura, si dice disponibile a discutere le forme applicative di tale primato, pur nella fedeltà alla verità evangelica. Questa disponibilità prende in contropiede le altre confessioni cristiane e ravviva speranze, da troppo tempo sopite. Il Terzo Millennio che bussa alle porte, chissà, forse potrebbe fare il grande miracolo. Papa Karol Wojtyla non si stancherà mai di crederci.]

KAROL WOJTYLA CELEBRA IL CINQUANTESIMO ANNIVERSARIO DELLA SUA ORDINAZIONE SACERDOTALE

Il 1996 viene segnato dal prepotente ritorno delle preoccupazioni per la salute del Papa, culminate nell'intervento chirurgico di appendicectomia cui si sottopone martedì 8 ottobre al Policlinico Gemelli di Roma.
Un susseguirsi di allarmi e smentite, determinato dalle voci incontrollate sulla malattia causa del tremore al braccio sinistro, portano il professor Crucitti, che lo ha operato, a escludere qualsiasi altra patologia e in particolare una recidiva del tumore asportato nel 1992.
Dimesso dal Policlinico il 15 ottobre, Giovanni Paolo II può così festeggiare il cinquantesimo anniversario della sua ordinazione sacerdotale (1° novembre) e presentare l'autobiografia Dono e mistero. Nel 50° del mio sacerdozio, un commosso ricordo, di grande impatto emotivo, della sua infanzia e della formazione pastorale.
Alla suggestiva concelebrazione eucaristica, presieduta dal Pontefice nella basilica di San Pietro, ha preso parte una numerosa rappresentanza di sacerdoti, vescovi e cardinali che, come lui, erano stati ordinati in quel lontano 1946.
L'affetto di tutto il mondo verso il successore di Pietro alla cattedra di Roma è stato espresso da moltissime persone e in diversi modi: accanto ai capi di Stato, ai responsabili della cosa pubblica, ai cardinali e ai consiglieri del Papa, la gente comune ha fatto giungere al Santo Padre l'espressione della sua ammirazione e del suo affetto, dimostrando così di quanta stima questo Pontefice sia circondato.

NUOVE REGOLE PER L'ELEZIONE DEL PONTEFICE: IL PAPA FIRMA LA "UNIVERSI DOMINICI GREGIS"

La Costituzione apostolica Universi dominici gregis (Dell'intero gregge del Signore) è il documento che contiene "sagge e appropriate regole" circa "la vacanza della Sede Apostolica e l'elezione del romano Pontefice". La versione aggiornata da Giovanni Paolo II è stata promulgata il 22 febbraio 1996.
La Universi dominici gregis stabilisce che alla morte del Papa tutti i capi dei dicasteri della Curia decadano dalle loro cariche, a eccezione del cardinale Camerlengo di Santa Romana Chiesa, del penitenziere maggiore e del vicario per la città di Roma. Restano in carica anche il sostituto della segreteria di Stato e il 'ministro degli Esteri'.
Il Camerlengo è colui che in qualche modo garantisce il periodo di 'Sede vacante'. Tutte le norme sulla 'Sede vacante', ossia per il periodo tra la morte di un Papa e l'elezione del successore, sono così stabilite per gli affari correnti e per lo svolgimento del Conclave, l'organismo che sceglierà il nuovo Papa.
La prescrizione del Codice di diritto canonico (n. 335), che durante la 'Sede vacante' "non si modifichi nulla del governo della Chiesa universale" e "si osservino invece le leggi speciali emanate per tali circostanze", comporta che coloro che siano rimasti in carica possano occuparsi solo di ordinaria amministrazione. Ciò deriva dal fatto che lo stesso Codice (n. 331), parlando del "romano Pontefice" afferma: "Il vescovo della Chiesa di Roma, in cui permane l'ufficio concesso dal Signore singolarmente a Pietro, primo degli Apostoli, e che deve essere trasmesso ai suoi successori, è capo del collegio dei vescovi, vicario di Cristo e Pastore qui in Terra della Chiesa universale; egli perciò, in forza del suo ufficio, ha potestà ordinaria suprema, piena, immediata e universale sulla Chiesa, potestà che può sempre esercitare liberamente". Dunque, un potere assoluto.

L'accertamento della morte

Secondo quanto prescritto, la morte del Papa viene accertata dal Camerlengo. Il Camerlengo porrà poi i sigilli allo studio e alla camera da letto del Papa e darà comunicazione del decesso al cardinale vicario di Roma, al quale ufficialmente spetterà "renderla nota al popolo". Terminata la ricognizione della salma, questa viene composta dai medici e rivestita dei paramenti pontifici: la mitria bianca sul capo, la "casula", cioè il mantello che si usa per le celebrazioni della messa, di colore rosso che è il colore di lutto dei papi, e il pallio, una striscia di lana bianca con croci nere, simbolo di dignità. Si dispone poi l'esposizione del corpo all'omaggio dei fedeli, che si protrae per tre giorni nella basilica di San Pietro. Sono i cardinali a celebrare le esequie in suffragio dell'anima del Pontefice defunto, che si protraggono per nove giorni. Poi, le esequie.

La rottura dell'anello

Sono i cardinali a celebrare i Novendiali, cioè le esequie in suffragio dell'anima del Pontefice defunto. E il collegio cardinalizio, cui compete il governo corrente della Chiesa nel periodo di interregno, decide il momento in cui spezzare l'anello del pescatore, così detto perché rappresenta l'apostolo Pietro, e il sigillo di piombo utilizzato per la spedizione delle lettere apostoliche.

I funerali e il testamento

I solenni funerali avvengono tre giorni dopo la morte, e i tecnici dell'istituto di medicina legale dell'università di Roma sono incaricati di verificare lo stato di conservazione del corpo. La missa poenitentialis, cioè il funerale, viene celebrata in San Pietro, presenti anche delegazioni di Stato di tutto il mondo. Le spoglie mortali del Papa vengono chiuse in una triplice cassa (una di cipresso, una di piombo e una di noce) e tumulate nelle grotte vaticane.
Questo è quanto previsto, ma per tutto ciò che riguarda il proprio corpo, dal modo al luogo della sepoltura, i Papi possono però disporre diversamente.
Dopo la sepoltura e durante l'elezione del nuovo Pontefice, non può essere abitato nessun ambiente del suo appartamento privato. Se il defunto ha fatto testamento e nominato un esecutore testamentario, questi dovrà eseguire il mandato e renderne conto al nuovo Papa.

I compiti del Camerlengo

Alla morte del Papa, è al Camerlengo che spetta curare, con il consenso dei cardinali, "tutto ciò che le circostanze consiglieranno per la difesa dei diritti della Sede Apostolica e per una retta amministrazione di questa". Lo farà con l'aiuto dei tre cardinali assistenti, estratti a sorte uno per ciascun ordine (vescovi, preti e diaconi), tra i cardinali elettori già venuti a Roma, previo "voto del collegio dei cardinali".

Il collegio cardinalizio

Prende le decisioni il collegio cardinalizio, riunito in due Congregazioni, una generale e l'altra particolare, per "gli affari ordinari o quelli indilazionabili", ma mai, comunque, su questioni spettanti al Papa. La Congregazione generale comprende l'intero collegio cardinalizio. Alle Congregazioni generali devono partecipare tutti i cardinali "non legittimamente impediti, non appena sono informati della vacanza della Sede Apostolica".
La Congregazione particolare è costituita dal Camerlengo e dai tre cardinali assistenti: il loro ufficio cessa al compiersi del terzo giorno, e al loro posto, per sorteggio, ne succedono altri con medesima scadenza.
Nelle Congregazioni particolari si trattano solo "le questioni di minore importanza".

Il Conclave

"Celebrate secondo i riti prescritti le esequie del defunto Pontefice, e preparato quanto è necessario per il regolare svolgimento dell'elezione, il giorno stabilito - quindi, il quindicesimo giorno dalla morte del Pontefice, o, secondo quanto previsto al n. 37 della Costituzione, non oltre il ventesimo - i cardinali elettori converranno nella basilica di San Pietro in Vaticano, o altrove secondo l'opportunità e le necessità del tempo e del luogo, per prender parte a una solenne celebrazione eucaristica con la messa votiva pro eligendo Papa".
"Ciò dovrà essere compiuto possibilmente in ora adatta del mattino, così che nel pomeriggio possa svolgersi quanto prescritto nella Costituzione. Dalla Cappella Paolina del Palazzo Apostolico, dove si saranno raccolti in ora conveniente del pomeriggio, i cardinali elettori in abito corale si recheranno in solenne processione, invocando col canto del Veni Creator l'assistenza dello Spirito Santo, alla Cappella Sistina del Palazzo Apostolico, luogo e sede dello svolgimento dell'elezione. Conservando gli elementi essenziali del Conclave, ma modificandone alcune modalità secondarie, che il mutamento delle circostanze ha reso irrilevanti allo scopo a cui precedentemente servivano, con la presente Costituzione stabilisco e dispongo che tutte le operazioni dell'elezione del sommo Pontefice, si svolgano esclusivamente nella Cappella detta Sistina del Palazzo Apostolico Vaticano, che resta quindi luogo assolutamente riservato fino all'avvenuta elezione, in modo tale che sia assicurata la totale segretezza di quanto ivi sarà fatto o detto di comunque attinente, direttamente o indirettamente, all'elezione del sommo Pontefice". "Sarà pertanto cura del collegio cardinalizio - prosegue la Costituzione apostolica -, operante sotto l'autorità e la responsabilità del Camerlengo coadiuvato dalla Congregazione particolare che, all'interno di detta Cappella e dei locali adiacenti, tutto sia previamente disposto, anche con l'aiuto dall'esterno del Sostituto della Segreteria di Stato, in maniera che la regolare elezione e la riservatezza di essa siano tutelate. In special modo si dovranno fare accurati e severi controlli, anche con l'ausilio di persone di sicura fede e provata capacità tecnica, perché in detti locali non siano subdolamente installati mezzi audiovisivi di riproduzione e trasmissione all'esterno. Giunti i cardinali elettori nella Cappella Sistina, ancora alla presenza di coloro che hanno fatto parte del solenne corteo, emetteranno il giuramento. Leggerà ad alta voce la formula il cardinale decano o il cardinale primo per ordine e anzianità; alla fine poi ciascuno dei cardinali elettori, toccando il Santo Vangelo, leggerà e pronuncerà la formula. Dopo che avrà prestato il giuramento l'ultimo dei cardinali elettori, sarà intimato dal Maestro delle Celebrazioni Liturgiche Pontificie l'extra omnes e gli estranei al Conclave dovranno lasciare la Cappella Sistina". "In essa resteranno soltanto il medesimo Maestro delle Celebrazioni Liturgiche Pontificie e l'ecclesiastico già scelto per tenere la seconda delle meditazioni ai cardinali elettori circa il gravissimo compito loro incombente e, quindi, sulla necessità di agire con retto intendimento per il bene della Chiesa universale, solum Deum prae oculis habentes. Secondo quanto disposto, il cardinale decano o il cardinale primo degli altri per ordine e anzianità, pronunzierà la seguente formula di giuramento: "Noi tutti e singoli cardinali elettori presenti in questa elezione del sommo Pontefice promettiamo, ci obblighiamo e giuriamo di osservare fedelmente e scrupolosamente tutte le prescrizioni contenute nella Costituzione apostolica del sommo Pontefice Giovanni Paolo II, Universi dominici gregis, emanata il 22 febbraio 1996. Parimenti, promettiamo, ci obblighiamo e giuriamo che chiunque di noi, per divina disposizione, sia eletto romano Pontefice, si impegnerà a svolgere fedelmente il munus Petrinum di Pastore della Chiesa universale e non mancherà di affermare e difendere strenuamente i diritti spirituali e temporali, nonché la libertà della Santa Sede. Soprattutto, promettiamo e giuriamo di osservare con la massima fedeltà e con tutti, sia chierici che laici, il segreto su tutto ciò che in qualsiasi modo riguarda l'elezione del romano Pontefice e su ciò che avviene nel luogo dell'elezione, concernente direttamente o indirettamente lo scrutinio; di non violare in alcun modo questo segreto sia durante sia dopo l'elezione del nuovo Pontefice, a meno che non ne sia stata concessa esplicita autorizzazione dallo stesso Pontefice; di non prestare mai appoggio o favore a qualsiasi interferenza, opposizione o altra qualsiasi forma di intervento con cui autorità secolari di qualunque ordine e grado, o qualunque gruppo di persone o singoli volessero ingerirsi nell'elezione del romano Pontefice".
La Costituzione apostolica voluta da Giovanni Paolo II così conclude: "Dettata la meditazione, l'ecclesiastico che l'ha tenuta esce dalla Cappella Sistina insieme con il Maestro delle Celebrazioni Liturgiche Pontificie. I cardinali elettori, recitate le preci secondo il relativo Ordo, ascoltano il cardinale decano (o chi ne fa le veci), il quale sottopone al collegio degli elettori innanzitutto la questione se si possa ormai procedere a iniziare le operazioni dell'elezione, o se occorra ancora chiarire dubbi circa le norme e le modalità stabilite in questa Costituzione, senza tuttavia che sia consentito, anche se vi fosse l'unanimità degli elettori, e ciò sotto pena di nullità della medesima deliberazione, che qualcuna di esse, attinente sostanzialmente agli atti dell'elezione stessa, possa essere modificata o sostituita. Se poi, a giudizio della maggioranza degli elettori, nulla impedisce che si proceda alle operazioni dell'elezione, si passerà immediatamente ad esse, secondo le modalità indicate in questa medesima Costituzione".

Il nuovo eletto

Chiuso il Conclave, il prescelto, immediatamente dopo l'accettazione, avrà già la pienezza di tutti i poteri del vescovo di Roma, che in quanto tale è il Papa.
Fino a quel momento, in Vaticano si farà solo ordinaria amministrazione, seguendo quanto stabilito sia dal Codex juris canonici che dalle norme speciali emanate in vista di tale momento.

"MAI PIÙ LA GUERRA", LA PREGHIERA DEL PONTEFICE PER I BALCANI

Tra il 17 e il 19 maggio 1996 Giovanni Paolo II si è recato in Slovenia, da dove ha espresso "fervidi voti per una pace giusta e duratura nel sud-est d'Europa, che permetta ad ogni popolo di vivere, libero e rispettato, nella sua Terra".
Proprio durante quella visita, in corrispondenza del suo 76° compleanno, il pensiero del Pontefice è andato a Sarajevo, la tormentata capitale in cui gli era stato impedito di andare due anni prima per la minaccia di attentati che avrebbero messo a repentaglio la vita dei fedeli, la "città martire del secolo", luogo simbolo delle divisioni dell'Europa dopo la caduta del comunismo.
"Mai più la guerra", dice Karol Wojtyla, "è un auspicio, ma anche una preghiera che consegno al cuore e alle intelligenze di tutti", una preghiera che come vedremo il Papa avrebbe potuto affermare molto presto nella città straziata.
In giugno un ulteriore viaggio pastorale porta il Santo Padre in Germania, il primo dopo la riunificazione del Paese; storico il discorso pronunciato dal Pontefice presso la Porta di Brandeburgo, simbolo di un'Europa del Muro che egli stesso ha contribuito a far cadere ("Di una porta hanno fatto un muro", aveva detto anni prima).

DAVANTI ALLA PORTA DI BRANDEBURGO IL PAPA LANCIA IL SUO MONITO CONTRO LA CULTURA DELL'ODIO

Il Papa aveva sognato e fermamente voluto che cadessero le barriere che dividono l'Europa, ed ecco che la porta che simboleggia la ferita di Yalta è aperta e spalancata. Sotto la celebre quadringa bronzea della Porta di Brandeburgo Karol Wojtyla fa i conti con il nazismo, che aveva invaso la sua patria, e con il comunismo che l'aveva dominata per quarant'anni. Due dittature, afferma, hanno occupato questo luogo.
Ma è specialmente sul comunismo che Giovanni Paolo II si prende la rivincita. "In questo luogo di divisione innaturale tra Est e Ovest - esclama - si è manifestato al mondo intero il volto spietato del comunismo, al quale risultano sospetti i desideri umani di libertà e di pace." Ora, commenta soddisfatto, il giogo è spezzato. Da Berlino Giovanni Paolo II lancia un appello perché tutti sappiano usare la libertà in modo non egoista e perché sia data libertà anche a quei popoli, "ai quali fino a oggi è stato negato il diritto all'autodeterminazione, ai non pochi popoli - di fatto sono molti - ai quali non sono garantite le libertà fondamentali della persona: la libertà di fede e di coscienza e la libertà politica".
La Cina è fra questi (il Papa non lo dice ma i suoi intimi in Vaticano lo sanno) e il cancelliere Kohl, presente, pensa alla stessa cosa. Ma prima di guardare al futuro, c'è ancora da digerire il passato. Giovanni Paolo II ha esortato i centomila fedeli, riuniti nello stadio olimpico, a combattere con eguale intensità contro la "cultura dell'odio e della morte" ovunque si manifesti. Nel suo discorso egli è entrato anche nei temi di politica interna, rivendicando i crocefissi nelle scuole e l'insegnamento religioso.

IL LEADER DELLA RIVOLUZIONE CUBANA IN VATICANO

Uno storico incontro, aperto e chiaro, quello avvenuto il 19 novembre 1996 in Vaticano tra Giovanni Paolo II e Fidel Castro. Un colloquio di 35 minuti che ha segnato una svolta profonda nei rapporti tra Santa Sede e L'Avana.
Si è parlato a quattr'occhi dei temi più importanti sul tappeto, come ha spiegato il portavoce vaticano Navarro-Valls: "La vita dei cattolici di Cuba, nonché l'attività dei vescovi e sacerdoti all'evoluzione della società cubana. Alcuni aspetti relativi alla riconciliazione nazionale e la posizione di Cuba nella comunità internazionale".
Insomma, il Papa ha chiesto a Fidel che a partire dalla piena libertà religiosa e dal rispetto dei diritti umani a Cuba, avvii la transizione graduale verso la libertà politica e la democrazia. Castro è sembrato accogliere favorevolmente la richiesta di dare pieno corso alla libertà di azione del cristianesimo nell'isola caraibica e da parte sua Giovanni Paolo II si è impegnato per la revoca dell'embargo Usa contro Cuba e per l'allentamento dell'isolamento internazionale di Castro.
Lasciando il Papa, Fidel ha invitato a Cuba per il 1997 Wojtyla, che ha accettato di buon grado.

DA SARAJEVO UN NUOVO GRIDO CONTRO LA GUERRA

Gli ultimi appuntamenti del 1996 di Papa Wojtyla e quelli dell'inizio 1997 sono segnati dalla sottoscrizione di dichiarazioni comuni con il Primate della comunità anglicana, l'arcivescovo di Canterbury George Leonard Carey (3-6 dicembre 1996), con il Catholicos supremo di tutti gli Armeni Karekin I (10-14 dicembre 1996) e con il Catholicos di Cilicia degli Armeni Aram I Keshishian (23-26 gennaio 1997).
Il diciannovesimo anno di pontificato di Giovanni Paolo II ha comunque il suo momento più alto nella visita tanto desiderata a Sarajevo (12-13 aprile ), occasione per sostenere l'impegno di pace e la ripresa della vita civile nella città emblema della guerra fratricida che ha contrapposto etnie e religioni nel cuore dell'Europa.
Parole vibranti sono state quelle pronunciate nella capitale bosniaca: il toccante monito del Pontefice "mai più la guerra" fa il giro del mondo, insinuandosi nella coscienza di tutti. Il Santo Padre ha esortato a costruire una pace vera, duratura e rispettosa della vita e della libertà umana; il pensiero di molti sarà allora andato all'8 settembre del 1994, quando Karol Wojtyla era sul punto di partire per la città allora stremata da quasi trenta mesi di assedio: il viaggio fu annullato all'ultimo momento per timore che la presenza del capo dei cattolici sfociasse in una radicalizzazione del conflitto.
Due giovani bosniaci accolgono il papa al suo arrivo all’aeroporto di Sarajevo


VERSO IL VENTENNALE DEL SUO PONTIFICATO

Anno decisamente positivo il 1997, che il 16 ottobre - nell'anniversario della sua elezione al soglio pontificio, avvenuta nel 1978 - ha visto Giovanni Paolo II, settantasettenne, entrare nel ventesimo anno di pontificato.
"Con lo sguardo rivolto a Maria", ha detto il Pontefice, "ringrazio oggi quanti mi hanno espresso le loro felicitazioni per il mio compleanno e hanno assicurato una speciale preghiera quale segno di affettuosa vicinanza. Domando alla Vergine di ottenere per me e per tutta la Chiesa il dono della fedeltà Totus tuus (Tutto tuo, è il motto che compare sullo stemma di Giovanni Paolo II), ripeto quest'oggi, confidando nell'incessante protezione della Madre di Dio, perché il messaggio della salvezza possa, grazie al contributo generoso di tutti, raggiungere gli estremi confini della Terra".
Il diciannovesimo anno di pontificato di Giovanni Paolo II è stato, secondo il direttore dell'"Osservatore romano", Mario Agnes, "travolgente, agli occhi umani inverosimile". Un anno che ha il suo momento più alto nella visita a Sarajevo.
È stato l'anno dell'esame di coscienza di cattolici e laici di fronte a Parigi, trasformata in una cattedrale della speranza per l'intera umanità. L'anno della sorpresa che ha colpito i vetero-illuministi nel dover prendere atto della forza disarmante che si sprigiona da quell'uomo vestito di bianco, perché Wojtyla ha una formidabile capacità di aggregazione.

UN PELLEGRINAGGIO SENZA FINE PER LE STRADE DEL MONDO

Dai suoi viaggi Giovanni Paolo II ha la conferma di essere ancora capace di mobilitare l'entusiasmo della gente, in particolare dei giovani: ci sono sicuramente più di un milione di persone a Cracovia, a giugno, un numero altrettanto elevato a Parigi, e a Rio de Janeiro.
Cifre più basse a Sarajevo e a Beirut, ma i sessantamila della capitale bosniaca e i cinquecentomila di quella libanese sono state le folle più grandi viste in quelle città dall'inizio dei conflitti che le hanno dilaniate per anni, distruggendo anche la voglia di essere una comunità.
La visita a Sarajevo è stata l'occasione per sostenere l'impegno di pace e la ripresa della vita civile nella città emblema della guerra fratricida che ha contrapposto etnie e religioni nel cuore dell'Europa.
L'idea di questo viaggio si perde indietro negli anni: l'8 settembre del , quando era sul punto di partire per la città, allora stremata da quasi trenta mesi di assedio, il viaggio fu annullato all'ultimo momento per timore che la presenza del leader dei cattolici anziché contribuire alla distensione sfociasse in una radicalizzazione del conflitto tra musulmani, cattolici e ortodossi. In quell'occasione la forza di pace Onu in Bosnia segnalò l'impossibilità di garantire l'incolumità del Papa, ma secondo le persone a lui più vicine non fu il timore per la propria vita quanto piuttosto quello di nuocere anziché aiutare la popolazione e la pace a indurlo a desistere.
Il 10 e 11 maggio 1997 il Santo Padre è volato in Libano: Giovanni Paolo II, invitato a chiudere idealmente i lavori del Sinodo dei vescovi libanesi, avrebbe dovuto recarsi in Libano nel maggio 1994, ma anche quel viaggio fu annullato per il concreto timore di attentati, dopo l'esplosione di una bomba in una chiesa cristiano-maronita alla periferia di Beirut; in un Angelus pronunciato poche settimane dopo il Papa dichiarò apertamente che gli era stato "impedito" di compiere la visita in Libano. Del resto, del vivo interesse che Giovanni Paolo II ha sempre nutrito per questa Terra martoriata sono testimonianza gli oltre settanta appelli per la pace espressi dal Pontefice da circa quindici anni. A Beirut, il Papa tende la mano all'Islam, rincuorando i cristiani presenti nel Paese (poco più di un milione di maroniti) e ufficializza le conclusioni del Sinodo libanese del 1995, chiedendo con forza il ripristino dell'integrità territoriale del Paese.
Le due visite pastorali all'Est, nella Repubblica Ceca (25-27 aprile) e in Polonia (31 maggio -10 giugno) si sono distinte per l'esortazione alla preghiera e alla coerenza della vita cristiana. In particolare i dieci giorni trascorsi nel Paese natio hanno visto una serie di momenti personali e privati, come la visita alla tomba dei genitori o la celebrazione dell'eucarestia nella cattedrale di Cracovia, dove cinquant'anni prima Wojtyla aveva celebrato la sua prima messa.
Ad agosto Parigi ha segnato l'incontro con l'Occidente economicamente avanzato, ma in crisi sul versante dei valori morali e religiosi. Il Papa ha lanciato dalla capitale francese, cuore di un'Europa attraversata da tensioni economiche e sentimenti xenofobi, un appello contro il razzismo, le ingiustizie sociali e ogni forma di intolleranza. E ha esortato anche a non accettare la miseria come una "fatalità", chiedendo all'economia di tener conto dei più deboli, dei disoccupati, degli emarginati. L'occasione è stata la Giornata mondiale per la gioventù, che ha fatto accorrere migliaia di giovani da tutti i continenti ad ascoltare la parola del Santo Padre.
Il 3 ottobre 1997 il Santo Padre è poi volato in Brasile, dove c'era ad attenderlo una folla oceanica. La famiglia è stata la chiave di tutti i discorsi tenuti a Rio de Janeiro: divorzio, aborto, unioni omosessuali, reciproche infedeltà sono tra i mali che minacciano oggi la stabilità del nucleo sociale e spirituale più importante per l'essere umano. La denuncia non poteva essere più aperta alle corruzioni morali che possono compromettere l'equilibrio di amore e virtù, cemento della famiglia.
Praga, 25 aprile 1997: il papa saluta la folla dalla sua “papa-mobile”


NELLA GRANDE MESSA L'ABBRACCIO DI BEIRUT

Il primo sbarco in Oriente si chiude con un trionfo. Wojtyla ha dato forza e coraggio cristiani alle terre su cui passarono Gesù e gli apostoli. Ha teso la mano all'Islam e al mondo arabo. Ha rivendicato sovranità e sicurezza per tutti gli Stati e il rispetto delle aspirazioni dei popoli (perifrasi vaticana per uno Stato palestinese).
Il Libano gli ha tributato ovazioni a cui non era abituato da tempo. Quasi mezzo milione di persone si sono accalcate sullo spiazzo in riva al mare, dove Giovanni Paolo II ha celebrato messa. C'erano cristiani e musulmani. La folla a una voce gridava "Viva il Papa" in italiano, arabo, inglese e francese. I libanesi hanno sentito la visita Papale come una spinta a risorgere. A fare le spese di questo primo viaggio di Papa Wojtyla nel Vicino Oriente è, politicamente, il governo israeliano.
Il Pontefice nella sua omelia ha dedicato un pensiero alle popolazioni residenti nella zona meridionale del Libano, sotto tiro da parte dell'esercito d'Israele. "Parlando di Tiro e Sidone - ha detto - non posso omettere di citare le grandi sofferenze delle loro popolazioni". Le due città ospitano anche i campi di profughi palestinesi. Non ci sarà, dopo Beirut, un viaggio a Gerusalemme.
Fino a quando non si profili "l'inizio di una soluzione, che oggi come oggi non si intravede". L'obiettivo finale di Papa Wojtyla resta il viaggio sulle orme di Abramo in un Medio Oriente pacificato.
Beirut, 11 maggio 1997: soldati libanesi fanno strada al papa attraverso la folla


DA PARIGI IL SANTO PADRE CHIEDE L'IMPEGNO DEI CRISTIANI PER LA DIFFUSIONE DEI VALORI DELLA FEDE

Alla vigilia del suo viaggio a Parigi a fine agosto 1997, il Papa ha lanciato un monito ai cattolici: i valori della Chiesa non possono essere accettati solo parzialmente, ma nella loro interezza. "La fede", ha detto Giovanni Paolo II, "è minacciata non solo da coloro che respingono il messaggio del Vangelo, ma soprattutto da quanti, accogliendo solo una parte della verità rivelata, rifiutano di condividere in modo pieno l'intero patrimonio della fede della Chiesa".
"Chi rifiuta il cristianesimo si rivela per quello che è; da lui non ci si aspetta nulla. Il cristiano invece è tenuto a testimoniare il Vangelo in piena coerenza, altrimenti la Chiesa viene compromessa dal di dentro". Con Parigi, il Papa ha scelto quest'anno come piazza per farsi ascoltare il cuore di quell'Europa che ha diffuso il cristianesimo nel mondo ma che ora, agli occhi della Chiesa cattolica, appare indifferente se non ostile al messaggio cristiano.
Come è ormai tradizione in ogni sua visita in Francia, Giovanni Paolo II ha trovato ad attenderlo anche le preoccupazioni di quel mondo laico che teme sovrapposizioni tra Stato e religione. Negli ultimi suoi viaggi, Giovanni Paolo II è stato molto attento a non urtare le sensibilità della società civile. Il suo ragionamento di oggi è rivolto piuttosto all'interno del mondo cristiano, al quale chiede un impegno esistenziale coerente con i valori della fede. La sfida rilanciata a Parigi consiste anche nella capacità dell'anziano Pontefice di far realmente comprendere alle giovani generazioni il suo messaggio non facile di morale, anche sessuale, cristiana.
Molti sono infatti coloro che si dicono cristiani ma poi di fatto accolgono del messaggio evangelico solo una parte: quella che per loro è la più gratificante e conveniente. La fede in Cristo, invece, richiede una conversione radicale e un'adesione totale e incondizionata anche ai quei precetti che comportano una rinuncia ai propri desideri immediati. Si tratta cioè di un problema di unità di vita, che comprende anche la morale sessuale, senza tuttavia esaurirsi in essa. Il cristiano deve promuovere non solo i diritti della persona, ma anche il bene comune: che altro non rappresenta se non valori evangelici.
Il presidente francese Chirac aiuta a sistemare la mantella sulle spalle del papa


L'AMATA ITALIA

Il 27 settembre 1997 è stata la volta di Bologna, unica visita in Italia dell'anno, che ha aggiunto un'altra "prima volta" alle tante di questo pontificato: per la prima volta un Papa ha assistito a un vero concerto rock. Il successo dell'iniziativa, tesa ad avvicinare la Chiesa al mondo giovanile anche attraverso il linguaggio universale della musica, ha avuto per protagonisti canori artisti come Gianni Morandi, Bob Dylan, Andrea Bocelli e tanti altri.
Oltre all'incontro del 4 luglio col presidente Prodi, avvenuto in "clima di cordialità" e nel quale è stata anche espressa fiducia nelle prospettive del Paese, sono da ricordare i numerosi interventi nei quali il Papa ha parlato di problemi italiani: dalla difficoltà per i giovani di trovare casa, agli appelli per i rapiti, alla richiesta di pari trattamento tra la scuola cattolica e quella pubblica.
Una nota curiosa: a gennaio gli abitanti di Roma sono stati allietati da un dono del Santo Padre che, contando sul vicariato, ha distribuito a ciascuna famiglia una copia del Vangelo di Marco. L'iniziativa, come si legge nella prefazione al volume, mira a stimolare la lettura e la meditazione di un testo così ricco di spunti e speranza per affrontare meglio le difficoltà di ogni giorno.
Bob Dylan si esibisce davanti al papa, durante il concerto del 27 settembre 1997 a Bologna


I VIAGGI NEL CUORE DEL PONTEFICE

Accanto ai viaggi di cui è costellato il 1997, ci sono altri "sogni" nella mente del Papa viaggiatore: la Cina, Mosca, Cuba. Quanto al progetto di visitare la comunità cattolica cubana, seppure in prospettiva, esso ha cessato di essere un miraggio ed è stata fissata la data per lo storico incontro con Fidel Castro, da tenersi nel gennaio 1998. L'invito di Fidel è venuto insieme all'impegno per la "normalizzazione delle condizioni di esistenza della Chiesa a Cuba" e all'appoggio vaticano per la "riconciliazione nazionale e internazionale" dell'isola.
Resta lontana Mosca, anche per il mancato incontro con il patriarca Alessio II, che avrebbe potuto dischiudere in tempi brevi le porte del Cremlino, vista l'apertura diplomatica di Eltsin ad accogliere il Santo Padre. Lontanissima la Cina. Eppure Giovanni Paolo II, oltre ad aver proclamato (2 giugno) il primo santo della Chiesa cinese, il missionario Jean-Gabriel Perboyre, ha lanciato una sorta di appello al governo cinese. Il 3 dicembre, in un messaggio, ha chiesto di non aver paura dei cattolici, di consentire loro di professare liberamente la fede e di poter dare il loro contributo alla crescita di un Paese che il mondo tanto ammira.
Giovanni Paolo II tra i fedeli sulla sua “papa-mobile”


ANCORA UN RICHIAMO CONTRO IL CAPITALISMO SELVAGGIO

Il principio della priorità del lavoro di fronte al capitale "contrasta le pretese del capitalismo" e afferma che nella libertà di scelta del proprio lavoro c'è il fondamento della dignità umana. Nel giorno dedicato a San Giuseppe lavoratore, Giovanni Paolo II ha così ribadito i principi della dottrina sociale della Chiesa, rivolgendosi ai circa ottomila partecipanti all'udienza generale, nell'aula Paolo VI in Vaticano.
Un San Giuseppe che il Papa ha trascorso a Roma, invece che con la tradizionale visita a una fabbrica, preparandosi per gli imminenti viaggi a Sarajevo e nella Repubblica Ceca.
Nel discorso dedicato al lavoro tenuto a marzo, il Pontefice ha sottolineato che proprio i principi della dottrina sociale "mentre ribadiscono la condanna per ogni forma di alienazione nell'attività umana, risultano particolarmente attuali di fronte al grave problema della disoccupazione, che oggi investe milioni di persone". "Essi rivelano nel diritto al lavoro", ha proseguito il Pontefice, "la moderna garanzia della dignità dell'uomo che, senza un lavoro degno, è privo delle condizioni sufficienti per lo sviluppo adeguato della sua dimensione personale e sociale. La disoccupazione crea in chi ne è vittima una grave situazione di emarginazione ed un penoso stato di umiliazione".
Alla libertà di scelta del proprio lavoro il Papa ha poi dedicato un particolare rilievo: "Il diritto al lavoro deve coniugarsi con quello alla libertà di scelta della propria attività". Queste prerogative, tuttavia, non vanno intese in senso individualistico, ma in riferimento alla vocazione al servizio e alla solidarietà. La libertà non si esercita moralmente senza considerare la relazione e la reciprocità con altre libertà.
Queste vanno intese non tanto come limite, ma come condizioni dello sviluppo della libertà individuale e per la crescita di tutta la società. La figura di San Giuseppe, ha concluso il Papa, "richiama l'urgente necessità di dare un'anima al mondo del lavoro" e "la sua testimonianza ricorda a quanti lavorano che solo accogliendo il primato di Dio e la luce che proviene dalla croce e dalla resurrezione di Cristo, potranno realizzare le condizioni di un lavoro degno dell'uomo".

IL "MEA CULPA" DEL PAPA TROVA ECHI IN TUTTA LA COMUNITÀ CATTOLICA

Il convegno sull'antigiudaismo che si è tenuto il 30 ottobre 1997 in Vaticano è stato l'occasione per la Chiesa cattolica di riflettere sul proprio operato passato, in uno spirito di rinnovato revisionismo storico che spinge ora a denunciare soprusi, colpe e responsabilità. Peccati di cattolici, mai "colpe della Chiesa", concetto teologicamente inaccettabile, in quanto la Chiesa, voluta da Gesù, per definizione, "non è lei peccatrice bensì coloro che ne fanno parte". Il nuovo "mea culpa" fa parte di quel processo di riflessione autocritica epocale che Giovanni Paolo II ha voluto avviare con il documento Tertio millennio adveniente, il documento del 1994 in preparazione al Giubileo del 2000.
Più volte il Papa vi ha fatto appello, in almeno un centinaio di occasioni e usando ripetutamente l'espressione "io chiedo perdono", ha parlato espressamente delle colpe dei cattolici. Primi destinatari di questa richiesta di perdono, che il Papa considera essenziale in quanto esame di coscienza della Chiesa prima della grande festa del Giubileo (anch'esso peraltro tempo di esame di coscienza), sono stati i cristiani di altre confessioni.
Ortodossi e protestanti in primo luogo, ma anche, e a più riprese, gli ebrei. E anche l'Inquisizione, la tratta dei negri e lo sterminio degli Indios.
"Si è chiesto molte volte perdono", ha osservato il Papa in un incontro con la stampa sull'aereo che lo portava a Rio de Janeiro." È interessante", ha aggiunto, "che è sempre il Papa e la Chiesa cattolica che chiedono perdono, gli altri tacciono. Forse è giusto così. La posizione della Chiesa sulla Shoa è una cosa chiara, ma ci sono anche altri problemi. Non si deve dimenticare che nel mondo ci sono stati altri olocausti". Papa Wojtyla, cresciuto nella Polonia occupata dai nazisti, ha condannato in maniera ferma l'antisemitismo. Significativi al riguardo due episodi: nel 1979 il Pontefice ha visitato il lager di Auschwitz e nel 1986 è stato il primo Papa a entrare in una sinagoga: entrando in quella di Roma definì gli ebrei "nostri fratelli maggiori". Ma non è stato solo il Santo Padre a chiedere ufficialmente perdono: alcuni episcopati l'hanno fatto a proposito di vicende particolari.
Così nell'aprile del 1996 la Conferenza episcopale argentina ha chiesto "perdono a Dio per i crimini commessi nel Paese durante la cosiddetta 'guerra sporca' degli anni Settanta, specialmente per quelli che hanno avuto come protagonisti figli della Chiesa, riconoscendo che in quel frangente l'azione dei vescovi non è stata sufficiente a impedire tanto orrore". A fine settembre, al Memorial di Drancy, un grande spiazzo alla periferia di Parigi, dove furono ammassati 64.000 ebrei, poi avviati al campo di sterminio di Auschwitz, i vescovi di Francia hanno implorato il perdono di Dio per il silenzio di fronte alle persecuzioni antisemite del regime di Vichy, chiedendo "al popolo ebraico di ascoltare questa parola di pentimento".

1978-1998: PAPA WOJTYLA FESTEGGIA IL VENTESIMO ANNIVERSARIO DI PONTIFICATO

Sebbene la salute del Papa non sia stata brillante durante tutto il 1998 (sono stati frequenti le indisposizioni e i raffreddamenti, mentre si è fatta più evidente la malattia nervosa che gli procura un tremito alla mano), il ventesimo anniversario di pontificato (e il quarantesimo di ordinazione episcopale) è per Giovanni Paolo II non meno laborioso dei precedenti, ma il Santo Padre non nasconde di sentirsi chiamato ad "accompagnare la Chiesa nel nuovo millennio" in un'ottica di speranza e di impegno, come già affermò nella sua prima enciclica.
Ai pellegrini raccolti in piazza San Pietro per festeggiare il ventennale della fumata bianca che lo elevò al soglio pontificio, il Papa chiede di pregare affinché egli possa compiere fino alla fine l'opera che Dio gli ha affidato; e a quest'opera il Pontefice lavora, come consueto, assiduamente, compiendo, tra l'altro, quattro viaggi internazionali e due nazionali, oltre a numerose visite pastorali e ufficiali; emanando l'enciclica Fides et ratio e la bolla di indizione del Giubileo Incarnationis mysterium, preparando e conducendo due Assemblee speciali per l'Asia e per l'Oceania del Sinodo dei vescovi.
Ha infine riunito il settimo concistoro del suo pontificato per eleggere 20 nuovi cardinali, che portano così a 165 il numero degli attuali membri del collegio cardinalizio.
Molti vaticanisti hanno valutato con particolare attenzione questo evento, dal momento che i nuovi cardinali saranno con buona probabilità elettori del successore di Giovanni Paolo II o Papabili essi stessi.

L'INFATICABILE CAMMINATORE SULLE STRADE DEL MONDO

Nonostante i problemi di salute il Pontefice ha compiuto numerosi e importanti viaggi in tutto il mondo e in Italia: benché spesso non siano mancate polemiche su alcune parole o gesti di Giovanni Paolo II, non è possibile sottacere il carisma che continua a emanare la figura del Papa, non meno ora che appare china e fisicamente sofferente di quando si stagliava netta e vigorosa.
Durante i vent'anni di pontificato Wojtyla ha compiuto 216 viaggi, di cui in Italia e 84 all'estero: ha visitato più di 100 nazioni e in molte di queste è stato più di una volta. Ha percorso quasi tutti i Paesi delle Americhe, gran parte dell'Africa nera e dell'Europa.
Tuttavia l'ambizioso desiderio di rispondere alla lettera al dettato evangelico "Predicate fino ai confini della Terra" si infrange in molte altre zone del globo.
Quasi tutti i Paesi islamici gli sono preclusi: ha potuto toccare il Marocco, la Tunisia e il Sudan, ma non, ad esempio, l'Algeria, la Libia o i Paesi del Corno d'Africa, per non parlare delle nazioni musulmane asiatiche o di Israele.
La chiusura più dolorosa è però anche quella più vicina, lungo tutto il versante dell'Oriente ortodosso: sono ancora sogni nel cassetto i viaggi pastorali in Grecia, Bulgaria, Romania, Bielorussia, Ucraina, Russia.
Caduta l'interdizione dei regimi comunisti, il Papa si trova ora la via chiusa proprio dalle chiese nazionali ortodosse: il dialogo si è gelato proprio per l'eccessivo attivismo cattolico seguito al crollo dell'ateismo di Stato. Il proselitismo dei missionari ha provocato un'aspra reazione specie dal patriarcato di Mosca, dove il patriarca Alessandro II si oppone con tutte le sue forze a una visita del Papa.

IL PAPA TRA LE POPOLAZIONI COLPITE DAL TERREMOTO

Il 3 gennaio 1998 il Pontefice compie una visita pastorale alle popolazioni terremotate di Umbria e Marche. È una visita breve ma molto intensa: da tre località-simbolo, Annifo, Cesi e Assisi, Giovanni Paolo II benedice e incoraggia tutta la gente umbro-marchigiana toccata dal sisma.
Il Pontefice si lascia circondare dalle popolazioni così duramente colpite e stringe mani, accarezza volti, ascolta e benedice. È un lungo abbraccio che segnerà tutta la giornata di Giovanni Paolo II tra i terremotati. Il Pontefice avrebbe voluto recarsi immediatamente nelle zone colpite dal sisma, l'ha trattenuto solo la preoccupazione di ostacolare le opere di soccorso. Le sue parole sono semplici come semplice è l'organizzazione della gente che lo accoglie.
Il Papa davanti alla nuova chiesa di Sant'Elena, il centro regalato dalla Caritas, ricorda il tesoro di valori cristiani e umani che da secoli tengono unite queste comunità: "Tra le rovine dei vostri paesi", dice tra l'altro, "state forse scrivendo una delle pagine più significative della vostra storia".
Commovente l'incontro con Maria e Celestino, due anziani coniugi di Cesi che hanno accolto il Papa con grande semplicità nel loro prefabbricato, tra i poveri mobili salvati dalla loro casa, intrattenendosi familiarmente a parlargli dei loro disagi, della casa perduta, dei loro "cinquant'anni di matrimonio, così belli, senza mai un'ombra, una parola...".
Dopo il ringraziamento a tutti i soccorritori e volontari, il Santo Padre ha salutato le popolazioni, auspicando una rapida rinascita: "Con gli auguri per il nuovo anno formulo voti perché al più presto si possa tornare alla vita consueta: le case, le chiese e gli edifici pubblici, ricostruiti con criteri antisismici, saranno il segno del ritorno alla normalità, e soprattutto di un'identità spirituale che permane e guarda verso il futuro".
La gente si stringe ancora a lui, prima che l'elicottero lo porti a pregare sulla tomba di san Francesco. Nella Terra di Francesco e Chiara, dalla loggetta del sacro convento devastato dal sisma, il Santo Padre parla a tutti i terremotati: "Sono venuto qui ad Assisi per pregare sulla tomba del Poverello. Da questo luogo sacro alla tradizione francescana e duramente lesionato dal sisma, da questa basilica a cui guardano con ammirazione uomini e donne del mondo intero, elevo al Signore una fervente preghiera per le vittime del terremoto, per i loro familiari e per quanti tuttora vivono in situazioni precarie. Il Signore conforti tutti e faccia sentire a ciascuno il suo sostegno".

IL PAPA A FIDEL: "CUBA SI APRA AL MONDO, IL MONDO SI APRA A CUBA"

"Il vento di oggi è molto significativo perché il vento simboleggia lo Spirito e lo Spirito soffia dove vuole e oggi soffia su Cuba".
Con questa improvvisazione al termine della messa celebrata a L'Avana nella Plaza de la Revolucion, davanti a un milione di persone, sotto lo sguardo di 3.000 giornalisti di tutto il mondo, Wojtyla chiude l'eccezionale esperienza vissuta a Cuba dal 21 al 26 gennaio 1998.
Il viaggio più coraggioso, più forte e più rischioso dai tempi della Polonia di Solidarnosc. Un viaggio che è entrato nella storia per l'incontro con il lìder maximo, per il grande rilievo internazionale e per gli effetti politici prodotti con gli incontri avuti dal Papa a Santa Clara (22 gennaio), a Santiago de Cuba (24 gennaio) e a L'Avana (25 gennaio).
È stato un viaggio che ha segnato una svolta nei rapporti dell'isola caraibica con la comunità internazionale, rilanciando, tra l'altro, le conseguenze dell'embargo al quale l'isola è sottoposta dal 1960 dagli Stati Uniti. Ma è stato anche un viaggio durante il quale il Pontefice ha detto tutto ciò che voleva dire su libertà fondamentali e diritti civili repressi dal regime.
È stato un viaggio che ha legittimato dopo 40 anni la testimonianza pubblica della fede cattolica in un Paese comunista. Accettare la speranza, insieme con la benedizione pontificia, è il sacrifico che il Papa ha chiesto ai Cubani. Non soltanto a quei 500.000 che, su 12 milioni di abitanti, ancora praticano la fede di Roma, ma a tutti.
Il confronto fra il Papa slavo venuto dall'Europa e il comandante della rivoluzione cubana è stato evidente fin dal primo giorno, il 21 gennaio, all'aeroporto. Con Wojtyla che auspica ''possa Cuba aprirsi con tutte le sue magnifiche possibilità al mondo e possa il mondo aprirsi a Cuba perché questo popolo possa guardare al futuro con speranza'', e Castro che presenta all'ospite ''un popolo con meno disuguaglianze, meno bambini senza scuola, meno malati senza ospedali'' rispetto ad altri Paesi dell'America Latina.
Della rivoluzione castrista il Papa ha riconosciuto le realizzazioni, ma tenendo ben distinti i due significati della rivoluzione di Cristo incentrata sull'amore mentre "l'altra di Castro e di Lenin è contrassegnata da odi, vendette, vittime".
Il Papa e il Presidente si sono incontrati faccia a faccia la sera del 22 gennaio, nel Palacio de la Revolucion, entrambi protagonisti a diverso titolo della storia del XX secolo.
E oltre a chiedere a Castro "la verità su Cuba", il Papa ha lanciato una sfida al regime: venga messa ora alla prova, ha detto in sostanza Giovanni Paolo II, "la collaborazione di tutti i Cubani di buona volontà", per dare a Cuba un futuro di sviluppo e il posto a cui aspira in seno alla comunità internazionale.
Il Papa ha rivolto a Castro tre richieste specifiche: innanzitutto "un gesto di clemenza" per i prigionieri politici, richiesta formulata proprio la sera dell'incontro al Palazzo dal segretario di Stato, cardinal Angelo Sodano, al numero due del regime, Carlos Lage.
Wojtyla ha chiesto poi riforme che "coniughino libertà e giustizia", evitando che "una di esse venga relegata a un livello inferiore".
Proprio durante la messa celebrata il 25 gennaio a L'Avana il Pontefice ha sottolineato che così come non può esistere uno Stato basato sulla religione, "uno Stato moderno non può fare dell'ateismo uno dei propri ordinamenti giuridici".
Ma Giovanni Paolo II ha chiesto soprattutto a Castro "più spazio e libertà per la Chiesa, perché svolga la sua attività, che è certamente di carattere religioso, ma giovevole per l'intera nazione".
Il Pontefice ha incontrato l'episcopato, il clero e i laici impegnati, ha eretto una nuova diocesi a Guantanamo, ha nominato il primo vescovo, e soprattutto ha incoraggiato la Chiesa a rivendicare uno spazio adeguato nella vita pubblica e l'ha sollecitata a educare i giovani a non cedere alla tentazione di emigrare, partecipando piuttosto alla vita politica per un cambiamento "graduale e pacifico".
Le folle Papali sono state ogni giorno più numerose e più sciolte, fino al milione di presenze dell'ultima giornata, per le quattro celebrazioni seguite in diretta radio e tv dalla rete nazionale. Il governo cubano da parte sua ha agevolato l'affluenza alle messe dichiarando semifestive le giornate in ogni singola provincia toccata dalla visita, si è dimostrato accondiscendente nei confronti della Chiesa locale e ha concesso la grazia richiesta dal Vaticano per 300 prigionieri politici.
L’Avana, 25 gennaio 1998: il leader cubano Fidel Castro saluta papa Giovanni Paolo II


LA MISSIONE EVANGELIZZATRICE DELLA CHIESA AFRICANA

Nel marzo del 1998 Papa Wojtyla torna nel tanto amato continente africano, dove il Cattolicesimo è in continua espansione e dove abita il futuro della Chiesa, visto che l'Europa pare subire un processo di laicizzazione tale da invocare un impegno missionario di "rievangelizzazione".
Il Pontefice ha sempre seguito con cura la crescita delle Chiese africane, non solo attraverso i numerosi viaggi, ma anche con l'indizione nel 1994 dell'Assemblea speciale per l'Africa del Sinodo dei vescovi, col significativo tema La Chiesa in Africa e la sua missione evangelizzatrice verso l'anno 2000.
Anche la visita in Nigeria (21-23 marzo 1998) ha visto momenti strettamente pastorali ed ecclesiali e rivendicazioni attinenti al campo dei diritti umani e politici. Giovanni Paolo II è accolto dal presidente Sani Abacha (sinistramente noto come il "Pinochet d'Africa"), al potere dal 1993 dopo un colpo di Stato con il quale annullò le elezioni di quell'anno.
Il presidente legittimamente eletto, Moshood Aiola, è da allora in prigione e figura nella lista di 60 nomi per i quali il Pontefice ha presentato, nel suo primo colloquio con Abacha, domanda di grazia.
Il tema dei diritti umani è infatti centrale nei discorsi Papali, in questa Terra gravata dalla dittatura, dalla devastazione ambientale (il governo lascia infatti mano libera allo sfruttamento dei giacimenti petroliferi da parte delle multinazionali), dalla deportazione e dal massacro di etnie come quella degli Ogoni: "Non può esserci spazio per l'intimidazione e per l'oppressione dei poveri, per l'esclusione arbitraria di individui e gruppi dalla vita politica, per l'uso errato dell'autorità e per l'abuso del potere"; il Papa eleva il suo richiamo per operare contro ciò che "offende la dignità della persona umana o che ne viola i diritti". Ciò significa riconciliare le diversità, superare le rivalità etniche e infondere onestà, efficienza e competenza nell'arte di governare": queste sono state le parole coraggiose pronunciate di fronte a due milioni di persone, a Onitsha nel sud-est del Paese, convenute per la cerimonia di beatificazione di un sacerdote e monaco trappista, il nigeriano Cyprian Michael Iwene Tansi (1903-1964), il primo beato africano che deve l'elevazione agli altari alla perseveranza "eroica nelle virtù cristiane" durante tutta la vita, in Africa prima e in Inghilterra poi.
Il momento conclusivo della visita Papale è stata la messa celebrata alla periferia della capitale, sulla spianata di Kubwa, seguita a un incontro con l'episcopato, cui il Pontefice ha raccomandato di vigilare sulla gioventù, combattendo "analfabetismo, disoccupazione, indolenza e droga" e di custodire la ricchezza delle vocazioni, straordinariamente alte in Nigeria. Durante l'Eucarestia, cui hanno partecipato decine di migliaia di persone, il Pontefice ha voluto ritornare sul tema dei diritti civili e della democrazia - ma non ha dimenticato di esprimere la consueta condanna dell'aborto, concludendo la celebrazione con la recita corale di una Preghiera per la Nigeria.
Papa Giovanni Paolo II saluta la folla all’arrivo all’aeroporto di Abuja


NEL CUORE DELLA CATTOLICITÀ IN CRISI IL PAPA PROCLAMA LA FEDELTÀ AL MESSAGGIO EVANGELICO

Nel giugno 1998, ai due viaggi intercontinentali segue quello internazionale in Austria, che si rivela una meta difficile per il Pontefice.
La comunità ecclesiale austriaca, infatti, negli ultimi anni ha subito una crisi profonda che ha generato anche una larga disaffezione dei fedeli. Essa è dovuta in parte alla vicenda del vescovo Hans Hermann Groer accusato di pedofilia; a questo proposito il Vaticano ha diplomaticamente mantenuto una presunzione di innocenza d'ufficio, ma l'"esilio" dell'alto prelato in un convento di Dresda è il segnale dei forti dubbi che agitano Roma.
Il centro del malessere della Chiesa austriaca, tuttavia, sta nel difficile rapporto e nella mancanza di sintonia della Santa Sede con le comunità locali, che si è espressa palesemente nella nomina di alcuni vescovi (tra cui lo stesso Groer) invisi alla base ecclesiale. Segno visibile dei difficili rapporti tra il laicato, sostenuto da una parte del clero minore, e Roma è stata negli anni scorsi la nascita, in Austria, del movimento dissidente "Noi chiesa", che peraltro ha trovato larghe adesioni anche in altri Paesi d'Europa, compresa l'Italia: questo movimento rivendica la necessità di una maggiore democrazia interna alla Chiesa e di una maggiore partecipazione dei laici alle funzioni e alle scelte pastorali.
La concretezza dei problemi si è rivelata anche nella poco vistosa affluenza di fedeli alla messa nel Duomo di Salisburgo, assai più contenuta rispetto ai numeri cui è abituato il Papa.
Tutto ciò era certo ben presente al Pontefice durante la sua visita, al punto da determinare una inusitata corda emotiva nel tono delle sue parole ed esortazioni: "Il cuore del vescovo di Roma batte per tutti voi! Non abbandonate il gregge di Cristo, buon pastore! Non uscite dalla Chiesa di Roma!".
Ciò non di meno Giovanni Paolo II non lascia spazio ad ambiguità sulle rivendicazioni che provengono dal laicato: "La diversità dei ruoli rende qualche volta difficile trovare la strada giusta per il dialogo e la cooperazione", ma - aggiunge il Pontefice - "l'eguaglianza in dignità non significa eguaglianza di ufficio e di attività. I compiti particolari del ministero episcopale e sacerdotale non possono semplicemente passare ai laici".
La visita a Sankt Poelten, a 70 km da Vienna e sede del contestato vescovo Kurt Krenn, non è stata priva di momenti di sotterranea tensione: il Papa che giungeva in macchina accompagnato dal vescovo è stato accolto da una nuvola scura, formata da migliaia di palloncini neri, e da striscioni che invocavano "Fratello Papa, liberaci dal vescovo Krenn". Interprete dei settori più conservatori della Chiesa austriaca, Krenn non ha saputo costruire un buon rapporto con la sua comunità, in cui sono state raccolte ben 54.000 firme da presentare al Papa per chiedere un suo trasferimento (il permesso di presentare la petizione è stato negato e così i fedeli sono ricorsi ai palloncini perché almeno il Papa "veda la nube della nostra tristezza").
Ma al di là delle drammatiche difficoltà della Chiesa locale, il Papa - che durante il suo viaggio ha anche proclamato tre nuovi beati austriaci - dedica parte delle sue parole a temi più vasti, come quello dell'Europa, in ciò richiamato dalla presenza di migliaia di immigrati polacchi, ungheresi e cechi.
Il Pontefice indica come obiettivo quello di "creare uno spazio globale di libertà, di giustizia, di pace al posto della piccola isola di benessere occidentale del continente", cioè un'Europa del lavoro, che non pensi solo al profitto ma a una vita più giusta per tutti, perché "soggetto del lavoro è l'uomo come persona. Nell'epoca della tecnica non bisogna mai dimenticare l'uomo".
Papa Wojtyla con il presidente austriaco Thomas Klestil


Giovanni Paolo II durante la sua visita in Austria nel 1998


IL PAPA IN CROAZIA: "CANCELLATE OGNI RANCORE"

L'ultimo viaggio del 1998 porta il Papa in Croazia, per la seconda volta dopo il settembre 1994.
Una visita pastorale diplomaticamente difficile e passibile di interpretazioni sbagliate sia da parte croata sia da parte serba: il premier croato Franjo Tudjman tentava difatti di sottolineare in senso nazionalista le due visite Papali e di appropriarsi della beatificazione del vescovo croato anticomunista Alojzije Stepinac, che Giovanni Paolo II ha celebrato a Zagabria, esaltandolo come patriota e fautore del nazionalismo croato.
Il Santo Padre ha dovuto dunque ridurre la possibilità di offrire la propria esposizione a strumentalizzazioni di parte. Mentre il presidente Tudjman lo accoglieva lamentando l'ingiustizia delle richieste internazionali alla Croazia in merito a garanzie democratiche e di rispetto delle minoranze etniche, il Papa lo rintuzzava dedicando le sue prime parole a perorare la riconciliazione e la democrazia: "Tutte le energie devono essere indirizzate a un'autentica riconciliazione fra tutte le componenti etniche, religiose e politiche della popolazione, verso una sempre maggiore democratizzazione della società".
Momento centrale della visita è stata la messa di beatificazione di monsignor Stepinac, una vera e propria bandiera per i nazionalisti croati, che il Papa - ma a quanto pare senza essere compreso - vorrebbe mostrare quale esempio di riconciliazione. L'ultimo discorso di Giovanni Paolo II si è svolto a Spalato, davanti a 300.000 persone (molte venute dalla Bosnia- Erzegovina) ed è stato parzialmente rivolto alla tragedia del Kosovo, geograficamente tanto vicino: "Possano la comprensione, il reciproco rispetto, il perdono e la riconciliazione prendere il posto della violenza e delle devastazioni", invocando a tal fine anche l'aiuto internazionale. Infine il Papa ha pregato per la pace di tutto il sud-est d'Europa e per tutti i profughi che ancora non hanno potuto tornare alle loro case.
Zagabria, 3 ottobre 1998: il papa riceve lLa statua del cardinale Stepinac, sotto gli occhi del presidente croato Tudjman


A TORINO DI FRONTE AL MISTERO DELLA SACRA SINDONE

Il 18 aprile 1998 nel Duomo di Torino è cominciata l'ostensione della Sacra Sindone; l'ultima ostensione pubblica era avvenuta nel 1978, prima che l'allora vescovo della città Ballestrero permettesse esami di laboratorio per datare questo misterioso lino.
Anche il Papa si reca a contemplare il sacro lino "icona toccante della passione di Cristo", come l'ha definita lo stesso Pontefice, durante la sua visita in Piemonte nelle città di Vercelli e Torino, il 23 e il maggio.
È la settima volta che Giovanni Paolo II visita questa regione e la terza che si reca nel suo capoluogo. Fermandosi dapprima a Vercelli, il Pontefice beatifica don Secondo Pollo (1908-41), morto in Montenegro sotto il fuoco delle mitragliatrici mentre cercava di soccorrere un soldato ferito. Il Papa si rivolge ai fedeli concittadini del neo beato - riuniti nella piazza del Duomo - e in particolare ai giovani "che hanno diritto di vivere in una città che renda tangibile il senso della concordia, della solidarietà e dell'accoglienza".
Richiamando a tutti i fedeli, ma segnatamente agli amministratori, la necessità di superare localismi e particolarismi, il Papa invita poi i cattolici, sull'esempio del nuovo beato, a "combattere il vento freddo dell'indifferenza e dell'egoismo [...]. È a partire dagli altri", aggiunge, "che potete ritrovare voi stessi".
A Torino poi il Papa celebra una messa di beatificazione di tre torinesi (Teresa Bracco, Teresa Grillo Michel, Giovanni Maria Boccardo), cui partecipa una folla di più di 500.000 persone; poi il Pontefice si è unito, "pellegrino tra i pellegrini", alla folla che sfila ininterrottamente davanti alla teca dove è esposta la Sindone, come già aveva fatto nel 1978, ancora cardinale alla vigilia della sua elezione, e poi nel 1980.
Dopo un intenso momento di raccoglimento Papa Wojtyla ha parlato a lungo del santo telo che, secondo la tradizione cristiana, avrebbe avvolto il corpo di Gesù defunto e ha rivendicato il rispetto per la Sindone e per la sensibilità dei credenti che vi scorgono "una testimonianza straordinaria delle sofferenze di Cristo".
Per il Papa la Sindone "che tutti vedono ma che nessuno sa spiegare" costituisce una "provocazione all'intelligenza". Non trattandosi di materia di fede, la Chiesa affida "agli scienziati il compito di continuare a indagare per giungere a trovare risposte adeguate agli interrogativi". Pur dimostrando la sua sincera emozione e venerazione per la Sindone, il Papa non ha pronunciato la definizione attesa ma troppo impegnativa e definitiva di "reliquia", mentre il dibattito e la ricerca sulla sua autenticità restano ancora aperti a tutti gli esiti. L'immagine che vi si scorge, ha però concluso il Pontefice, "ha un rapporto così profondo con il racconto dei Vangeli, che ogni credente si sente toccato e commosso nel contemplarla".

NELLA TERRA DI PAPA MONTINI NEL CENTENARIO DELLA NASCITA

Il secondo viaggio pastorale italiano del Papa ha toccato, tra il 18 e il settembre 1998, Chiavari e Brescia, meta quest'ultima decisa nell'ambito delle celebrazioni montiniane, per il centenario della nascita del bresciano Papa Montini, che Giovanni Paolo II chiamò nella sua prima enciclica, "padre e maestro".
Si tratta della seconda visita alla città lombarda, dopo quella del 1982; in questa occasione, però, il Pontefice ha voluto anche celebrare la beatificazione del bresciano Giuseppe Tovini, morto nel 1897, lo stesso anno in cui nacque Paolo VI.
Tovini, che univa "la fede ardente ad una prodigiosa capacità di azione" è molto amato in Terra bresciana, dove ha lasciato una fitta rete di istituzioni da lui fondate, che vanno dalle banche ai giornali, alle fondazioni filantropiche. Padre di dieci figli, Tovini è forse la figura di beato più moderna e pubblica che la Chiesa propone a modello di fede e di vita per il laicato.
Alla cerimonia hanno partecipato più di 40.000 persone, riunite nello stadio Rigamonti ad ascoltare le parole del Pontefice che, ispirandosi alla vita di Tovini - padre di famiglia e fondatore, tra l'altro, di scuole private -, ha parlato di tutela della morale familiare cattolica e di parità scolastica.
La famiglia, secondo il Pontefice, è oggi soggetta "a spinte eversive che ne minano i fondamenti [e] la Chiesa sente il dovere di richiamare i capisaldi dell'etica matrimoniale e familiare". "Alle famiglie", ha aggiunto infine il Papa, "venga riconosciuta concretamente, anche con opportuni sostegni, la possibilità di scegliere l'indirizzo educativo e il tipo di scuola che meglio aiutino la crescita dei propri figli".

IL SANTO PADRE VISITA LE PARROCCHIE ROMANE

Per quanto riguarda infine la pastorale diocesana, Giovanni Paolo II non dimentica di essere anzitutto il vescovo di Roma: si è recato in dieci parrocchie della città, non trascurando le periferie più problematiche, come la Magliana o Tor Vergata, visitando anche le abitazioni di famiglie di parrocchiani.
Gli incontri con le autorità italiane - in gennaio una visita ufficiale in Campidoglio al sindaco Rutelli e il 20 ottobre 1998 una al presidente della Repubblica Scalfaro al Quirinale - hanno evidenziato la dissonanza del Pontefice con lo Stato italiano in merito ad alcune questioni, per così dire "storiche": la legge 194 sull'aborto, di cui il Papa ha chiesto la revisione, e la necessità di una legge sulla parità scolastica.

IL DIBATTITO SUL PRIMATO UNIVERSALE DEL VESCOVO DI ROMA

L'impegno ecumenico del Papa e della Chiesa ha tratto nuovo slancio dal percorso di preparazione per l'Anno Santo, un tema che è stato al centro delle valutazioni e dei bilanci stilati in occasione del ventennale del pontificato di Papa Wojtyla.
Molti gli elogi e poche le critiche per un obiettivo che, peraltro, lo stesso Pontefice aveva posto al centro del proprio magistero già vent'anni fa.
Tuttavia, gli innegabili passi avanti compiuti appaiono ridimensionati, specialmente nel secondo decennio di pontificato. Paradossalmente uno dei maggiori ostacoli al dialogo ecumenico risiede proprio nell'attivismo Papale: la natura del primato cattolico risulta ingombrante per l'ecumenismo nonostante il sincero desiderio che muove il Pontefice. Non mancano altre difficoltà strettamente dottrinali (il tema della giustificazione per la sola fede che separa dalle Chiese luterane e protestanti; la riconciliazione con gli uniati, i cristiani d'Oriente che si sono riuniti alla Chiesa di Roma ma vengono per questo considerati dei rinnegati dagli ortodossi, ecc.), ma la divergenza principale resta comunque l'affermazione di un primato universale del vescovo di Roma.
La sconfessione del primato petrino è infatti una posizione che accomuna tra loro Chiese che, su molte altre questioni, sono invece assai distanti (quelle protestanti e ortodosse, per esempio). Se la comunità anglicana, assai vicina in molti punti dottrinali alla sensibilità cattolica, era disposta a riconoscere una sorta di primato d'onore al Pontefice romano, l'attività da pastore "universale" di Giovanni Paolo II - che si esprime con modalità palese negli incessanti viaggi - ha invece dimostrato che il Pontefice non intende rinunciare a un'autorità effettiva e non onorifica. Del resto, la politica vaticana in materia di nomine episcopali e cardinalizie ha evidenziato, da parte del Papa, l'autonomia di scelta nelle investiture dalle indicazioni delle Conferenze episcopali e delle Chiese locali.
Non sono state rare le nomine che hanno apertamente disatteso o comunque ignorato le indicazioni della base ecclesiale circa la persona del vescovo.
Con tale politica la Santa Sede non solo ha rifiutato di circoscrivere la propria autorità sia dottrinale sia disciplinare, ma ha anche voluto affermare la preminenza del ruolo universale del vescovo di Roma rispetto a quello delle Chiese locali che con quella cattedra sono in comunione.
Il centralismo della Santa Sede nella conduzione della Chiesa romana - variamente giudicato sia dall'interno sia dall'esterno del Cattolicesimo - ha comunque contribuito a scoraggiare il progresso sostanziale nel dibattito interecclesiale intorno ai principali problemi dell'ecumenismo, non meno di quanto abbia fatto un'altra intensa attività Papale, quella rivolta alle beatificazioni, che anche quest'anno ha registrato un ingente numero di beati, non tutti immuni, tra l'altro, da polemiche.
La proposizione di figure di santi al culto dei fedeli - di cui la beatificazione è il momento iniziale, concluso dalla canonizzazione - è infatti propria del Cattolicesimo e delle Chiese orientali, ma è una pratica completamente rigettata dalle Chiese riformate e solo in minima parte condivisa da quella anglicana.
In vista del Giubileo, tuttavia, Giovanni Paolo vuole imprimere un nuovo impulso al movimento ecumenico, improntando la sua azione al significato profondo dell'evento (che è quello del perdono), attraverso il riconoscimento dei torti in cui è incorsa la Chiesa nella sua vicenda storica. Il 1998, in particolare, si è caratterizzato per un importante passo avanti nei rapporti con le Chiese protestanti.

"FIDES ET RATIO": LA 13ª ENCICLICA DI GIOVANNI PAOLO II

Significativamente presentata il 15 ottobre 1998, alla vigilia del ventennale di pontificato, Fides et ratio è la tredicesima enciclica di Giovanni Paolo II. La stesura vera e propria del testo (165 pagine) sarebbe stata compiuta tra il 1997 e il 1998, ma la sua maturazione è stata assai più lunga - forse dodici anni, come rivela il cardinale Ratzinger - progredendo attraverso le discussioni con teologi e filosofi vicini al Pontefice: ciò perché il problema della ricerca della verità è centrale nella vita di Papa Wojtyla.
"La fede e la ragione sono come due ali con le quali lo spirito umano s'innalza verso la contemplazione della verità": sono le parole iniziali del documento Papale, con il quale il Pontefice invita il pensiero moderno a riallacciare il legame tra la ragione e la fede, riparando una scissione considerata inevitabile dall'Illuminismo in poi. "Soprattutto ai nostri giorni la ricerca della verità ultima appare spesso offuscata": il Pontefice intende invece chiamare la ragione dell'uomo a fissare obiettivi impegnativi e ambiziosi.
L'enciclica mira a confutare la moderna tendenza del cosiddetto pensiero debole, per il quale la ragione sarebbe per sua natura inadeguata a "conoscere il vero e a ricercare l'assoluto".
Ma ugualmente condannabile, per Karol Wojtyla, è l'opzione fideista, che "non riconosce l'importanza della conoscenza razionale e del discorso filosofico per l'intelligenza della fede, anzi per la stessa possibilità di credere in Dio". Fine ultimo della ricerca filosofica è infatti la ricerca di Dio, ma ciò non impedisce una reale autonomia della ragione dalla fede, anzi, sostiene il Pontefice "il pensiero filosofico spesso è l'unico terreno di intesa e di dialogo con chi non condivide la nostra fede".
Il Papa non vuole confondere la religione con la filosofia, ma rifiuta l'assunto di una loro intrinseca incomunicabilità: egli invita i filosofi a riflettere sui problemi che la religione pone.
Secondo l'enciclica esiste la "possibilità di conoscere la verità ultima in modo universalmente valido": se l'enciclica Veritatis splendor (1993) esplicitava i fondamenti della fede, Fides et ratio vuole invece difendere i fondamenti e la possibilità della conoscenza. Anche per questo, il Papa indica come errati alcuni percorsi del pensiero moderno: eclettismo, scientismo, storicismo, pragmatismo, nichilismo, marxismo, relativismo, tutte vie che riducono e mortificano le possibilità di conoscenza dell'uomo. Da qui l'invito del Papa per teologi e filosofi a tornare a un pensiero forte, in grado cioè di dialogare intorno a oggetti ambiziosi, di "recuperare le dimensioni di autentica saggezza e di verità anche metafisica [...] la verità sull'essere".
Dal tardo Medioevo in poi, la "legittima distinzione tra fede e ragione" si è mutata in "nefasta separazione" per oggetto, metodo e scopo. Il rapporto tra fede e ragione è invece riproposto da Giovanni Paolo II come centrale nella nostra epoca, che si caratterizza per la sua sfiducia nella ragione. Invece di cercare la "verità ultima (cioè Dio) ci si accontenta di verità parziali e provvisorie": ma un tale impoverimento della ragione ha indebolito anche la fede che "ha sottolineato il sentimento e l'esperienza correndo il rischio di non essere più considerata speranza universale". Ma la sensazione - soprattutto dei giovani - di essere privi di punti di riferimento comporta che "una delle maggiori minacce, in questa fine di secolo, sia la tentazione della disperazione".
Da questo punto parte l'appello del Papa - in primo luogo ai vescovi e ai sacerdoti e poi a tutti i fedeli - di "studiare", per sapersi confrontare con tutte le forme del pensiero contemporaneo: la Chiesa deve infatti sapere indicare ciò che di esso è incompatibile con la fede, ma deve anche saper accoglierne la ricchezza.
Per la prima volta in un'enciclica sono esaltate non solo la grande filosofia classica e medioevale, ma anche il pensiero ebraico, le filosofie orientali, nonché le tradizioni orali dell'Africa nera. Questa è dunque la sfida che il Papa polacco lancia al principio del terzo millennio, quella di lasciare spazio alla fede in quanto si lascia spazio alla ragione: "saper compiere il passaggio, tanto necessario quanto urgente, dal fenomeno (cioè da ciò che appare) al fondamento: non è possibile fermarsi alla sola esperienza". La posta in gioco è assai alta: "Verità e libertà o si coniugano insieme o insieme miseramente periscono".
L'enciclica ha ricevuto un'accoglienza generalmente positiva - sorprendendo molti per questa condanna del pensiero debole - ma non sono mancate, com'è naturale, le critiche. Da parte protestante - per bocca del pastore battista Domenico Tomassetto - si respinge nettamente la riduzione alla dimensione fideista del "biblicismo", cioè dell'assunzione della Bibbia, in quanto Parola di Dio, come esclusiva autorità in materia di fede (definita appunto "pericoloso ripiegamento nel fideismo"). Dal fronte degli intellettuali laici - molti dei quali hanno apprezzato lo sforzo speculativo del Papa nei confronti di una disciplina, la filosofia, oggi in crisi - vengono però le critiche più aspre. Si nega, infatti, che esista quello spazio della ragione, per così dire, "neutro", comune a credenti e non credenti e contenente in nuce la Verità di cui, però, solo i primi sviluppano e conseguono la conoscenza. In pratica, come ha affermato il professor Carlo Augusto Viano, il Papa dice: "ciò che tu non credente sai, o credi di sapere, è comunque insufficiente; se tu andassi sufficientemente avanti troveresti la Verità".

LA CHIESA SI PENTE PER I DELITTI COMMESSI DAI TRIBUNALI DELLA SANTA INQUISIZIONE

Il 1° novembre 1998, in conclusione del simposio sulla "leggenda nera" dell'Inquisizione, Giovanni Paolo II è tornato a chiedere un atto di pentimento da parte della Chiesa per la quiescenza manifestata, specie in alcuni secoli, a metodi di intolleranza e persino di violenza al servizio alla verità. Un riferimento ai tribunali della Santa Inquisizione e una promessa implicita di mea culpa a fronte degli errori e degli orrori di quei tribunali ecclesiastici.
Ma su questo tema spinoso, ha avvertito il Papa, è necessario essere cauti, giacché il magistero non può compiere la richiesta di perdono "senza prima essersi esattamente informato circa la situazione di quel tempo, ma neppure può appoggiarsi su immagini del passato veicolate dalla pubblica opinione e spesso sovraccariche di una emotività passionale".
C'è dunque bisogno che gli storici ristabiliscano la verità dei fatti prima che il magistero possa esprimere un giudizio oggettivamente fondato. Ma soprattutto, ha osservato il Papa, la Chiesa non può essere lasciata sola a fare mea culpa per le colpe del passato.
Anche il mondo politico e le società, e in particolare quelle coinvolte, alimentate dall'odio e da ferite antiche "si lascino guidare dallo spirito del perdono e di riconciliazione testimoniata dalla Chiesa".

I TESTIMONI DELLA FEDE

Per quanto riguarda i processi di beatificazione e canonizzazione, Giovanni Paolo II ha letteralmente surclassato i suoi predecessori.
Durante il 1998 il Papa ha operato numerose beatificazioni: tre beati sono stati proclamati il 6 marzo; dodici l'11 maggio, tre il 24 maggio, durante la visita a Torino, tre il 20 di giugno durante la visita in Austria, un altro durante la visita a Brescia del 2 settembre e infine altri quattro il ottobre. Accanto ad essi, due figure di nuovi beati meritano un'attenzione particolare.

Edith Stein: l'ebrea convertita vittima dell'Olocausto

Al termine di una procedura di beatificazione che era cominciata nel 1962, l'11 ottobre del 1998 il Papa ha canonizzato, con il titolo di martire, Edith Stein, ebrea polacca di lingua tedesca, monaca carmelitana con il nome di Teresa Benedetta della Croce.
Dopo Maximillian Kolbe, sacerdote polacco canonizzato anch'egli come martire nel 1982, è il secondo santo dei lager nazisti. Da Auschwitz alla gloria della Chiesa cattolica: è il lungo cammino nella santità cristiana compiuto da Edith Stein, la prima ebrea ad ascendere agli onori degli altari dal tempo degli apostoli di Cristo. Un cammino partito da molto lontano - nel 1891 a Breslavia, città un tempo tedesca ora incorporata alla Polonia, dove Edith Stein nacque da una famiglia ebrea - e concluso in una camera a gas di Auschwitz il 2 agosto 1942, il giorno in cui i nazisti le dettero la morte insieme a migliaia di altri ebrei.
Quel giorno la Stein indossava l'abito delle carmelitane, l'ordine monastico a cui aveva aderito dopo una conversione religiosa improvvisa e tormentata, raggiunta grazie a una lettura-lampo degli scritti di Santa Teresa d'Avila. Quando Papa Wojtyla la proclama santa quasi grida con forza e passione "mai più l'Olocausto, mai più l'Olocausto". Grida forte, il vecchio e affaticato Karol Wojtyla nella convinta speranza di ottenere un duplice risultato, fare di Edith Stein la santa-simbolo dei cristiani vittime della barbarie nazista e convincere i "fratelli maggiori ebrei" che la Chiesa, canonizzando per la prima volta dal tempo degli apostoli una figlia di Israele, non intende minimamente offendere o appropriarsi in qualche modo della memoria storica della Shoa.
Wojtyla presenta Edith Stein come una "eminente figlia d'Israele e figlia fedele della Chiesa" che "per lungo tempo visse l'esperienza della ricerca". "La sua mente - è la conclusione del Pontefice - non si stancò di investigare e il suo cuore di sperare, percorse il cammino arduo della filosofia con ardore appassionato e alla fine fu premiata: conquistò la verità, anzi ne fu conquistata".
Due immagini di Edith Stein, beatificata da Wojtyla l'11 ottobre 1998


Il Papa beatifica Alojzije Stepinac: difensore della vita

Al termine di un processo canonico iniziato nel 1980, il cardinale croato Alojzije Stepinac è stato beatificato a Zagabria il 3 ottobre - durante il viaggio Papale in Croazia - nel centenario della sua nascita.
Nato nel 1898, ordinato sacerdote nel 1930, divenne arcivescovo di Zagabria nel 1937 e tale rimase durante la dittatura filonazista dell'ustascia Ante Pavelic. Nel 1945, dopo aver denunciato il regime di interdizione religiosa di Tito, fu condannato a 16 anni di carcere. Liberato nel 1951 e mandato in esilio, fu creato cardinale da Pio XII nel 1953 e morì in domicilio coatto nel 1960.
Di lui il Papa ha detto: "La sua figura ricorda quella degli antichi martiri: le persecuzioni dei primi secoli consolidarono la presenza della Chiesa nel mondo antico. Preghiamo affinché le persecuzioni dei tempi moderni portino una nuova fioritura alla Chiesa". Anche questa beatificazione non è stata esente da polemiche, sia interne sia esterne alla Chiesa stessa. Stepinac fu condannato da Tito come "nemico della patria e traditore" per avere collaborato con il regime del fascista Pavelic, che tra il 1941 e il 1945 fu responsabile del genocidio di migliaia di ebrei e di serbi.
A questo proposito, le opinioni si dividono: chi difende la figura di Stepinac, come ad esempio lo storico di origine dalmata Enzo Bettiza, sottolinea che il cardinale denunciò più volte tale sanguinosa pulizia etnica, mentre i suoi detrattori ricordano che, quanto meno, egli non assunse mai nei confronti di Pavelic toni duri quanto quelli che poi usò contro il comunismo. A ciò si aggiunge che i numerosi religiosi direttamente coinvolti nei massacri, non furono mai sconfessati né puniti da Stepinac, che era il loro vescovo e portava il titolo di capo dei cappellani degli ustascia. A dare voce alle riserve nate anche tra i cattolici a proposito di questa beatificazione è stato il direttore dell'Istituto di Scienze religiose di Bologna Giuseppe Alberigo. A suo parere alla figura del cardinale croato manca il carattere di esemplarità che è il succo della beatificazione, che indica appunto ai credenti un modello da imitare; e ciò è difficile da accettare se si pensa che "la Chiesa non si è certo affrettata ad istruire processi di beatificazione nei confronti di monsignor Romero o dei frati massacrati in Algeria, benché fosse evidente che in questi casi si è voluto colpire la testimonianza cristiana".
Per comprendere i motivi di questa beatificazione bisogna tuttavia considerare il personale underground di Giovanni Paolo II, per il quale l'opposizione al totalitarismo ateo di Tito ha certo enorme valore: "Nella persona del nuovo beato" ha detto il Papa "si sintetizza per così dire la tragedia che ha colpito l'Europa nel corso di questo secolo, segnato dai tre grandi mali del fascismo, del nazismo e del comunismo". Ma con la sua vita Stepinac ha consegnato, secondo il Pontefice, dei precetti al suo popolo: "la fede in Dio, il rispetto dell'uomo. L'amore verso tutti spinto fino al perdono". Su quest'ultimo punto il Papa ha insistito durante la cerimonia, che come l'intero viaggio in Croazia intendeva proporre al popolo croato un messaggio di pace: "Ascoltiamo il suo invito al perdono e alla riconciliazione [...] vuol dire purificare la memoria dall'odio, dai rancori, dalla voglia di vendetta; riconoscere il fratello anche in chi ha fatto del male".

ANCORA UN ANNO DI VIAGGI: IL PAPA VISITA L'AMERICA, LA ROMANIA, LA POLONIA, LA SLOVENIA, L'INDIA E LA GEORGIA

Anche il 1999, come pure gli anni precedenti del suo pontificato, è stato per Giovanni Paolo II un anno intenso, ricco di viaggi in Europa e nel mondo.
A iniziare da gennaio, mese in cui il Papa ha visitato prima il Messico e poi il Sud degli Stati Uniti: il 22 è arrivato a Città del Messico e il giorno successivo ha celebrato una messa al santuario della Vergine di Guadalupe, il più grande santuario mariano del mondo.
Nell'omelia, a cui hanno assistito due milioni di persone, ha lanciato un fermo richiamo contro la pena di morte e contro gli abusi del neoliberismo. Dopo pochi giorni, il 26, Giovanni Paolo II è volato a Saint Louis, nel Missouri in occasione della conclusione dell'Assemblea speciale per l'America del Sinodo dei vescovi: qui il governatore Mel Carnahan ha accolto il suo appello, commutando la pena capitale di Darrel Mease - il ° condannato a morte a essere graziato dal 1976 ad oggi - in ergastolo. Nei giorni successivi, il Pontefice ha incontrato anche il presidente degli Stati Uniti Bill Clinton e la moglie Hillary.
Il viaggio in Romania è rientrato nel programma di riavvicinamento tra Chiesa cattolica e Chiesa ortodossa, fortemente perseguito dal Pontefice: per la prima volta, dopo lo scisma d'Oriente del 1054, un Papa si reca in un Paese a maggioranza ortodossa, la Chiesa rumena è difatti la terza per numero di fedeli dell'intera ortodossia.
Il 7 maggio Giovanni Paolo II è arrivato a Bucarest - ad accoglierlo all'aeroporto c'era il presidente Emil Costantinescu - mentre il giorno seguente ha incontrato il patriarca della Chiesa ortodossa romena Teoctist, con il quale ha sottoscritto un documento per chiedere la fine del conflitto nella Federazione jugoslava.
Il 5 giugno il Pontefice si è recato per l'ottava volta dall'inizio del suo pontificato nella sua Terra natale, la Polonia: un viaggio durato 13 giorni che il Papa ha voluto proseguire senza alcun cambiamento di programma, nonostante la salute critica (in seguito a una caduta gli sono stati dati tre punti di sutura in testa e l'influenza lo ha costretto a letto per un giorno), toccando varie città, tra cui Danzica, Varsavia, Sosnowiec, Cracovia e Wadowice, la sua città.
Ha dovuto invece rimandare la visita in Armenia, perché le condizioni di salute del supremo patriarca e catholicos di tutti gli Armeni, Karekin I, malato di un tumore alla gola, erano peggiorate. Karekin I morirà infatti di lì a poco, il 29 giugno.
Il 19 settembre Giovanni Paolo II ha compiuto una visita di un solo giorno a Maribor, in Slovenia, per proclamare il primo beato sloveno della storia, Anton Martin Slomšek, vescovo di Maribor e pioniere del dialogo ecumenico nell'Europa Centrale. Davanti a 100.000 cattolici provenienti dalla Slovenia, dalla Croazia, dall'Austria e dall'Ungheria, ha denunciato i sentimenti di "miope nazionalismo e di egoistica contrapposizione nei confronti degli Stati vicini" e le sue parole sono risuonate come un messaggio universale, diretto non solo ai Paesi della ex-Jugoslavia.
Il 5 novembre il Papa si è recato in India, Paese a stragrande maggioranza indù, che già aveva visitato nel 1986. Il suo arrivo è stato preceduto dalla protesta di un gruppo di estremisti indù che ne hanno bruciato i ritratti, lanciando slogan contro il "proselitismo" cristiano e pretendendo dal Pontefice scuse per le violenze compiute in India nel 1500. Nel corso della permanenza, il Papa ha celebrato una messa per la conclusione dell'Assemblea speciale per l'Asia del Sinodo dei vescovi e visita il memorial di Gandhi: sul libro dei visitatori scrive una frase dello stesso Gandhi: "Nessuna cultura può sopravvivere, se pretende di escludere le altre", suggellando in tal modo il messaggio di pace e di dialogo che ha ispirato questo viaggio.
L'8 e il 9 novembre Giovanni Paolo II ha iniziato la sua visita in Georgia, secondo Paese a maggioranza ortodossa. La scelta della data non è stata casuale: si trattava, infatti, del decimo anniversario della caduta del Muro di Berlino, "evento che incoraggia a gettare ponti tra i popoli, tra le nazioni, le religioni e le culture", evento da cui è scaturita anche l'indipendenza della stessa Georgia (1991).
Papa Giovanni Paolo II con il patriarca della Chiesa ortodossa rumena Teoctist


Papa Wojtyla e il presidente Kucan all’aeroporto di Maribor, Slovenia (19 settembre 1999)


IL PONTEFICE IN MESSICO, DALLA PARTE DEGLI INDIOS

Dal 22 al 26 gennaio 1999 il Papa è in Messico. Il nuovo viaggio internazionale del Pontefice, l'85° della serie, comprende anche una sosta di trenta ore negli Stati Uniti, a Saint Louis, dove è in programma un incontro di Giovanni Paolo II con Bill Clinton. È prevedibile che il Messico sarà il principale tema del colloquio: il Pontefice l'avrà appena lasciato, il presidente statunitense vi si recherà a metà febbraio.
Dal Messico il Papa lancerà l'Esortazione apostolica post-sinodale sull'America, Clinton tenterà di rafforzare i legami con questa nazione, che è "ponte" per l'intero continente latinoamericano.
È la quarta volta che il Papa visita il Messico. L'ultima, nell'agosto del , si limitò a una sosta nello Yucatán, ma affrontò uno dei temi cruciali del Paese: la questione indigena. Dai quindici ai venti milioni di Indios, che vivono nelle regioni più povere, sono socialmente e culturalmente emarginati. Sei anni fa il Pontefice rivendicò per costoro il "diritto a uno spazio culturale, vitale e sociale, come individui e come gruppi etnici". In favore di tutti i popoli indigeni dell'America lanciò un appello "alle società sviluppate affinché, superando gli schemi economici che si orientano esclusivamente verso il profitto, cerchino soluzioni reali ed effettive ai gravi problemi che affliggono estesi settori di popolazione del continente".
Quattro mesi dopo, l'esercito zapatista di liberazione nazionale, composto prevalentemente da indigeni, occupava simbolicamente i municipi di San Cristobal de Las Casas e di alcuni altri comuni del Chiapas e rivendicava più rispetto per i popoli indigeni, più giustizia sociale, più democrazia reale. Inizialmente il governo federale rispose militarmente. Poi subentrò il dialogo, anche con la mediazione della Chiesa, che nel 1996 portò agli accordi di San Andrés, che però non furono mai applicati. Interrotto il dialogo, il governo è tornato alla via militare; nel quadro di crescente tensione - che accentua vecchie conflittualità politiche, etniche e religiose - avvengono massacri terribili.
Il Papa trova dunque un Messico dove la "questione indigena" si è acutizzata, sfociando in una sollevazione guerrigliera. E la guerriglia non è più solo nel Chiapas. Da un paio d'anni operano negli Stati di Guerrero e Oaxaca l'Esercito popolare rivoluzionario e l'Esercito rivoluzionario del popolo insorto, formazioni che sono più decise nel tentare la via armata alla conquista del potere. Nel 1998, negli scontri tra queste guerriglie e l'esercito, sono morte 69 persone e 77 sono rimaste ferite.
I cittadini messicani sono preoccupati, oltre che per queste forme di conflitto, per la crescente "violenza" comune. Impressionante è l'aumento dei sequestri di persona a scopo d'estorsione, tanto che i vescovi di nove diocesi del Messico centro-occidentale hanno deciso, lo scorso dicembre, la scomunica "automatica" per i sequestratori e i loro complici.

IN AMERICA UN GRIDO CONTRO LA PENA DI MORTE, L'ABORTO E L'EUTANASIA

In America Giovanni Paolo II ha parlato ai grandi (Bill Clinton e il presidente messicano Ernesto Zedillo) e alle folle. A tutti ha portato messaggi che puntano al cambiamento: no all'uso della forza nelle contese internazionali; rifiuto della cultura della morte che si esprime nell'aborto, nella pena di morte, nell'eutanasia, nel suicidio assistito e in ogni altra forma di violenza contro la persona; necessità di superare la globalizzazione del neoliberismo, che accresce la ricchezza di pochi e la povertà di molti, con la "globalizzazione della solidarietà".
Ai cattolici del continente, che sono ormai metà del miliardo di fedeli della Chiesa, il Pontefice ha consegnato l'Esortazione apostolica Ecclesia in America, che raccoglie le riflessioni del Sinodo del 1997 sulla nuova evangelizzazione del continente americano. Il Papa propone una rinnovata strategia pastorale: da un lato, più diffusa conoscenza della dottrina sociale della Chiesa; dall'altro, più coordinamento tra gli episcopati del Nord, del Centro e del Sud dell'America.
Il tema dei bombardamenti e dell'embargo contro l'Iraq è stato affrontato dal Papa nel colloquio privato con Clinton. Il comunicato congiunto (Santa Sede-Casa Bianca) ha fatto sapere che il Pontefice e il presidente "hanno discusso delle sfide riguardanti la pace e la giustizia nel mondo e dei modi con cui la mutua cooperazione può far cessare i conflitti e portare sollievo alle popolazioni sofferenti".
Nell'incontro con i giovani, alla messa nel Trans-World Dome, ai vespri nella basilica-cattedrale di Saint Louis (che vanta il più grande mosaico del mondo), il Papa ha detto all'America: "Il potere è responsabilità: è servizio, non privilegio. Il suo esercizio è moralmente giustificabile quando viene usato per il bene di tutti, quando è sensibile ai bisogni dei poveri e degli indifesi".
Il papa prega nella Cappella del Benedetto Sacramento, a Saint Louis
br />

QUANDO UN PAPA TORNA A CASA

Nell'ottavo viaggio di Giovanni Paolo II nella sua Polonia, il Papa è in buona forma, rilassato, spesso sorridente.
Giovanni Paolo II percorre 455 chilometri in elicottero e una trentina in papamobile, pronuncia due lunghi discorsi, saluta varie personalità, scambia qualche parola con i fedeli incaricati di presentargli i regali delle comunità locali (e sono decine).
Ce la fa egregiamente e la sera, verso le otto, prima di lasciare Zamosc, ha ancora la vena di scherzare: tira affettuosamente l'orecchio a un prete che ha riconosciuto, improvvisa alcune battute con la folla, che va in visibilio. Quasi non bastasse, proprio in questa giornata si viene a sapere che il 17 giugno 1999, ultimo giorno del lungo pellegrinaggio in Polonia, il Papa ha voluto un'aggiunta: prima di rientrare a Roma farà una breve visita al santuario mariano di Czestochowa.
Nel giugno di due anni fa, all'epoca del precedente viaggio, in Polonia c'erano forti tensioni politiche e ideologiche. Ferveva la campagna elettorale (in settembre si sarebbe rinnovato il Parlamento); divideva l'opinione pubblica una legge lassista sull'aborto approvata dai legislatori ma bloccata dalla Corte costituzionale. In quella situazione il Pontefice predicò soprattutto riconciliazione e dialogo.
Ottenne risultati: alle elezioni vinsero gli eredi di Solidarnosc (centrodestra, nel panorama politico polacco), il nuovo Parlamento respinse la legalità dell'aborto per ragioni economiche e sociali e ratificò il Concordato; un referendum popolare approvò la nuova Costituzione (che nel preambolo contiene un riferimento a Giovanni Paolo II).
Oggi le difficoltà sono soprattutto in campo economico e sociale. È proprio il Presidente a ricordarle, nell'accogliere il Papa a Danzica, prima tappa del suo pellegrinaggio. Siamo in una regione dagli evidenti segnali di crescita economica: centri urbani ristrutturati, molti nuovi negozi e supermercati, disoccupazione al 5%, che è meno della metà della media nazionale. Qui nel 1980 è nata Solidarnosc.
Il Papa ricorda che allora si gridava: "Non c'è libertà senza solidarietà"; e rilancia: "Oggi bisogna dire: non c'è solidarietà senza amore". Parla di "amore che perdona, benché non dimentichi, che è sensibile alla sventura altrui, che non cerca il proprio tornaconto, ma desidera il bene degli altri; amore che è servizio, che è dimentico di sé ed è disposto a donare con generosità".
L'omaggio del Papa al movimento di Lech Walesa, l'ex elettricista dei cantieri Lenin è incondizionato. La nascita di Solidarnosc, dice ancora a Danzica, "fu un evento che segnò una svolta nella storia della nostra Nazione e nella storia dell'Europa. Solidarnosc ha aperto le porte alla libertà nei Paesi resi schiavi dal sistema totalitario, ha abbattuto il Muro di Berlino e ha contribuito all'unità dell'Europa divisa dai tempi della seconda guerra mondiale".
Ripete l'elogio a Solidarnosc nel discorso al Parlamento nazionale, che gli riserva un'accoglienza trionfale, da "Padre della patria". Ad ascoltare il Pontefice ci sono anche Walesa e il generale Jaruzelski, i "nemici" degli anni Ottanta, che finora non s'erano mai visti insieme in una cerimonia pubblica. Dice dunque il Papa polacco: "Tutti ci rendiamo conto del fatto che questo odierno incontro nel Parlamento non sarebbe stato possibile se non vi fosse stata la ferma protesta degli operai polacchi, sulla costa del Baltico, nel memorabile agosto 1980. Non sarebbe stato possibile senza Solidarnosc, che scelse la via della lotta pacifica per i diritti dell'uomo e di tutta la Nazione".
Per coerenza con quella lotta, Giovanni Paolo II domanda ai suoi connazionali, e soprattutto alla classe dirigente, di ascoltare "il lamento dei poveri". E ricorda che "lo sviluppo e il progresso economico non possono attuarsi a spese dell'uomo". Fa questo appello, oltre che in Parlamento, ad Elk, nel nord-est povero e trascurato della Polonia.
Dei problemi della Terra in Polonia (minacce di distruzione ecologica e impoverimento delle famiglie contadine) il Pontefice parla anche a Zamosc, splendida cittadina rinascimentale. "So che in un tempo di trasformazioni sociali ed economiche", afferma, "non mancano problemi che spesso dolorosamente tormentano la campagna polacca. Occorre che nel processo delle riforme le difficoltà degli agricoltori vengano riconosciute e superate nello spirito della giustizia sociale".

Nella sua Terra il Papa proclama 108 nuovi beati

Nella prima settimana del suo viaggio in Polonia il Papa torna insistentemente sul tema del martirio. Quasi ogni città da lui visitata ha avuto numerose vittime di persecuzioni religiose o politiche, sia nei secoli passati che nei decenni recenti.
Il 7 giugno a Bydgoszcz, nel nord del Paese, afferma che è giunto il momento di ricordare tutte le vittime dei campi di sterminio hitleriani o sovietici. "Sono dei 'martiri', spesso sconosciuti, quasi militi ignoti della grande causa di Dio [...] È bene che si parli di essi in Terra polacca, poiché essa sperimentò una partecipazione particolare a questo martirologio contemporaneo".
Sei giorni dopo a Varsavia proclama beati 108 polacchi (vescovi, preti, laici, suore) uccisi dai nazisti o morti nei campi di concentramento tedeschi. La cerimonia si svolge nell'affollatissima piazza della Vittoria, ora ribattezzata piazza Pilsudski (il generale che nel 1920 respinse l'assedio delle truppe sovietiche).
Proprio qui, vent'anni fa, Karol Wojtyla, eletto Papa da pochi mesi, sfidò il regime comunista: "Non si può bandire Cristo dalla società".

Il commosso ricordo delle vittime del Ghetto

Il pomeriggio dell'11 giugno il Papa si è recato alla Umschlagplatz, da dove i nazisti deportarono oltre trecentomila ebrei polacchi dal Ghetto di Varsavia alle camere a gas.
Ad accogliere il Papa c'erano i dirigenti delle comunità ebraiche polacche (in Polonia gli ebrei erano tre milioni e mezzo prima della seconda guerra mondiale; ora sono meno di diecimila). C'era anche Marek Edelman, l'unico sopravvissuto della rivolta del Ghetto (aprile 1943), che ha ricordato al Papa la tragedia di quei giorni.
A meno d'un chilometro dalla Umschlagplatz il Pontefice ha poi pregato davanti al monumento detto dei "Siberiani": un vagone di treno in bronzo, carico di cristiani, ebrei e zingari incatenati. Rappresenta i deportati polacchi in Siberia dall'epoca zarista fino al 1953. Complessivamente furono più di un milione. Erano destinati ai campi di lavoro forzato nelle miniere o nelle foreste siberiane. Quasi tutti morirono di stenti.
Papa Wojtyla circondato dai fedeli a Danzica


Lichen (Polonia), 7 giugno 1999: il papa fra i bambini in costume tradizionale


IL VANGELO COL SARI

Quanto più Giovanni Paolo II appare stremato dall'età e dalla malattia, tanto più emerge la sua indomabile volontà di essere Pontefice, "artefice di ponti", promotore di dialogo. È stato tutto all'insegna del dialogo il suo 89° viaggio internazionale, che ha avuto due mete: l'India, dove aumenta l'estremismo indù, e la Georgia, la cui Chiesa ortodossa finora s'è mostrata diffidente verso i cattolici (100.000 su circa 5.500.000 abitanti).
A Nuova Delhi, capitale dell'India, l'ultimo atto del programma Papale è stato un incontro con i rappresentanti delle altre religioni. Il programma iniziale prevedeva il saluto d'un vescovo cattolico, il discorso del vicepresidente indiano e quello del Papa. Per la protesta degli estremisti indù (i quali trovano orecchi sensibili nel Governo di Atal Bihari Vajpayee, leader del Partito dei cittadini indiani, di ideologia nazionalista), è stato eliminato il discorso del vicepresidente. Inoltre, il Pontefice ha parlato solo dopo gli interventi dei rappresentanti indù, musulmano, sikh, gianista, buddhista, zoroastriano, ebraico e bahai.
L'incontro è stato altamente simbolico: il capo della più grande Chiesa cristiana, con il suo strano abito bianco, sedeva alla pari con altri venerabili personaggi dagli strani paludamenti arancioni, neri, azzurrini, grigi. Quella tribuna rappresentava, anche cromaticamente, la realtà plurireligiosa del continente asiatico. Nel quale il cristianesimo, sebbene presente in qualche regione da quasi duemila anni, continua a essere minoritario: il 3% su oltre tre miliardi di abitanti.
Se in Asia il messaggio cristiano è rimasto pressoché inascoltato, una delle principali cause è stata la scarsa o nulla comprensione che la maggior parte dei missionari ha avuto delle culture e delle religioni asiatiche. Il rilievo è dell'Esortazione apostolica Ecclesia in Asia che il Pontefice ha ufficialmente pubblicato il 6 novembre nella cattedrale di Nuova Delhi. Il documento rappresenta la sintesi, per mano del Papa, del Sinodo dei vescovi per l'Asia svoltosi la primavera del 1998 in Vaticano. In esso si ricordano i vari tentativi di diffusione del Vangelo nel continente. "Nonostante la sua plurisecolare presenza e i suoi sforzi apostolici, la Chiesa in molte parti veniva ancora considerata estranea all'Asia e di fatto era spesso associata nella mentalità popolare con le potenze coloniali". Questo per la storia.
Per l'oggi il Papa ha più volte ripetuto in India che il terzo millennio dev'essere quello di uno straordinario sforzo di evangelizzazione dell'Asia, come il primo millennio lo fu per l'Europa e il secondo per le Americhe e l'Africa. Questo sforzo deve incentrarsi sull'annuncio che Gesù Cristo è il "solo e unico" salvatore dell'umanità, come si legge in più parti dell'Esortazione apostolica.
Qui è il principale punto di frizione con le grandi religioni asiatiche (islam, induismo, buddhismo, gianismo), che tutte si ritengono "vie di salvezza". Per superare questa difficoltà l'invito dell'Esortazione apostolica è quella di una pedagogia che introduca gradualmente gli asiatici al mistero cristiano. Quindi: più attenzione ai metodi narrativi, che sono più affini alle forme culturali asiatiche; maggiore ricorso alle parabole e ai simboli, che sono caratteristici dei metodi asiatici d'insegnamento; e preferenza alle immagini di Gesù più comprensibili dagli asiatici. Senza cedere sulla sostanza della fede cristiana, per una migliore incarnazione del messaggio evangelico in questa società si devono accogliere le categorie e il linguaggio della cultura indiana.
Il papa con il leader religioso sikh Bhai Manjit Sahib e il leader religioso hindu Shankaracharya Madhavananda Saraswati (7 novembre 1999)


Libertà religiosa anche in Cina

A Nuova Delhi il Papa ha rivendicato con vigore il diritto alla libertà religiosa, che in alcune parti dell'Asia è "negata o sistematicamente limitata".
L'appello evocava implicitamente la Cina continentale, dalla quale proprio in quei giorni filtravano notizie contraddittorie: alcune parlavano del desiderio di Pechino di allacciare contatti con la Santa Sede, altre di maggiore repressione dei cattolici fedeli a Roma.
I rappresentanti dell'episcopato cinese, che non avevano potuto partecipare al Sinodo dell'anno scorso, erano forzosamente assenti anche all'appuntamento asiatico con il Papa a Nuova Delhi.

IL PONTEFICE IN GEORGIA PER SUPERARE IL "MURO DELL'ORTODOSSIA"

L'8 novembre 1999 il Papa lasciava Nuova Delhi, capitale d'un Paese emergente, per raggiungere Tbilisi, capitale della Georgia, una nazione in dissesto economico e sociale, al centro del Caucaso scosso da conflitti etnico- petroliferi.
Il Papa ha fortemente voluto questa visita come un nuovo passo (dopo quello fatto in Romania lo scorso maggio) verso il superamento del muro dell'ortodossia. Anche il presidente georgiano Eduard Shevardnadze ha sostenuto fermamente questa visita. Grande ammiratore della leadership morale di Giovanni Paolo II, Shevardnadze ha legato alla visita di Giovanni Paolo II la speranza di suscitare una maggiore attenzione (e anche maggiori aiuti) della comunità internazionale sulla Georgia e il Caucaso.
Il presidente georgiano è stato vicino al Pontefice quanto più spesso possibile: due volte all'aeroporto (per l'arrivo e il congedo), alla messa con la comunità cattolica nel Palazzo dello Sport della capitale, nell'incontro privato nella Residenza statale di Krtsanisi (sempre a Tbilisi), e nell'incontro con i rappresentanti della cultura e della scienza.
Nel colloquio privato, avvenuto il 9 novembre, decimo anniversario della caduta del Muro di Berlino, il presidente georgiano ha sottolineato il grande contributo dato dal Papa al superamento del vecchio ordine mondiale, diviso in due blocchi contrapposti. Il Pontefice ha risposto riconoscendo il ruolo di protagonista del cambiamento svolto dieci anni fa da Shevardnadze, all'epoca ministro degli Esteri di Mosca e stretto collaboratore di Gorbaciov.
Anche il patriarca ortodosso Ilia II è stato accanto al Papa cinque volte: al momento dell'arrivo e del congedo, nelle visite che il Pontefice ha fatto al patriarcato e alla splendida cattedrale ortodossa, e durante l'incontro con gli esponenti della cultura e della scienza.
A differenza di Shevardnadze, che con il Pontefice è stato caloroso fin dall'inizio della visita, il patriarca è sembrato passare dalla riservatezza all'atteggiamento affettuoso con il progredire dell'incontro.
È una conferma che i contatti personali giovano al cammino ecumenico. Che in Georgia, tuttavia, rimane irto di difficoltà.
Nei discorsi pubblici del patriarca non si è mai ascoltata la parola "ecumenismo" o altra che ne traducesse l'idea. Né al patriarcato né nella cattedrale ortodossa vi sono stati momenti di preghiera comune. "Secondo la nostra legge canonica", ci ha detto Ilia II, "non possiamo pregare con i non ortodossi. Forse un giorno sarà possibile, ma dipende dai cambiamenti delle due parti.
Per quanto riguarda l'ortodossia, non è un cambiamento che possiamo fare solo noi in Georgia. Lo deve fare l'insieme delle Chiese ortodosse".
Il papa accanto ad un’icona ortodossa nella residenza del Patriarca della Georgia Ilia


IL CONFLITTO NEI BALCANI SPINA NEL CUORE DI GIOVANNI PAOLO II

In San Giovanni in Laterano, per la messa della festività del Corpus Domini (3 giugno 1999), e poi nella processione dalla cattedrale di Roma alla basilica di Santa Maria Maggiore, si è visto un Papa particolarmente assorto.
La pace nei Balcani doveva essere in cima a tutti i suoi pensieri e sentimenti. L'ha fatto capire fin dall'inizio dell'omelia: "Mentre adoriamo il Corpo di colui che è nostro Capo, come non farci solidali con le sue membra che soffrono a causa della guerra?". E ha raccomandato di pregare molto, "in modo particolare, per la pace nei Balcani". Nella conclusione del suo discorso ha invitato a "condividere il pane della speranza con i nostri fratelli disperati; il pane della pace con i nostri fratelli martoriati dalla pulizia etnica e dalla guerra; il pane della vita con i nostri fratelli minacciati ogni giorno dalle armi di distruzione e di morte".
Nella parte centrale dell'omelia si è avuto quasi un anticipo delle riflessioni che il Papa avrebbe svolto in Polonia. Ha infatti detto che occorre "non dimenticare", ma piuttosto bisogna "fare tesoro dell'esperienza passata", perché "anche dagli errori si può trarre un ammaestramento per orientare meglio il proprio cammino".
Ha quindi aggiunto: "Guardando a questo secolo e al millennio che si chiude, come non richiamare alla memoria le terribili prove che l'umanità ha dovuto sopportare? Non possiamo dimenticare: anzi, dobbiamo ricordare. Aiutaci, Dio, nostro Padre, a trarre le giuste lezioni dalle vicende nostre e di coloro che ci hanno preceduto".
Il Pontefice ha poi rievocato Giovanni XXIII, morto il 3 giugno di 36 anni fa. Era il Papa della Pacem in terris, un'enciclica accolta da "un coro unanime di lodi". In essa, ha detto Giovanni Paolo II, "si tracciavano le grandi linee per l'edificazione di una pace vera nel mondo. Ma quante volte in questi anni si è ancora dovuto assistere allo scoppio della violenza bellica in una parte o nell'altra del pianeta".

IL PAPA A KOFI ANNAN: "INTERVENGA L'ONU PERCHÉ CESSINO LE OSTILITÀ NEI BALCANI"

Proprio nella Giornata di preghiera per la pace nei Balcani (3 giugno 1999), il Pontefice ha avuto un lungo colloquio in Vaticano con il segretario generale dell'Onu, Kofi Annan, che ha poi invitato a pranzo. All'incontro ha partecipato il cardinale Angelo Sodano, segretario di Stato, e l'arcivescovo Jean-Louis Tauran, "ministro degli Esteri" della Santa Sede.
La grave situazione nella Repubblica federale jugoslava è stata al centro della riunione di lavoro. "Particolare considerazione è stata riservata", ha dichiarato il portavoce vaticano Navarro-Valls, "al dramma umanitario delle popolazioni kosovare e alla necessità di una soluzione negoziata nel rispetto della storia e del diritto".
Durante l'incontro si sono diffuse le prime notizie della positiva reazione di Belgrado all'uscita politica dalla guerra fondata sulla proposta del G8.
Perciò con più forza il Papa ha potuto ribadire a Kofi Annan la posizione della Santa Sede sul conflitto nei Balcani e sottolineare "la convenienza che, sotto l'egida delle Nazioni Unite, la cessazione delle ostilità sia accompagnata dal simultaneo ritorno dei rifugiati nella regione del Kosovo, con l'aiuto di una forza internazionale di pace accettata da tutte le parti".
In molti dei trenta interventi pubblici del Pontefice durante i primi due mesi della nuova guerra balcanica (e in tutti i passi della diplomazia vaticana) era stata richiamata la necessità che l'Onu ritornasse sulla scena da protagonista.
Giovanni Paolo II l'ha nuovamente ripetuto a Kofi Annan, auspicando "un'attività sempre maggiore delle Nazioni Unite nella prevenzione e nella composizione dei conflitti".

PADRE PIO, IL FRATE DEI MIRACOLI, È PROCLAMATO BEATO

Il 2 maggio 1999 Papa Giovanni Paolo II ha proclama beato Padre Pio. Alla cerimonia, svoltasi in Vaticano, hanno assistito commossi più di 30.000 fedeli. Il Pontefice ha ricordato le incomprensioni e le ingiustizie che il frate cappuccino dovette patire durante la sua vita, anche da parte della Chiesa e gli ha chiesto di intercedere per la pace nei Balcani. La storia di Francesco Forgione, nato il 25 maggio del 1887 a Pietrelcina, in provincia di Benevento e ordinato sacerdote con il nome di Padre Pio nel 1910, è segnata dall'evento delle stimmate, ricevute nel 1918 e portate fino alla morte del frate (23 settembre 1968).
Per cinque volte Padre Pio fu messo sotto inchiesta dal Santo Uffizio, due papi (Pio XI e Giovanni XXIII) lo osteggiarono fermamente, altri invece (Benedetto XV, Pio XII, Paolo VI) lo sostennero.
La causa di beatificazione venne promossa dall'ordine dei Cappuccini il 4 novembre 1969, il processo di beatificazione durò dal 20 marzo 1983 al 21 gennaio 1990 e il 21 dicembre venne letto davanti a Giovanni Paolo II il "decreto" che riconobbe come "miracolo" una guarigione di Padre Pio.
Il miracolo che ha consentito la beatificazione di Padre Pio è quello della guarigione "istantanea" da grave malattia di Consiglia De Martino, presente in Vaticano il giorno della beatificazione.
Un rapporto davvero straordinario lega Giovanni Paolo II al più controverso dei mistici del secolo, sulla cui tomba si era recato a pregare, solitario e silenzioso, il 23 maggio . A lui, anni prima, si era rivolto per l'amica dell'università Wanda Poltawska, ridotta in fin di vita per un tumore maligno alla gola, e oggi pienamente ristabilita. Di lui, che aveva conosciuto a San Giovanni Rotondo quando era solo un giovane prete polacco, dice nel corso dell'omelia: "In tutta la sua esistenza, egli ha cercato una sempre maggiore conformità al Crocifisso, avendo ben chiara coscienza di essere stato chiamato a collaborare in modo peculiare all'opera della redenzione. Senza questo costante riferimento alla Croce non si comprende la sua santità. Padre Pio è stato generoso dispensatore della misericordia divina, rendendosi a tutti disponibile attraverso l'accoglienza, la direzione spirituale, e specialmente l'amministrazione del sacramento della Penitenza. Il ministero del confessionale, che costituisce uno dei tratti distintivi del suo apostolato, attirava folle innumerevoli di fedeli al convento di San Giovanni Rotondo".
Un'immagine di Padre Pio, beatificato nel 1999


PAPA WOJTYLA RICEVE IN VATICANO IL PRESIDENTE IRANIANO KHATAMI

L'11 marzo 1999 il Pontefice ha ricevuto in udienza il presidente dell'Iran, Seyyed Mohammad Khatami, in visita diplomatica del nostro Paese.
È il primo presidente della Repubblica islamica a essere ricevuto da un Pontefice in Vaticano. Khatami, che indossava gli abiti religiosi da hojateleslam e il turbante nero dei "seyed", discendenti del profeta Maometto, si è presentato con le vesti dell'agnello, affermando che "il mondo oggi più che mai ha bisogno della pace, è stanco delle violenze e del terrorismo".
Nel colloquio, durato circa un'ora, il Papa ha sostenuto la necessità del confronto pacifico tra le grandi religioni e di una conoscenza più profonda tra islam e cristianesimo. Si è poi parlato di libertà religiosa e diritti umani.
Dopo l'incontro con il Santo Padre, presidente Khatami è stato ricevuto dal cardinale Angelo Sodano con cui sono state affrontate questioni più concrete riguardanti il rapporto tra cattolici e musulmani e la situazione della Chiesa in Iran (i cristiani iraniani non godono di tutti i diritti civili, non possono accedere a molti impieghi pubblici).
11 marzo 1999: il papa stringe la mano al presidente iraniano Mohammad Khatami


DEBITI PER I PAESI DEL TERZO MONDO: IL ROCK VA DAL PAPA

Il 23 settembre 1999 a Castel Gandolfo è avvenuto un insolito incontro: Bono, leader del gruppo rock degli U2, Bob Geldof (organizzatore dello storico Live Aid) e Quincy Jones, produttore musicale e promotore di Usa for Africa, altro grande evento mediatico di beneficenza, hanno incontrato il Papa per chiedere un sostegno a Jubilee 2000, la grande campagna mondiale per la cancellazione dei debiti esteri dei Paesi del Terzo mondo, le cui economie sono strozzate dagli interessi che devono pagare ogni anno.
Le polemiche sull'incontro non sono mancate: molti hanno storto il naso per l'udienza concessa dalla massima autorità spirituale del mondo al team di rock star, icone di un mondo dello spettacolo trasgressivo.
Ma l'incontro è stato più semplice e più schietto del previsto. Bono ha chiesto al Pontefice un appoggio, un aiuto morale per la campagna che il comitato sta portando avanti in tutto il mondo in sostegno delle popolazioni a basso sviluppo economico e Giovanni Paolo II in questo insolito incontro "ci ha dato molto più appoggio di quello che speravamo", ha detto la rockstar irlandese, che ha ricordato al Pontefice l'affetto con il quale i suoi connazionali lo accolsero nel 1979.
Durante l'incontro c'è stato uno scambio di doni e di promesse: il Santo Padre si è provato gli stravaganti occhiali da sole di Bono, li ha osservati e ha deciso di tenerli per sé. Il Papa ha poi apprezzato il libro di poesie del premio Nobel Seamus Heany, che il cantante degli U2 gli ha portato in dono.
Al termine della visita alla sala di Castelgandolfo la rockstar irlandese ha dichiarato: "È un uomo di un'estrema lucidità. Dà l'impressione di uno dal quale, quando era giovane, avresti temuto un pugno, e adesso tutta quell'energia è rivolta allo spirito".
Il papa scambia doni con il cantante Bob Geldof, durante un’udienza, il 23 settembre 1999
br />

UN'ONDA DI LUCE PER IL 2000

La lunga cerimonia di apertura del Grande Giubileo ci ha regalato una delle immagini di Giovanni Paolo II più stridenti e suggestive; quella di un Papa prostrato in preghiera, solo sulla soglia della Porta santa appena aperta, avvolto nel piviale dai riflessi policromi, abbarbicato a quel suo pastorale divenuto, via via che passavano gli anni, non più soltanto il segno del comando del pastore che deve guidare il gregge, ma anche appoggio e sostegno fisico e spirituale per i passi vacillanti di un Papa provato dalla vita e dal lungo ministero.
Un bastone che non culmina a riccio, come i pastorali d'un tempo tempestati di pietre preziose, ma con uno scarnificato Cristo crocifisso, eredità simbolica di un altro grande Pontefice del nostro secolo, "esperto del dolore" e di umanità, Paolo VI.
Su quella mistica soglia, dietro al Papa, un miliardo e mezzo di persone, nel silenzio totale con cui il regista Ermanno Olmi ha voluto fasciare la scena, hanno trattenuto il fiato, consapevoli della svolta che la storia stava imprimendo alla loro vita. Quando il Papa si è rialzato e l'interno della basilica di San Pietro è apparso in tutto il suo splendore, è stato come se un'irresistibile onda di luce e di pace, di riconciliazione e di perdono si riversasse sull'umanità, a lavarne le colpe e l'iniquità, quasi a restituirle intatta l'impronta originaria, manifestazione creatrice dell'amore di Dio.

DUEMILA, L'ANNO DEL GIUBILEO, MA NON SOLO

L'anno giubilare ha focalizzato quasi interamente l'attenzione del mondo cristiano, e cattolico in particolare, che è stato chiamato a partecipare attivamente all'anno di grazia celebrato dalla Chiesa, raccogliendosi in preghiera in piazza San Pietro e attraversando le quattro Porte sante di altrettante basiliche vaticane (San Pietro, San Giovanni in Laterano, Santa Maria Maggiore e San Paolo fuori le Mura).
Numerose sono quindi state le cerimonie che hanno scandito il 2000, finalizzate a raccogliere nel centro della cristianità i rappresentanti di quante più possibili categorie umane e professionali della composita società contemporanea: in gennaio si è celebrato il Giubileo dei bambini, in febbraio quello della vita consacrata, degli ammalati e degli operatori sanitari, degli artisti, dei diaconi permanenti e della curia romana, in marzo si è officiato il Giubileo degli artigiani, in maggio quello dei lavoratori dei presbiteri, degli scienziati e della diocesi di Roma, in giugno dei migranti, degli itineranti e dei giornalisti, in luglio delle carceri, in agosto quello dei giovani, in settembre quello dei docenti universitari, dei rappresentati pontifici e della terza età, in ottobre quello dei vescovi, delle famiglie e degli sportivi, in novembre quello dei governanti e dei parlamentari, del mondo agricolo, dei militari e delle forze dell'ordine, dell'apostolato dei laici, e, infine, in dicembre è stato festeggiato il Giubileo dei disabili e del mondo dello spettacolo.
Roma si è dunque presentata come il centro fisico, oltre che spirituale, dell'attività del Pontefice il quale instancabile, sebbene visibilmente sofferente, ha rivolto la propria attenzione pastorale agli eventi del Giubileo, riducendo il numero di viaggi.
Forse solo per una coincidenza, al minor numero di viaggi apostolici di Giovanni Paolo II ha fatto eco una serie di voci, subito smentite dal portavoce pontificio Joaquin Navarro-Valls, sulle possibili dimissioni del Papa dopo l'anno giubilare: in ottobre il primate della Chiesa belga Godfried Dannels aveva infatti ipotizzato tale eventualità già avanzata alcuni mesi prima dal presidente dei vescovi tedeschi monsignor Lehmann.
Giovanni Paolo II verso il Giubileo del 2000


Molte sono inoltre state le occasioni di dibattito e discussione, alimentate anche dalla pubblicazione di diversi documenti riguardanti aspetti fra i più controversi della vita attuale. Fra gli eventi giubilari che assumono un significato del tutto particolare citiamo l'Ostensione della sacra Sindone (22-29 ottobre), decisa dal Santo Padre contestualmente all'esposizione del 1998 e con le caratteristiche del pellegrinaggio giubilare.
Giovanni Paolo II spalanca la Porta santa della basilica di San Paolo fuori le Mura


Il bacio di papa Giovanni Paolo II ad un bambino


NELL'ANNO SANTO IL PAPA PELLEGRINO SI RECA NEI LUOGHI SANTI

Nella bolla d'indizione del Grande Giubileo dell'anno 2000, Incarnationis mysterium, il Santo Padre prospettava come centri propulsori dell'anno giubilare Roma e la Terra Santa, "così chiamata per aver assistito alla nascita e alla morte di Cristo Gesù, ma contemporaneamente Terra promessa che ha segnato la storia del popolo ebraico ed è venerata dai seguaci dell'Islam".
Nello stesso documento fra i segni del Giubileo, particolare importanza è stata attribuita al pellegrinaggio, simbolo della condizione dell'uomo che ama descrivere la propria esistenza come un cammino. Il pellegrinaggio è esercizio di ascesi operosa, di pentimento per le umane debolezze, di costante vigilanza sulla propria fragilità, di preparazione interiore alla riforma del cuore.
Proprio per sottolineare questo messaggio, Giovanni Paolo II ha voluto iniziare il proprio pellegrinaggio giubilare sul Monte Sinai (24-26 febbraio 2000), luogo in cui Mosè ricevette le tavole dei dieci comandamenti che sancirono l'alleanza tra Dio e l'uomo attraverso "il mistero dell'obbedienza che rende liberi, che trova il suo compimento nell'obbedienza perfetta di Cristo, nell'Incarnazione e sulla croce".
Il viaggio, culminato con la celebrazione al monastero di Santa Caterina sul Monte Sinai del febbraio, è iniziato con la visita a Il Cairo, città in cui il Pontefice ha ricevuto l'accoglienza del presidente Hosni Mubarak e del Grande sceicco Mohammed Sayed Tantawi, massima autorità dell'Islam sunnita. Rivolgendosi a loro, il Papa si è pronunciato contro il fondamentalismo violento, elogiando il presidente egiziano per la politica di pace perseguita. In preparazione di questa visita e della successiva in Terra Santa, il Vaticano aveva accreditato un proprio rappresentante presso la Lega araba e aveva stipulato il 15 febbraio un accordo con l'Olp con cui la Santa Sede poneva le premesse per il futuro riconoscimento dello Stato di Palestina.
Il giorno 25 Giovanni Paolo II ha celebrato una santa messa nel Palazzo dello Sport della capitale egiziana e incontrato nella nuova cattedrale di Nostra Signora d'Egitto i rappresentanti delle comunità copte, caldee, armene, siriache, anglicane ed evangeliche, invocando l'unità delle chiese cristiane.
Meno di un mese dopo, il Santo Padre è partito per la Terra Santa (20-26 marzo 2000), quello che sarà il viaggio più emozionante, difficile e forse più rischioso dei suoi vent'anni di pontificato. Ha visitato i luoghi, sacri e insanguinati, dove da millenni si scontrano Oriente e Occidente, dove cozzano due visioni del mondo, l'Islam e la Cristianità, dove si mescolano tra pace e guerra le tre grandi religioni di Mosè, Cristo e Maometto.
Pochi sembrano capire che il suo è soprattutto un pellegrinaggio mistico, la summa del suo lungo servizio sul trono di Pietro. Ha calcato il suolo dove nacque, predicò, morì il Signore di tutti i cristiani. Ha pregato sul luogo dove Cristo fu annunciato alla Madre, ha visto il fiume del suo battesimo, ha celebrato nella sala della Cena dove fu creata la prima messa, ha pregato sul Sepolcro.

GIOVANNI PAOLO II IN EGITTO SULLE ORME DI MOSÈ

Nel Sinai, dove geografia e storia sono sacre, il Papa arriva la mattina del 26 febbraio. Una mattina dalla luce così tersa da rendere più vicine e maestose le montagne rocciose che circondano le piccole valli aride. La più vicina e imponente è la vetta dell'Horeb (o Montagna di Mosè). Più di tremila e duecento anni fa gli ebrei, guidati da Mosè, si liberarono dalla schiavitù dell'Egitto e vagarono per queste valli e per queste gole. Sull'Horeb Mosè ricevette da "Io sono colui che sono" le tavole dei dieci comandamenti.
Ai piedi della montagna sorge, antico di quindici secoli, il monastero di Santa Caterina, nella cui chiesa è custodita la reliquia del "roveto ardente", primo segno prodigioso della vocazione di Mosè. Nella visita quasi solitaria al monastero e alla sua chiesa, Giovanni Paolo II si avvicina anche alla reliquia del roveto, ma prima si toglie le scarpe, come aveva fatto Mosè, al quale Dio aveva detto: "Togliti i calzari, perché il luogo che calpesti è sacro".
Alle poche centinaia di pellegrini arrivati fin quassù dopo ore di viaggio nella notte, Giovanni Paolo II ha ricordato che la legge "scritta dal dito di Dio" è "la legge della vita e della libertà".
E propone questa sintetica catechesi: "I dieci comandamenti non sono l'imposizione arbitraria di un Signore tirannico". Al contrario, essi "salvano l'uomo dalla forza distruttiva dell'egoismo, dell'odio e della menzogna. Evidenziano tutte le false divinità che lo riducono in schiavitù: l'amore di sé fino all'esclusione di Dio, l'avidità di potere e di piacere che sovverte l'ordine della giustizia e degrada la nostra dignità umana e quella del nostro prossimo". I monaci greco-ortodossi, da secoli custodi del monastero, accolgono premurosi il "Papa di Roma" (in Egitto ci sono anche il Papa copto e quello greco-ortodosso di Alessandria), e il loro abate, l'arcivescovo Damianos, regala all'ospite un paio di quadri, un'icona e vari libri.
Poi, quando incomincia la preghiera, Damianos e i suoi si allontanano. L'arcivescovo-abate più tardi spiegherà: "Non abbiamo piena comunione con i cattolici e quindi non ci è permesso di pregare insieme. L'unità dei cristiani non è impossibile, ma ci vorrebbe un miracolo". Miracolo che Giovanni Paolo II vorrebbe affrettare.
Il giorno prima, nella nuova cattedrale cattolica del Cairo, durante un incontro ecumenico, aveva nuovamente ricordato le preoccupazioni degli altri cristiani sul primato del vescovo di Roma e, come aveva già fatto nell'enciclica Ut unum sint, aveva invitato i responsabili ecclesiali e i loro teologi a instaurare "un dialogo fraterno, paziente, nel quale potremmo ascoltarci al di là di sterili polemiche, avendo a mente soltanto la volontà di Cristo per la sua Chiesa. Riguardo al ministero del vescovo di Roma, chiedo allo Spirito Santo di donarci la sua luce, illuminando tutti i Pastori e i teologi delle nostre Chiese, affinché possiamo cercare insieme le forme nelle quali questo ministero possa realizzare un servizio di amore riconosciuto dagli uni e dagli altri. Cari fratelli, non c'è tempo da perdere al riguardo!".

Il Papa ai copti-ortodossi: "Troviamo modi per incontrarci"

Trattando più strettamente del dialogo tra la Chiesa cattolica e quella copto-ortodossa (circa sei milioni di fedeli in Egitto, poco meno del dieci per cento della popolazione), il Pontefice ha ricordato la Dichiarazione comune tra Paolo VI e il Papa copto Shenouda III nel 1973, quando fu "concordato di evitare qualsiasi forma di proselitismo o metodi e atteggiamenti che sono in antitesi con le esigenze dell'amore cristiano o con ciò che dovrebbe caratterizzare le relazioni tra le Chiese [...]. Non ci conosciamo abbastanza: troviamo modi per incontrarci. Cerchiamo forme adatte di comunione spirituale, come la preghiera unita al digiuno, gli scambi e l'ospitalità reciproci fra monasteri. Troviamo forme di cooperazione pratica, in particolare oggi, in risposta alla sete spirituale di così tante persone, per risollevarle dall'afflizione".
Fretta sì, ma senza ingenuità di fronte agli ostacoli. In Egitto c'è, ad esempio, la questione del secondo battesimo che i copto-ortodossi generalmente esigono dai cristiani che passano alla loro Chiesa. È questione complessa e delicata, che ha a che fare anche con la legge islamica (sharia), applicata ai matrimoni religiosamente misti: per sottrarvisi, i copti esigono la "conversione" del coniuge di diversa religione.
Alla messa celebrata nel Palazzo dello Sport (presenti quasi 20.000 fedeli: e i cattolici in Egitto sono poco più di 200.000), esortando a migliori rapporti tra le Chiese ha affermato: "Un simile clima di dialogo e di avvicinamento contribuirà a trovare soluzioni ai problemi che ostacolano ancora la piena comunione. Favorirà anche il rispetto della sensibilità propria di ogni comunità, come pure del suo modo specifico di esprimere la fede in Cristo e di celebrare i Sacramenti, che le Chiese devono reciprocamente riconoscere come amministrati in nome dello stesso Signore".
La visita del Pontefice a Shenouda III, Papa dei copti, e l'incontro ecumenico nella cattedrale cattolica di Nostra Signora d'Egitto, hanno forse già migliorato il clima delle relazioni tra i cristiani di questo Paese.
Al Cairo il Pontefice ha avuto un caloroso incontro con Mohamed Sayed Tantawi, Grande sceicco di Al-Azhar, la più antica moschea d'Egitto e, insieme, la più antica università islamica e il maggiore centro culturale dell'Islam sunnita. Tantawi e il Papa hanno concordato sull'impegno delle religioni per la pace, la giustizia e la difesa della dignità della persona. Sul Sinai, dove avrebbe voluto un incontro fra cristiani, ebrei e musulmani, il Pontefice ha invitato "al dialogo fra i seguaci delle grandi religioni monoteistiche nel loro servizio alla famiglia umana".
Il papa saluta la folla di fedeli nel monastero greco-ortodosso di Santa Caterina, in Egitto


IN GIORDANIA IL PAPA ESORTA I CRISTIANI A UNA MAGGIORE UNITÀ

Nella "geografia della salvezza", anche la Giordania è Terra Santa. Anche qui le pietre e i paesaggi recano grandi tracce dell'Antico e del Nuovo Testamento, e il Papa pellegrino ha voluto incrociare i suoi passi con le orme di Mosè, sul Monte Nebo, e con quelle di Gesù, sulla riva orientale del Giordano.
Nella Lettera Sul pellegrinaggio ai luoghi legati alla storia della salvezza, Giovanni Paolo II ha scritto: "A conclusione del cammino dell'Esodo, si staglia un'altra altura, il Monte Nebo, da cui Mosè potè guardare la Terra promessa, senza la gioia di toccarla, ma con la certezza di averla ormai raggiunta. Il suo sguardo dal Nebo è il simbolo stesso della speranza".
Il Pontefice arriva sul Nebo il pomeriggio del 20 marzo, il primo giorno del suo viaggio in Terra Santa. La mattina dopo, il Papa incontra le "pietre vive" di questa Terra: i cristiani della piccola Chiesa di Giordania, 70 mila in tutto. Nello stadio della capitale, Amman, lo aspettano in ventimila, compresi duemila ragazzini che faranno la prima comunione (duemila, uno per ogni anno del millennio che si conclude). L'accoglienza è calorosa, travolgente, anche in senso letterale (il servizio d'ordine è subito travolto).
A una Chiesa ricca di differenti riti e tradizioni, il Pontefice domanda maggiore comunione e collaborazione. Prende lo spunto dal Sinodo delle Chiese di Terra Santa, da poco concluso, per esortare: "Il Sinodo ha fatto chiaramente capire che il vostro futuro risiede nell'unità e nella solidarietà. Prego oggi, ed esorto l'intera Chiesa a pregare con me, affinché il lavoro del Sinodo porti a un rafforzamento dei vincoli di amicizia e di collaborazione tra le comunità cattoliche locali in tutta la loro ricca varietà, fra tutte le Chiese cristiane e le comunità ecclesiali, e tra i cristiani e le altre grandi religioni che qui fioriscono. Che le risorse della Chiesa - le famiglie, le parrocchie, le scuole, le associazioni laicali, i movimenti giovanili - pongano l'unità e l'amore come loro obiettivo supremo. Non esiste modo più efficace per partecipare socialmente, professionalmente e politicamente all'opera di giustizia, di riconciliazione e di pace che il Sinodo ha auspicato".
Fin da questa prima tappa del pellegrinaggio il Papa sprona dunque i cattolici a contribuire positivamente alla soluzione dei molti problemi della regione. Problemi puntualmente richiamati dal Pontefice già all'arrivo, sotto la simbolica tenda beduina dove l'aveva accolto il giovane (e già molto popolare) re Abdullah II.
"In quest'area del mondo", aveva detto il Papa, "vi sono grandi e urgenti questioni, concernenti la giustizia, i diritti dei popoli e delle nazioni, che devono essere risolte per il bene di tutti coloro che sono coinvolti e come condizione per una pace duratura. Per quanto difficile, per quanto lungo, il processo di ricerca della pace deve continuare. Senza pace, non vi può essere uno sviluppo autentico per questa regione, né una vita migliore per i suoi popoli, né un futuro più luminoso per i suoi figli".
Parole, queste del Papa, che devono aver dato qualche consolazione alla gioventù cristiana di Giordania che, in una "lettera aperta", aveva espresso a Giovanni Paolo II tutta la sua tristezza per l'insicurezza politica, sociale ed economica della regione.
Giovanni Paolo II ad Amman, in Giordania (21 marzo 2000)


PELLEGRINO DELLA PACE, TESTIMONE DELLA FEDE

Pellegrinaggio biblico, cominciato spiritualmente a Ur dei Caldei (Abramo), proseguito sulle tracce di Mosè (Sinai e Monte Nebo), concluso nei luoghi del Nuovo Testamento. A Betlemme, davanti a una folla modesta (due o tremila persone, mentre se ne aspettavano ventimila), nella piazza della Mangiatoia, sovrastata dalla basilica della Natività e da una grande moschea, il Papa ha detto: "Betlemme è al centro del mio pellegrinaggio giubilare". Da Betlemme (Giudea), il Papa è poi andato in Galilea.
A Korazin, vicino al Lago di Tiberiade, ha celebrato messa sul Monte delle Beatitudini. Lo aspettavano da ore, nel fango, per una bufera di pioggia e vento della notte prima, centomila giovani di tutto il mondo, in maggioranza del Cammino neocatecumenale. "Siamo seduti su questa collina come i primi discepoli e ascoltiamo Gesù", ha detto il Pontefice, che ha sottolineato lo stretto legame tra i dieci comandamenti e le beatitudini.
Più tardi ha visitato, "in privato", il luogo della moltiplicazione dei pani e dei pesci, quello del conferimento del primato a Pietro e, a Cafarnao, la casa di Pietro. Il giorno dopo, il 25 marzo, ancora in Galilea, a Nazareth, con visita alla Grotta dell'Annunciazione e messa nella basilica. Nel saluto al Papa, il patriarca latino Michel Sabbah ha accennato indirettamente alla questione della moschea che un gruppo islamico vuole costruire nella piazza della basilica dell'Annunciazione. "La città di Nazareth ha conosciuto negli ultimi anni momenti difficili, che ancora durano", ha detto Sabbah. "Speriamo che la crisi passi, grazie alla buona volontà di tutte le parti".
Il Vaticano ha chiesto al Governo israeliano di riconsiderare la questione, che sta creando un pessimo clima a Nazareth, fino a qualche anno fa "modello" di convivenza tra cristiani e musulmani. Il Papa non ha accennato al problema. Ha parlato piuttosto della famiglia e ha chiesto a Maria di "insegnarci la via dell'umile e gioiosa obbedienza al Vangelo, nel servizio dei nostri fratelli e delle nostre sorelle, senza preferenze e senza pregiudizi".
Quando se n'è andato, verso mezzogiorno, nel luogo della progettata moschea centinaia di musulmani si sono raccolti per la preghiera. La sera, a Gerusalemme, "visita privata" all'Orto del Getsemani. Il giorno dopo, domenica 26 marzo e ultimo del pellegrinaggio, celebrazione della messa nella chiesa del Santo Sepolcro, l'affascinante e caotico edificio che custodisce il Golgota e il sepolcro di Cristo. Questa tomba, ha detto il Papa, "è una testimone silenziosa dell'evento centrale della storia umana": la resurrezione di Gesù Cristo. "Per quasi duemila anni la tomba vuota ha reso testimonianza della vittoria della vita sulla morte".

Vicino ai fratelli ebrei in ricordo della tragedia della Shoa

Oltre che pellegrinaggio ai luoghi santi e visita pastorale alla Chiesa di Terra Santa, il ° viaggio internazionale di Giovanni Paolo II è stato una prova di dialogo interreligioso. Il Papa ha incontrato innanzitutto gli ebrei, i "fratelli maggiori", come li ha nuovamente chiamati durante la visita ai due rabbini capi d'Israele, l'askenazita Meir Lau e il sefardita Mordechai Baksi-Doron. Il culmine dell'incontro è stato allo Yad Vashem, il monumento alla memoria dell'Olocausto. Il Papa ha ascoltato alcuni canti solenni, lo straziante lamento per gli scomparsi (El Maleh Rachamim, Dio è pieno di misericordia), la lettera d'una madre deportata (e poi uccisa con il figlio) ad Auschwitz, il fiero discorso del primo ministro Ehud Barak. Ha ravvivato la "fiamma eterna" e deposto una corona di fiori davanti all'urna con le ceneri di sei campi di sterminio nazisti.
Quando ha parlato, in pochi secondi ha ripetuto tre volte la parola "silenzio". "Silenzio, perché non vi sono parole abbastanza forti per deplorare la terribile tragedia della Shoah". Aveva forse in mente i negazionisti dell'Olocausto e i rigurgiti neonazisti, quando ha detto: "Qui, come ad Auschwitz e in molti altri luoghi in Europa, siamo sopraffatti dall'eco dei lamenti strazianti di così tante persone. Uomini, donne e bambini gridano a noi dagli abissi dell'orrore che hanno conosciuto. Come possiamo non prestare attenzione al loro grido? Nessuno può dimenticare o ignorare quanto accadde. Nessuno può sminuirne la dimensione. Noi vogliamo ricordare. Vogliamo però ricordare per uno scopo: per assicurare che mai più il male prevarrà, come avvenne per milioni di vittime innocenti del nazismo". Ha anche detto che la Chiesa cattolica "è profondamente rattristata per l'odio, gli atti di persecuzione e le manifestazioni di antisemitismo dirette contro gli ebrei da cristiani in ogni tempo e in ogni luogo". E ha invitato a costruire "un futuro nuovo, nel quale non vi siano più sentimenti antiebraici fra i cristiani e sentimenti anticristiani fra gli ebrei, ma piuttosto il reciproco rispetto richiesto a coloro che adorano l'unico Creatore e Signore e guardano ad Abramo come al comune padre nella fede".

La preghiera che il Papa ha infilato in una fessura tra le pietre

Altro momento eloquente dell'incontro del Pontefice con gli ebrei, è stata la visita, domenica marzo, al Muro occidentale (l'unica reliquia del Tempio di Gerusalemme distrutto nel 70 dopo Cristo dai romani), detto anche Muro del Pianto. Ha recitato in latino il salmo che esprime la felicità del credente israelita nel salire al Tempio del Signore, poi ha sostato per qualche minuto sotto il Muro. Come fanno gli ebrei, prima di andarsene ha lasciato in una fessura, tra le pietre, un biglietto con una preghiera, nella quale si domanda il perdono di Dio per le sofferenze inflitte lungo i secoli al "popolo dell'Alleanza".
Il biglietto, segno della riappacificazione, con firma autografa e sigillo, destinato agli ebrei e al popolo dell'alleanza, reca una delle preghiere recitate nella Giornata del perdono del 12 marzo: "Dio dei nostri padri, tu hai scelto Abramo e i suoi discendenti per portare il tuo Nome fra i popoli. Siamo profondamente rattristati per il comportamento di coloro che nel corso della storia hanno provocato sofferenze a questi tuoi figli e chiedendo il Tuo perdono vogliamo impegnarci in una fratellanza sincera con il popolo dell'Alleanza".
Il Papa inserisce un foglio in una fessura del Muro del Pianto a Gerusalemme


Marzo 2000: il papa in preghiera di fronte al Muro del Pianto a Gerusalemme


L'incontro col Gran Muftì davanti alla moschea

Poco prima, il Pontefice aveva sostato sul piazzale della moschea di Gerusalemme, davanti alla Cupola della Roccia e alla "Al-Aqsa", la moschea "più remota": dopo la Mecca e la Medina, sono i luoghi più sacri ai musulmani.
Mentre il Papa arrivava sul posto, dalla spianata venivano lanciati nel cielo due grappoli di palloncini da cui pendeva la bandiera palestinese. Un gesto "illegale", già anticipato il giorno dell'arrivo del Papa a Gerusalemme, e la polizia israeliana aveva identificato e bandito dalla città (per tutto il tempo della visita Papale) i militanti palestinesi che l'avevano compiuto.
Nel piazzale della moschea, il Pontefice ha incontrato lo sceicco Akram Sabri, Gran Muftì di Gerusalemme e Terra Santa. Il giorno prima, lo sceicco Sabri aveva irritato profondamente le autorità israeliane con delle sgradevoli affermazioni, in senso riduzionista, sull'Olocausto. E tre giorni prima non aveva voluto partecipare all'incontro interreligioso con il Papa e il rabbino capo Meir Lau. In sua vece aveva mandato lo sceicco Tatzir Tamini, presidente del tribunale islamico dei Territori palestinesi.
In questo incontro la corrente del dialogo s'è interrotta. Lau aveva ringraziato il Papa per il riconoscimento dello Stato israeliano e di Gerusalemme quale sua capitale eterna e indivisibile.
Poi è toccato a Tamini ricordare le rivendicazioni palestinesi: uno Stato indipendente con capitale Gerusalemme, ritorno dei profughi nelle loro terre e nelle loro case, liberazione dei resistenti dalle carceri israeliane, eliminazione degli insediamenti ebraici dai territori a maggioranza araba. Forse perché aveva un altro impegno, o forse perché non voleva dare la mano a Lau, lo sceicco Tamini se n'è andato prima della fine dell'incontro.
Meglio è andato l'incontro, a Betlemme, con l'Autorità palestinese (Yasser Arafat e i suoi collaboratori) e con i profughi del Campo di Deheishe. Un Arafat raggiante ha incontrato tre volte il Papa e ha anche assistito alla messa nella piazza della Mangiatoia.
Nel saluto al Pontefice, Arafat ha parlato di "Gerusalemme nostra eterna capitale" e di "Gerusalemme occupata".
Il Pontefice ha ribadito il "diritto naturale" dei palestinesi a una patria e ai profughi (a Deheishe sono oltre diecimila, ma nel vicino Oriente sono più di tre milioni e trecentomila, dispersi tra Giordania, Cisgiordania, Striscia di Ghaza, Libano e Siria) ha detto tutta la sua solidarietà per le privazioni patite. Ha aggiunto, indicando precise responsabilità: "Solo un impegno risoluto da parte dei capi in Medio Oriente e di tutta la comunità internazionale, ispirato da una visione superiore della politica come servizio al bene comune, potrà rimuovere le cause della vostra situazione attuale".
Giovanni Paolo II e il leader palestinese Arafat, nel febbraio 2000


L'ANNO DEL PERDONO

In vista della celebrazione del Giubileo del 2000 la Commissione teologica internazionale ha pubblicato un documento dal titolo Memoria e riconciliazione: la Chiesa e le colpe del passato, frutto di un lavoro svoltosi nel 1998 e nel 1999 per meglio rispondere a quella "purificazione della memoria" invocata nella bolla d'indizione del Giubileo da Giovanni Paolo II.
In tale ottica il 12 marzo si è svolta la storica Giornata del perdono, un vero e proprio "atto di coraggio e di umiltà nel riconoscere le mancanze compiute da quanti hanno portato e portano il nome di cristiani". La solenne cerimonia si è celebrata in San Pietro, dove Giovanni Paolo II ha pronunciato parole forti e inequivocabili, riconoscendo le "infedeltà al Vangelo in cui sono incorsi certi nostri fratelli, specialmente durante il secondo millennio"; il Papa ha confessato le responsabilità dei cristiani per i mali di oggi, e ha così proseguito: "in pari tempo, mentre confessiamo le nostre colpe, perdoniamo le colpe commesse dagli altri nei nostri confronti. [...] come perdonarono le vittime di tali soprusi così perdoniamo noi".
Dopo l'omelia, sette cardinali capi-dicastero hanno letto, una ciascuno, un'invocazione di perdono, seguita dal Kyrie eleison dell'assemblea e a dall'accensione di sette candelabri. La prima richiesta rappresenta una confessione generale dei peccati, un invito alla preghiera per un'autentica purificazione della memoria, perché simili errori non vengano "mai più" commessi; seguono quindi le sei confessioni: 1) per le colpe nel servizio della verità (guerre di religione, Crociate, Inquisizione); 2) per i peccati che hanno compromesso l'unità del corpo di Cristo (scomuniche, scismi, divisioni); 3) per le colpe nei rapporti con Israele (silenzio e ostilità); 4) per le colpe contro l'amore, la pace, i diritti dei popoli, il rispetto delle culture e delle religioni (orgoglio razziale, volontà di dominio, inimicizia verso gli aderenti ad altre religioni); 5) per i peccati che hanno offeso la dignità della donna e l'unità del genere umano (umiliazione, emarginazione); 6) per i peccati verso i diritti fondamentali della persona (disprezzo dei poveri e degli ultimi, aborto, abusi della bio-tecnologia).
Nella cerimonia sette cardinali pronunciano per sette volte la richiesta di perdono, accendendo ogni volta una lampada; il Pontefice sotto le volte della basilica scandisce parole mai pronunciate prima: "dinanzi all'ateismo, all'indifferenza religiosa, al secolarismo, al relativismo etico, alle violazioni del diritto alla vita, al disinteresse verso la povertà di molti Paesi, non possiamo non chiederci quali siano le nostre responsabilità [...]. In pari tempo, mentre confessiamo le nostre colpe, perdoniamo le colpe commesse dagli altri nei nostri confronti". E tra queste come non ricordare il martirio di tanti cristiani che nel corso del Novecento hanno pagato con sangue la fedeltà al messaggio di Cristo; in una solenne celebrazione ecumenica la Chiesa che Giovanni Paolo II ha guidato nel III° millennio li ricorda al Colosseo, luogo simbolo del sacrificio dei primi martiri.
Un’immagine del Santo Padre


LA PROFEZIA DI FATIMA: IL TERZO SEGRETO SVELATO

Il 12-13 2000 maggio Giovanni Paolo II si è infine recato a Fatima, dove ha proceduto alla beatificazione dei venerabili Giacinta (1910-1920) e Francesco Marto (1908-1919), presso il santuario di Nostra Signora di Fatima. Durante l'omelia di beatificazione, il Pontefice ha rinnovato il proprio tributo alla bontà del Signore allorché, il 13 maggio 1981, lo salvò dall'attentato di piazza San Pietro.
In occasione del Giubileo del 2000, il Pontefice ha deliberato di rendere nota la terza parte del segreto rivelato ai tre pastorelli di Fatima il 13 luglio del 1917. La prima e seconda parte del segreto vennero già pubblicati in passato e riguardavano rispettivamente la visione dell'Inferno, la devozione al Cuore immacolato di Maria, il secondo conflitto mondiale, e la previsione dei danni che la Russia, nel suo ateismo e nell'adesione al totalitarismo comunista, avrebbe arrecato all'umanità. L'ultima parte venne scritta da suor Lucia, unica superstite dei tre pastorelli, su invito del vescovo di Leira il 3 maggio 1944; nel 1959 venne portata a conoscenza di Papa Giovanni XXIII che decise di non divulgarla; analoga decisione assunse il successore Paolo VI nel 1965. Giovanni Paolo II richiese la busta del terzo segreto, conservata presso l'archivio del Sant'Uffizio, all'indomani dell'attentato del 13 maggio 1981 e, pur rinunciando a svelarlo, il Pontefice ne trasse ispirazione per l'atto di consacrazione del mondo al Cuore immacolato di Maria che si tenne il 7 giugno 1981, rinnovato a Fatima il 13 maggio 1982.
Ecco le parole di suor Lucia divulgate il 26 giugno 2000: "Dopo le due parti che già ho esposto, abbiamo visto al lato sinistro di Nostra Signora un poco più in alto un Angelo con una spada di fuoco nella mano sinistra; scintillando emetteva fiamme che sembrava dovessero incendiare il mondo; ma si spegnevano al contatto dello splendore che Nostra Signora emanava dalla sua mano destra verso di lui: l'Angelo indicando la terra con la mano destra, con voce forte disse: Penitenza, Penitenza, Penitenza! e vedemmo in una luce immensa che è Dio: "Qualcosa di simile a come si vedono le persone in uno specchio quando vi passano davanti" un vescovo vestito di bianco "abbiamo avuto il presentimento che fosse il Santo Padre". Vari altri vescovi, sacerdoti, religiosi e religiose salire una montagna ripida, in cima alla quale c'era una grande Croce di tronchi grezzi come se fosse di sughero con la corteccia; il Santo Padre, prima di arrivarvi, attraversò una grande città mezza in rovina e mezzo tremulo con passo vacillante, afflitto di dolore e di pena, pregava per le anime dei cadaveri che incontrava nel suo cammino; giunto alla cima del monte, prostrato in ginocchio ai piedi della grande Croce venne ucciso da un gruppo di soldati che gli spararono vari colpi di arma da fuoco e frecce, e allo stesso modo morirono gli uni dopo gli altri i vescovi sacerdoti, religiosi e religiose e varie persone secolari, uomini e donne di varie classi e posizioni. Sotto i due bracci della Croce c'erano due Angeli ognuno con un innaffiatoio di cristallo nella mano, nei quali raccoglievano il sangue dei Martiri e con esso irrigavano le anime che si avvicinavano a Dio."
I due papi a cui il segreto venne comunicato non lo resero noto perché in quel momento storico il messaggio non sarebbe stato compreso; in realtà il valore del "terzo segreto" non risiede tanto nella sua valenza profetica, che l'avrebbe reso incomprensibile allora e superfluo adesso, quanto nell'esortazione alla preghiera come via per la salvezza delle anime e nel richiamo alla penitenza e alla conversione. In questo senso anche il "segreto" di Fatima trova una sua collocazione nel messaggio del Giubileo.
Il papa in preghiera nel santuario di Nostra Signora di Fatima, il 12 maggio 2000


BUON COMPLEANNO SANTITÀ: IL PAPA COMPIE OTTANT'ANNI

Nel 1994 la rivista Time di New York lo ha eletto uomo dell'anno: "le idee di Giovanni Paolo II", era la motivazione, "sono molto diverse da quelle della maggior parte dei mortali. Sono più grandi". Ora, quest'uomo sedotto da Dio, adescato da Dio, quindi fortissimamente saldo nello spirito, rivela invece i segni della fragilità fisica e raggiunge, il 18 maggio, il traguardo degli ottant'anni. Senza dubbio, Karol Wojtyla non offre più l'immagine fisicamente robusta del primo Pontefice venuto dall'Est, del "montanaro di Wadowice", come lo chiamava il cardinale Wyszynski, dell'"atleta di Dio", come lo hanno proclamato al velodromo dei Principi a Parigi, del "Papa Superstar", come lo acclamavano a New York, del "Trotamundo de la paz", come lo vedevano in America Latina.
Il tempo scorre anche su questo pontificato. Wojtyla ha cominciato a essere visto come "il vecchio Papa", "il vecchio Pontefice". Eppure, al di là della fragilità del corpo, al di là della stessa età, non si riesce a vedere il "vecchio Papa" Wojtyla. Non si vede l'uomo che nei palazzi apostolici si ripiega sulla propria senilità, rassegnato a lasciare che il mondo si culli nella sua falsa pace di coscienza, a non scuoterlo più, questo mondo, nel quale, egli ha detto, "il volto di Dio si è offuscato ed è diventato per molti uomini irriconoscibile".
Certamente oggi non può più mettersi per le strade del mondo così spesso e così forsennatamente come prima. Ma c'è anche un andare che non è solo fisico. La strada che Wojtyla ha cominciato a percorrere fin dal suo primo giorno di pontificato è ancora quella: la strada che lo porta con passione a volere rendere evidente sulla terra il volto di Cristo e il volto della Chiesa, a proclamare quella che egli vede come la "verità della legge divina" anche a costo di irritare il mondo laico, di arrecare dispiaceri a certi settori irrequieti della Chiesa.
In fondo il suo mestiere di Papa appare ancora quello dei primi momenti di pontificato, quando gridava: "Aprite le porte a Cristo, anzi spalancate!". Senza dubbio, non è più il "montanaro di Wadowice", avrà il volto stanco, apparirà con la mano tremante, camminerà appoggiato a un bastone, potrà anche essere un "vecchio Papa" per l'età, ma non è certamente un Papa vecchio.
È un Papa che si affanna ancora per la salvezza del mondo, per toglierlo dall'egoismo, dall'edonismo, dalle voglie di guerra. Se le spalle gli si curvano è forse anche perché sono tutti questi pesi, la croce, da cui è gravato. E così, anche ora, continua a camminare. In questo ultimo anno ha camminato fino al Sinai: sul monte dove Mosè si è prostrato in adorazione davanti al roveto ardente, dal quale è uscita la voce di Dio e al condottiero di Israele sono state consegnate dal Signore le tavole dei Comandamenti.
"Wojtyla il nuovo Mosè!", è stato scritto da qualcuno. L'immagine è sorta forse perché, come Mosè ha radunato il popolo ebraico per attraversare il Mar Rosso e portarlo alla Terra promessa, così si può vedere Wojtyla preso dal grande compito di radunare la Chiesa, condurla al di là di questo secolo e lanciarla nel terzo millennio del cristianesimo: nuovo Mosè che vuol far ritrovare la Terra promessa agli uomini che sono in fuga da Dio e da Cristo, farli ridiventare "Popolo di Dio".

PUTIN IN UDIENZA DAL PAPA SPIEGA PERCHÉ IL VIAGGIO A MOSCA È ANCORA RINVIATO

La celebrazione liturgica del 1° gennaio nella basilica vaticana è stata allietata dal coro russo ortodosso Iubilaeum di Mosca, venuto a Roma appositamente per la circostanza con la benedizione di Alessio II, patriarca di Mosca e di tutte le Russie.
La gentilezza è stata particolarmente gradita da Giovanni Paolo II e la stampa vi ha subito visto un segnale di buon auspicio per una possibile visita del Papa in Russia.
La visita in Italia del presidente russo Vladimir Putin, avvenuta il 5 giugno, ha ridestato l'aspettativa di un invito al Papa per visitare Mosca, puntualmente smentita per il mancato consenso della Chiesa ortodossa russa.
Putin ha spiegato lui stesso le ragioni del mancato gesto: "Non sono in dubbio i rapporti interstatali tra la Russia e la Santa Sede, che sono eccellenti e saranno sviluppati. Ma non si può ignorare che vi è un dialogo in corso tra la Chiesa cattolica e la Chiesa ortodossa. È questo l'ostacolo che impedisce la visita del Papa. Potreste voi immaginare che Giovanni Paolo II venga a Mosca senza incontrarsi con Alessio II? A cosa servirebbe una visita del genere?". Ma, ha proseguito Putin, una volta superate le divergenze patriarcato-Vaticano, "non appena il Papa deciderà di visitare la Russia e di incontrarsi con il patriarca, farò tutto il possibile perché la visita abbia luogo".
Scultoreo il commento da Mosca di Vsievolod Chaplin, esponente del patriarcato: "Trattenersi dall'invitare Giovanni Paolo II è stato il frutto di un approccio saggio e bilanciato da parte del presidente Putin".
Anche se all'interno del Sinodo vi sono opinioni variegate anche sui rapporti con Roma, oggi prevale la tesi di quanti sostengono che, complessivamente, la linea di Wojtyla verso la Chiesa russa è inaccettabile.
Il patriarcato rimprovera al Papa di aver istituito una rete di amministratori apostolici (due nella Russia europea, due in Siberia) che, a suo giudizio, ha dato alla minoranza cattolica una strutturazione esorbitante rispetto al numero dei fedeli (un milione).
E, ancora, si sostiene che in molti casi, con o senza il consenso del Vaticano, molti religiosi cattolici esercitano un sottile proselitismo. E, infine, il grande nodo irrisolto rimane quello degli "uniati" in Ucraina. Il Vaticano ha replicato a ciascuna di queste accuse; ma le sue spiegazioni non hanno, finora, convinto il Santo Sinodo e alessio II.
La stretta di mano fra Giovanni Paolo II e Vladimir Putin (Vaticano, 5 giugno 2000)


DOPO IL PERDONO DEL PAPA ALÌ AGCA OTTIENE LA GRAZIA DELLO STATO

Il 13 giugno 2000 è stata concessa la grazia ad Alì Agca da parte del presidente della Repubblica Azeglio Ciampi.
Nei giorni precedenti, prima di avanzare la proposta ufficiale di grazia, il ministro della Giustizia, Fassino, aveva chiesto alla Santa Sede se non avesse obiezioni da fare di fronte all'atto di clemenza. Questa concessione della grazia avviene in pieno Anno Santo, tempo di "pace e riconciliazione" e assume quindi un carattere emblematico, alla vigilia della visita giubilare del Papa al carcere di Regina Coeli (11 luglio) e mentre la Chiesa italiana è impegnata nella richiesta di una amnistia e di misure di clemenza e nella soluzione di problemi strutturali delle carceri.
Giovanni Paolo II aveva concesso il suo perdono all'attentatore già nel primo Angelus recitato all'ospedale Gemelli, dove era stato ricoverato dopo l'attentato la sera del 13 maggio 1981. Rinnovò quel perdono nella famosa visita a Rebibbia, quando poté parlare direttamente con Agca; e quando a più riprese ricevette in Vaticano la madre ed il fratello dell'attentatore.
Più volte in questi diciannove anni di carcere Alì Agca aveva sollecitato un intervento diretto del Papa e della Santa Sede presso le autorità italiane per l'atto di grazia. Le fonti vaticane avevano sempre risposto che "il perdono era stato concesso" ma nessuna interferenza poteva fare il Vaticano sul decorso della giustizia: solo le autorità italiane potevano prendere decisioni.
Nella domanda di grazia presentata da Agca nell'agosto del 1996 si leggeva che egli era "veramente pentito per l'attentato e che il suo gesto, esclusivamente individuale, era stato posto in essere in un periodo di sua grande esaltazione politica e religiosa, in cui era spinto da ansia di protagonismo e sensazionalismo".
E anche ciò è risultato alla Santa Sede se, interpellata per via diplomatica dal ministro Fassino, ha dato parere favorevole alla grazia.
Il Papa aveva di recente rinnovato allo Stato italiano il suo desiderio di veder graziato il suo attentatore.

IL PAPA CONTRO IL GAY PRIDE

Durante l'Angelus del 9 luglio 2000 il Santo Padre è intervenuto sulla manifestazione degli omosessuali che ha portato in piazza 200 mila persone.
"Un accenno - ha esordito Wojtyla affacciandosi alla finestra del suo studio privato per la tradizionale recita domenicale - ritengo di dover fare alle ben note manifestazioni che a Roma si sono svolte nei giorni scorsi. A nome della Chiesa di Roma non si può non provare amarezza per l'affronto recato ai sentimenti cristiani e per l'offesa al grande Giubileo dell'anno 2000 avvenuta ieri qui a Roma, in una città tanto cara al cuore dei cattolici".
È stato un intervento solenne, di fronte ad almeno 30 mila persone, nel quale il Gay Pride non è stato espressamente nominato, ma il riferimento è stato chiarissimo.
"La Chiesa - ha ripreso il Papa - non può tacere la verità, perché verrebbe meno alla fedeltà verso Dio Creatore e non aiuterebbe a discernere ciò che è bene da ciò che è male".

IL GIUBILEO DEI CARCERATI

Il Papa chiede ai Governi di tutto il mondo, nel messaggio per il Giubileo nelle carceri, il 9 luglio, "un segno di clemenza, una riduzione, pur modesta, della pena a vantaggio di tutti i detenuti". Il Giubileo "è un'opportunità di riflessione offerta ai detenuti circa la loro condizione, altrettanto può dirsi per l'intera società civile [...] per le autorità preposte a conservare l'ordine pubblico e [...] per i giuristi chiamati a riflettere sul senso della pena". Invita a "un mutamento di mentalità".
I carcerati, scrive, "reclamano soprattutto un adeguamento delle strutture carcerarie e a volte anche una revisione della legislazione penale". Karol Wojtyla spiega che in molti Paesi le "condizioni di vita sono assai precarie, per non dire indegne dell'essere umano". I problemi che il carcere crea, continua il Papa, "sembrano maggiori di quelli che tenta di risolvere". I Governi che prevedono "un maggior ricorso alle pene non detentive" vanno incoraggiati, e chiede un "accompagnamento psicologico per i detenuti e attività lavorative capaci di sottrarli all'immiserimento dell'ozio".

IL GIUBILEO DEI GIOVANI

Dal 15 al 20 agosto 2000 si è svolto a Roma il Giubileo dei giovani, culminante nella XV Giornata mondiale della gioventù richiamata il 20 agosto nella spianata di Tor Vergata. Un'imponente folla di circa due milioni di ragazzi e ragazze provenienti da tutto il mondo si è riunita per accogliere il Papa sotto un crocifisso alto 37 metri, dodici porte a evocare la Gerusalemme del Cielo, dodici colonne per ricordare gli apostoli, cardini della Chiesa.
Due milioni di lampade in terracotta si sono accese, giovani testimoni di specifiche vocazioni hanno aiutato con le meditazioni a comprendere come la fede vada vissuta nella vita, con il coinvolgimento totale dell'esistenza di ognuno.
Consapevoli del dono ricevuto, un unico coro di voci ha abbracciato il Santo Padre per l'incontro autentico e personale di ognuno con Cristo. E Giovanni Paolo II ha cantato e pregato con loro, lasciandosi trascinare dal loro entusiasmo, infondendo ai giovani parte della sua forza che lo rende testimone instancabile del messaggio del Vangelo.
Un momento della celebrazione eucaristica durante il Giubileo dei giovani


MARIA FAUSTYNA KOWALSKA: UNA VITA PER IL BENE DELLA POLONIA

"Dio ci ha parlato attraverso la ricchezza spirituale della beata Suor Faustyna Kowalska. Ella ha lasciato al mondo il grande messaggio della misericordia e l'invito a un completo affidamento al Creatore" ha detto Giovanni Paolo II subito dopo la beatificazione, avvenuta il aprile.
Elena Kowalska, terza di dieci figli, nacque il 25 agosto 1905 nel villaggio di Grogowiec da Stanislao e Marianna Kowalska. Fin dal settimo anno di vita avvertiva nella sua anima la vocazione religiosa, ma non avendo il consenso dei genitori per entrare in convento cercava di sopprimerla. Sollecitata poi da una visione di Cristo sofferente partì per Varsavia ed entrò nel convento delle Suore della Beata Vergine Maria della Misericordia.
Col nome di Suor Maria Faustyna trascorse in convento tredici anni in diverse case della Congregazione, soprattutto a Cracovia, Vilnius e Prock. Nel convento conduceva una vita riservata e silenziosa, piena di lavoro, di preghiera e di sacrificio nell'intenzione della redenzione dei peccatori. Ricevette molti doni soprannaturali, come le rivelazioni, le visioni, il dono delle stigmate e dell'ubiquità, della capacità di scrutare le anime umane e della profezia, nonché il dono raro del fidanzamento e dello sposalizio mistico.
I grandi doni venivano accompagnati da grandi sofferenze. Suor Faustyna era malata di tubercolosi, diagnosticata dai medici soltanto in uno stadio molto avanzato, quando la malattia aveva già compromesso i polmoni e l'apparato digerente. Dovette sopportare sofferenze ancora più grandi di quelle della malattia a causa dei sacrifici volontari affrontati per la salvezza dei peccatori.
Distrutta dalla malattia e dalle sofferenze spirituali ma in piena unione con Dio, morì il ottobre 1938 a soli 33 anni.
All'alba del terzo millennio suor Faustyna è divenuta la guida nella conoscenza della misericordia divina e maestra nell'insegnare il modo di tradurre questo culto nella vita di ogni giorno. La sua missione non è terminata con la sua morte. Ha superato velocemente i muri del convento in cui visse, si è diffusa nel mondo e, come le onde della radio, ha raggiunto tutti i continenti.

L'ATTESA BEATIFICAZIONE DI GIOVANNI XXIII, IL "PAPA BUONO"

Il 3 settembre 2000 in una piazza San Pietro gremita di fedeli, Papa Wojtyla inizia la lettura in latino della formula di beatificazione: "Facultatem facimus ut Beatorum nomine in posterum appellentur", diamo facoltà che d'ora in poi siano chiamati beati.
Ed è qui che Giovanni Paolo II s'interrompe. Alza lo sguardo e guarda la piazza. Le mani si spellano quando cita il venerabile servo di Dio Ioannes XXIII. Non era mai accaduto che la folla interrompesse la lettura della formula.
Angelo Giuseppe Roncalli (1881-1963) divenne Papa nel 1958, dopo un periodo (1925-52) di incarichi diplomatici in diversi Paesi europei (Bulgaria, Grecia, Turchia, Francia). L'atto più significativo del suo pontificato fu l'indizione del Concilio Vaticano II (1959) in cui organizzò la dottrina tradizionale in modo più conforme alla sensibilità moderna. "La ventata di novità da lui portata - dice Papa Wojtyla - non riguardava certamente la dottrina, ma piuttosto il modo di esporla"; il Concilio fu "un'intuizione profetica [...] che inaugurò, pur tra non poche difficoltà, una stagione di speranza per i cristiani e per l'umanità".
Papa Wojtyla ha per Giovanni XXIII parole calorose. "Rimane nel mondo", afferma, "l'immagine di un volto sorridente e di due braccia spalancate in un abbraccio al mondo intero" e a questa frase tutta la folla, abbracciata dal colonnato del Bernini, reagisce con uno scroscio di applausi intensi ed emozionati. Quante persone, prosegue Giovanni Paolo II, sono state conquistate dalla "semplicità del suo animo congiunta a un'ampia esperienza di uomini e di cose". Di Roncalli Papa Wojtyla elogia la ventata di novità, che - si affretta a precisare - non riguardava la dottrina bensì il modo di esplorarla: il nuovo stile di parlare e di agire, la nuova carica di simpatia con cui avvicinava la gente comune, lo spirito con cui aprì "una nuova pagina nella storia della Chiesa", il Concilio Vaticano II.

LA BEATIFICAZIONE DI PIO IX, UN PAPA DALLE EROICHE VIRTÙ E DAI DIFETTI UMANI

Nell'omelia per la beatificazione di Pio IX (3 settembre 2000) il Papa si è mostrato fedelissimo alle leggi della storia e alla realtà dei fatti: "È stato molto amato, ma anche odiato e calunniato". Soprattutto ha riconfermato la regola aurea delle canonizzazioni: "La santità vive nella storia e ogni santo non è sottratto ai limiti propri della nostra umanità. Beatificando un suo figlio la Chiesa non celebra particolari opzioni storiche da lui compiute, ma piuttosto lo addita all'imitazione e alla venerazione per le sue virtù, a lode della grazia divina che in esse risplende".
Giovanni Maria Mastai Ferretti (1792-1878) nacque da una famiglia della nobiltà marchigiana divenendo Papa nel 1846. Il suo lungo pontificato si distinse per numerose importanti iniziative, fra cui l'affermazione dei dogmi dell'Immacolata concezione (1854), dell'infallibilità pontificia (1869, durante il Concilio Vaticano I), per la proclamazione di san Giuseppe patrono della Chiesa universale (1870) e per la consacrazione della Chiesa al Sacro Cuore di Gesù (1875).
Pio IX rappresenta una controversa figura politica, essendo l'ultimo Pontefice ad avere esercitato un effettivo potere temporale. Subito dopo la sua elezione tentò di intraprendere un'opera di modernizzazione dello Stato Pontificio, con l'avvio della rete ferroviaria e un programma di riforme civili, che contemplavano la libertà di stampa, l'amnistia per i reati politici, la concessione di alcune libertà agli ebrei e l'emissione di uno statuto.
Costretto dagli eventi storici a impegnarsi nella lotta, che si sarebbe rivelata vana, per la sopravvivenza stessa del suo regno, seppe mantenere una grande fiducia nella provvidenza divina, l'unica in grado di sanare le insufficienze e i difetti dell'uomo. Nell'omelia di beatificazione, giunta al termine di un processo avviato nel 1907, Giovanni Paolo II ha parlato del nuovo beato come un "esempio di incondizionata adesione al deposito immutabile delle verità rivelate [...] che seppe sempre dare il primato assoluto a Dio e ai valori spirituali".

6 GENNAIO 2001: SI CHIUDE L'ANNO SANTO

Il grande Giubileo del Duemila si è concluso ufficialmente a Roma il 6 gennaio, festa dell'Epifania.
In questo giorno Giovanni Paolo II, coperto da un piviale color oro, si è avvicinato, a passi lenti e incerti, alla Porta santa della basilica di San Pietro. In silenzio ha tirato a sé i battenti della monumentale porta e l'ha chiusa. Il Pontefice ha voluto subito spiegare: "Mentre oggi si chiude, con la Porta santa, un simbolo di Cristo, resta più che mai aperto il Cuore di Cristo".
Nell'omelia della celebrazione eucaristica, il Papa ha insistito sulla centralità di Cristo anche alla fine di un anno che, statistiche alla mano (più di 25 milioni di pellegrini a Roma, oltre 8 milioni alle udienze papali, senza parlare dei "contatti" nelle innumerevoli telecronache giubilari), poteva facilitare più d'una tentazione di trionfalismo ecclesiastico. "La Chiesa non vive per se stessa, ma per Cristo", ha ricordato il Pontefice, subito sottolineando che nella gioia dei numerosi incontri romani non poteva esserci "nessun vuoto trionfalismo" e nessuna "auto-esaltazione".
Alla fine della messa, Giovanni Paolo II ha firmato la Lettera apostolica Novo millennio ineunte (All'inizio del nuovo millennio). Il documento, di circa 80 pagine, è insieme un bilancio del Giubileo e un programma pastorale per la Chiesa nei prossimi anni.
Delineati i momenti più significativi dell'Anno Santo trascorso, considerato un appuntamento provvidenziale in cui la Chiesa è stata "invitata a interrogarsi sul suo rinnovamento per assumere con nuovo slancio la sua missione evangelizzatrice", Giovanni Paolo II ha voluto fornire un orientamento a tutta la cristianità in vista delle sfide che attendono l'umanità intera.
Ricordati dunque i momenti chiave del Giubileo e il significato che essi devono rivestire, il Papa ha invitato la comunità dei fedeli a "prendere il largo", secondo l'invito di Cristo a Pietro, perché "ciò che abbiamo fatto non può giustificare una sensazione di appagamento e ancor meno indurci a un atteggiamento di disimpegno".
Si tratta, insomma, di ripartire da Cristo attenendosi a un "programma" rivelato dall'anno di Grazia appena trascorso, per raggiungere alcune mete identificate nella santità, nella preghiera in cui si sviluppa un dialogo con Cristo che rende a lui intimi, nell'eucaristia che può diventare l'antidoto più naturale alla dispersione, nel sacramento della riconciliazione, nell'impegno ecumenico verso le Chiese d'Oriente e con le comunità anglicane e riformate in particolare, senza mai dimenticare quelle che il Vaticano mostra quali sfide odierne: il dissesto ecologico, i problemi della pace, il vilipendio dei diritti umani fondamentali.
Proprio su quest'ultimo tema il messaggio della Santa Sede diventa pressante quando ricorda l'impegno per il rispetto della vita di ciascun essere umano "dal concepimento fino al suo naturale tramonto".

IL 2001 SI APRE CON IL DIALOGO CON LE ALTRE RELIGIONI

L'impegno di Giovanni Paolo II per tessere le fila del dialogo ecumenico è stato anche per il molto intenso e, ad accrescere la gioia della comunità cristiana, ha contribuito la coincidenza cronologica della Pasqua, festeggiata lo stesso giorno da cattolici, ortodossi e protestanti; già nel messaggio per la celebrazione della Giornata mondiale della pace (1° gennaio) veniva evidenziata la necessità di un dialogo tra le culture che "porta a riconoscere la ricchezza della diversità e dispone gli animi alla reciproca accettazione". Dal 9 al 10 febbraio, per la prima volta dopo la Riforma, si è così tenuto un incontro cui hanno partecipato cattolici, luterani e riformati sul tema delle indulgenze per giungere a una migliore comprensione reciproca. Nonostante non si sia pervenuti a nessuna soluzione concreta, la riunione ha rappresentato un passo significativo, preludio alla firma della Carta ecumenica di Strasburgo (22 aprile), varata nell'ambito dell'incontro ecumenico europeo organizzato dal Consiglio delle Conferenze episcopali europee e dalla Conferenza delle Chiese europee. Il documento contiene tra i paragrafi, un invito a curare le relazioni con l'Islam e ad approfondire la comunione con l'Ebraismo.
Pari impegno sulla strada del dialogo pare assunto da alcuni esponenti della Chiesa ortodossa, quale il patriarca di Costantinopoli Bartolomeo I che durante il viaggio penitenziale in Calabria (23 marzo) dichiarava la propria gioia per la prossima visita in Grecia del Pontefice e auspicava un contributo al dialogo e allo spirito di fraternità tra le due comunità.

LA DIFESA DELLA VITA E IL VALORE DELLA PERSONA FULCRO DEL DISCORSO DEL PAPA ALLA SACRA ROTA

Sulla vita e sulla famiglia in particolare ritorna il discorso del Pontefice ai membri del tribunale della Rota romana pronunciato il 1° febbraio, denunciando "un'invadente cultura individualistica" mirante "a confinare il matrimonio e la famiglia nel mondo del privato"; ricompare la denuncia dei tentativi di presentare le unioni di fatto, incluse quelle omosessuali, equiparabili al sacramento del matrimonio del quale viene quindi negato il carattere naturale.
E ancora, nel discorso ai partecipanti al meeting internazionale degli ostetrici e ginecologi cattolici (18 giugno 2000), Giovanni Paolo II evidenzia le minacce sferrate al dono della vita (rappresentate dalla disponibilità di sostanze contraccettive e abortive, da elementi della legislazione di alcuni Paesi, da alcune applicazioni della diagnosi prenatale, dalla diffusione delle tecniche di fertilizzazione in vitro, dalla produzione di embrioni utilizzati nella ricerca scientifica e nella lotta alla sterilità, dall'uso di cellule staminali embrionali e dai progetti di clonazione), invitando i cristiani "a non prestare la loro collaborazione formale a quelle pratiche che, pur ammesse dalla legislazione civile, sono in contrasto con la legge di Dio" nella convinzione che "senza una cultura che mantenga saldo il diritto alla vita e promuova i valori fondamentali di ogni persona, non si può avere una società sana né la garanzia della pace e della giustizia".

IL PONTEFICE TORNA SUL TEMA DELLA FAMIGLIA: "È IL CENTRO DI TUTTE LE DIMENSIONI DELLA VITA UMANA E SOCIALE"

Ancora sul tema della famiglia, in occasione dei 20 anni dell'Esortazione apostolica Familiaris consortio, sono imperniati alcuni momenti della sessione primaverile del Consiglio permanente della Conferenza episcopale italiana (26-29 marzo) e il convegno nazionale promosso dalla stessa Cei dal titolo "Famiglia soggetto sociale. Radici, sfide, progetti" tenutosi a Roma dal 18 al 20 ottobre 2000.
Il Pontefice ha dichiarato come sia indispensabile "dare una svolta alla situazione sociale, che anche in Italia non vede ancora pienamente attuato un progetto coerente sul fronte delle politiche familiari, spesso evocate ma non sempre attuate. È necessario soprattutto passare da una considerazione della famiglia come settore a una visione della famiglia come criterio di misura di tutta l'azione politica, perché al bene della famiglia sono correlate tutte le dimensioni della vita umana e sociale" (dal messaggio del Santo Padre al presidente della Cei a vent'anni dalla Familiaris consortio, 15 ottobre).
Degno di menzione risulta pure il Sinodo vescovile che ha emanato un Istrumentum laboris dal titolo significativo, "Il vescovo servitore del Vangelo di Gesù Cristo per la speranza del mondo": in esso viene tracciata un'immagine della situazione mondiale con le sue mancanze e potenzialità e viene inoltre espressa preoccupazione per quella che viene definita "una tranquilla e silenziosa apostasia delle masse dalla prassi ecclesiale".
Nel testo vengono inoltre ripresi i temi etici (crisi della famiglia e sua stabilità) e le situazioni ecclesiali emergenti, quali quelle legate ai territori a lungo rimasti sotto regimi totalitari e le difficoltà di un dialogo fraterno con le altre Chiese, in particolare quelle ortodosse, che delineano una situazione religiosa molto complessa e che "non rende facile la missione della Chiesa".

SULLE ORME DI SAN PAOLO APOSTOLO

Nella Lettera sul pellegrinaggio ai luoghi legati alla storia della salvezza, resa pubblica nel maggio 1999, Giovanni Paolo II tracciava l'itinerario che doveva portarlo sulle orme dell'apostolo Paolo.
Così il viaggio del Papa in Grecia, Siria e Malta, avvenuto tra il 4 e il 9 maggio 2000, non è stato iscritto come visita apostolica, ma quale pellegrinaggio, in ideale continuità con quelli compiuti nell'anno del Giubileo.
Giunto ad Atene il 4 maggio e ricevuto il saluto del ministro degli Esteri George Papandreu, il Pontefice si è recato in visita a sua beatitudine Christódoulos, arcivescovo di Atene e di tutta la Grecia; insieme i due religiosi si sono spostati all'Areopago di Atene per il momento forse più atteso di tutta la visita: la lettura della Dichiarazione congiunta sulle radici cristiane dell'Europa, in cui è stato condannato ogni ricorso alla violenza, al proselitismo, al fanatismo in nome della religione ed è stata sottolineata la necessità di agire insieme "perché siano conservate inviolate le radici e l'anima cristiana dell'Europa".
Di fronte al presidente Stephanopoulos, al premier Simitis e a diversi ministri, sua beatitudine aveva inoltre espresso a Karol Wojtyla una serie di critiche e denunce (colpe dei crociati, questione degli uniati, ossia gli orientali passati alla Chiesa cattolica) formulando alcune richieste, quali l'accoglienza nell'Ue dei Paesi baltici e slavi.
Il Pontefice ha ascoltato in silenzio, invocando quindi il perdono del Signore per le violenze compiute nei secoli dai cattolici a danno degli ortodossi e per il disastroso sacco di Costantinopoli, operato nel 1204 dai crociati, già scomunicati del resto da Innocenzo III; il Papa ha però invitato le comunità cristiane a mirare a una comunione piena "che non è né assorbimento né fusione", rispondendo così in parte all'arcivescovo di Atene che era stato fortemente criticato da esponenti della Chiesa ortodossa per la disponibilità ad accogliere Giovanni Paolo II, ma che ha potuto infine affermare come grazie a questa visita "i rapporti tra le due Chiese entrano in una nuova epoca".
Atene, 4 maggio 2001: il papa con l’arcivescovo Christódoulos, leader della Chiesa ortodossa greca


A DAMASCO IL PAPA LANCIA LA SUPPLICA PER IL RISPETTO TRA MUSULMANI, CRISTIANI ED EBREI

Il 5 maggio 2000 Giovanni Paolo II è atterrato in Siria, all'aeroporto internazionale di Damasco, dove ha ricevuto il saluto del presidente Bashar el Assad, che ha espresso poco diplomaticamente il proprio pensiero lasciandosi trascinare ad accenni antigiudaici; il Pontefice si è quindi avviato alla cattedrale greco-ortodossa della Dormizione della Vergine, per un incontro ecumenico nel quale ha elogiato l'ospitalità offerta dalla popolazione siriana alle comunità armene, caldee e assire costrette a lasciare le proprie terre dinanzi alla violenza e alla persecuzione.
Il 6 maggio il Santo Padre ha compiuto un altro gesto storico, visitando la moschea Omayyade di Damasco (dove è conservato il memoriale di Giovanni Battista e che fu originariamente una chiesa cristiana) accompagnato dal gran mufti di Siria, Sheikh Ahmad Kuftaro, invitando i presenti a impegnarsi per "presentare le nostre due religioni non in opposizione, come è accaduto fin troppo nel passato, ma in collaborazione per il bene della famiglia umana".
Il 7 maggio Giovanni Paolo II si è quindi spostato sulle alture del Golan, nella chiesa greco- ortodossa del villaggio semidistrutto di Quneitra, a 35 km dal confine israeliano, dove ha pronunciato un'accorata preghiera per la pace, rivolgendosi anche alle autorità civili della regione affinché operino "generosamente per il bene comune", per "rispettare la dignità inalienabile di ogni persona umana e i diritti fondamentali". Gli ultimi due giorni del pellegrinaggio (8 e 9 maggio) sono stati riservati dal Pontefice alla visita di Malta, isola toccata dall'apostolo Paolo e dove il Papa (9 maggio, piazzale dei Granai di Floriana) ha innalzato agli altari tre servi di Dio di quella Terra (la beata Maria Pisani vi giunse diciannovenne); Karol Wojtyla ha esortato i maltesi a mantenersi fedeli all'eredità ricevuta dal ministero paolino.
Malta, 8 maggio 2001: il pontefice con il presidente Guido Di Marco


A KIEV L'ABBRACCIO CON IL VESCOVO "RIBELLE"

Appena atterrato all'aeroporto di Kiev, il 23 giugno 2000, il Papa ha pronunciato parole di amicizia, di perdono, di rinnovato impegno sulla strada del dialogo ecumenico.
Quasi contemporaneamente, in un altro aeroporto, quello di Minsk, capitale della Bielorussia, il patriarca di Mosca, Alessio II, ribadiva quanto dichiarato negli ultimi mesi: questa visita, fatta senza l'invito della Chiesa maggioritaria dell'Ucraina (dipendente da Mosca), rischia di aggravare le ferite esistenti e di bloccare il dialogo. Molto belle sono risuonate le parole del Papa durante l'incontro con il Consiglio Panucraino delle Chiese e delle organizzazioni religiose: "Pellegrino di pace e di fraternità, confido di essere accolto con amicizia anche da quanti, pur non appartenendo alla Chiesa cattolica, hanno il cuore aperto al dialogo e alla cooperazione. Non sono venuto con intenti di proselitismo".
Partecipavano all'incontro, nell'ottocentesco Palazzo della Filarmonica nazionale, 15 dei 16 membri del Consiglio. Mancava il metropolita Volodymyr, massimo rappresentante della Chiesa ortodossa ucraina unita a Mosca. C'era invece il "patriarca" Filarete, l'ex capo della Chiesa ortodossa in Ucraina che nel 1992 ha fondato, con l'appoggio di alcuni politici nazionalisti, il patriarcato di Kiev, costola scismatica del patriarcato russo (per questo scisma Filarete è stato scomunicato da Mosca). C'era anche il metropolita Mefodiy, rappresentante della Chiesa autocefala ucraina, fondata negli anni Venti, e anch'essa considerata scismatica dal patriarcato di Mosca.
Quest'incontro era forse il più delicato dell'intero programma papale, perché da Mosca erano arrivati avvertimenti: il Papa non deve incontrare in alcun modo Filarete e gli altri scismatici. L'incontro invece c'è stato, e i due "scismatici" hanno anche preso la parola.
Taglienti alcune delle affermazioni di Filarete: "Il patriarca di Mosca sostiene che la visita del Papa in Ucraina può aggravare le ferite esistenti tra cattolici e ortodossi. Noi del patriarcato di Kiev pensiamo invece che questa visita aiuterà a sanare le ferite. Anche se non piace al patriarcato di Mosca, noi intendiamo continuare sulla strada dell'ecumenismo: questa è una strada irreversibile".
Alla fine dell'incontro, Filarete ha abbracciato il Pontefice. Il "patriarca" scismatico e scomunicato da Mosca ha saputo prendersi tutto lo spazio che gli è stato concesso (l'incontro del Consiglio Panucraino delle Chiese e delle organizzazioni religiose è stato promosso dal Governo) per presentarsi come l'anima dialogante dell'ortodossia, contro le chiusure del patriarcato russo.
Un'operazione destinata ad aggravare le tensioni tra Mosca e Roma. C'era del cinismo nella soddisfazione con la quale Filarete ha commentato con i giornalisti quanto avvenuto nel Palazzo della Filarmonica nazionale: "Quel che è successo oggi con questo incontro è esattamente ciò che Mosca più temeva".

NEL KAZAKISTAN ISLAMICO IL PAPA RINNOVA L'APPELLO: "AMATEVI GLI UNI GLI ALTRI"

È vero che il viaggio del Papa in Kazakistan e Armenia ha rischiato d'essere annullato. Lo ha detto il Pontefice in un colloquio con il presidente kazako, Nursultan Nazarbayev, domenica 23 settembre 2000. Al presidente, che lo ringraziava d'aver voluto compiere "una visita non facile, soprattutto dopo quel che è accaduto negli Usa", Giovanni Paolo II ha risposto: "Negli ultimi giorni dicevano che era impossibile, a causa degli eventi tragici accaduti l'11 settembre negli Stati Uniti. Invece, grazie a Dio, è stata possibile".
Anche per non far mancare, in un'area che potrebbe diventare più esplosiva di quanto già non sia, una voce forte che inviti al dialogo. E fin dal primo discorso, all'aeroporto di Astana (la nuova capitale kazaka), il Papa ha parlato di dialogo. Il riferimento preciso era alla decisione presa dal Kazakistan nel 1991 (l'anno dell'indipendenza da Mosca), di chiudere il poligono nucleare di Semipalatinsk, di rinunciare alle armi nucleari e di aderire all'Accordo per il totale divieto degli esperimenti atomici.
Ma l'osservazione che seguiva andava oltre. "Alla base di questa decisione", ha sottolineato il Papa, "vi è la convinzione che le questioni controverse debbano essere risolte non con il ricorso alle armi, ma con i mezzi pacifici della trattativa e del dialogo".

Il rispetto della Chiesa cattolica per l'Islam

Al termine della messa celebrata nella piazza della Madre Patria, Giovanni Paolo II ha lanciato un forte appello ai cristiani e ai seguaci delle altre religioni "a lavorare insieme per costruire un mondo senza violenze, che ama la vita e cresce nella giustizia e nella solidarietà. Non dobbiamo permettere che quel che è successo porti ad approfondire le divisioni. La religione non deve mai essere usata come motivo di conflitto".
L'indomani, ai rappresentanti del mondo della cultura, ha detto: "Desidero riaffermare il rispetto della Chiesa cattolica per l'Islam, l'autentico Islam che prega, che sa farsi solidale con chi è nel bisogno. Memori degli errori del passato anche recente, tutti i credenti devono unire i loro sforzi affinché mai Dio sia fatto ostaggio delle ambizioni degli uomini. L'odio, il fanatismo e il terrorismo profanano il nome di Dio e sfigurano l'autentica immagine dell'uomo".
Queste dichiarazioni e questi appelli sono fatti in un Paese che sembra un modello di convivenza tra le culture (nel Kazakistan vivono circa 120 etnie) e le religioni: dei poco più di 15 milioni di abitanti, il 50 per cento è musulmano, il 30 per cento ortodosso e l'altro 20 per cento è distribuito tra molte confessioni (i cattolici sono tra l'1 e il 2 per cento).
Il Papa ammira questo Kazakistan pacificamente pluralista. Lo dice ai giovani, incontrati nella moderna Università Eurasia: "Il vostro è un Paese in cui la convivenza e l'armonia tra popoli differenti possono essere additate al mondo come segno eloquente della chiamata di tutti gli uomini a vivere insieme nella pace, nell'accoglienza reciproca, nella scoperta progressiva e nella valorizzazione delle tradizioni proprie di ciascuno. Il Kazakistan è Terra di incontro, di scambio, di novità; terra che stimola in ciascuno l'interesse per nuove scoperte e induce a vivere la differenza non come una minaccia ma come un arricchimento".

ARMENI: IL POPOLO UNITO DALLA BIBBIA

Giovanni Paolo II compie la sua visita pastorale in Armenia dal 25 al 27 settembre 2000. La visita in questo Paese doveva avvenire già nel 1999, ma la morte del Catholikos Karekin I aveva impedito che avvenisse. Ora, la presenza di Wojtyla ha un significato particolare: i cristiani armeni festeggiano, infatti, i 1.700 anni del battesimo del loro popolo, il primo ad abbracciare la fede cristiana in quanto tale, avvenuto nel 301, quando il re Tiridate III, guarito per l'intercessione di Gregorio l'Illuminatore, decise di abbracciare il Vangelo di Cristo. Il viaggio del Vescovo di Roma è un commovente passo avanti nel cammino ecumenico: per la prima volta in 22 anni di pontificato Giovanni Paolo II viene ospitato per tutto il tempo della visita nella residenza di un capo di una Chiesa orientale non ancora in comunione con Roma.
Non ci sono significative differenze tra i cattolici e la Chiesa apostolica armena, che appartiene a quelle dette pre-calcedoniane, in quanto non partecipò al Concilio di Calcedonia che definì il dogma delle due nature contro l'eresia monofisita: in diverse dichiarazioni comuni, firmate dal Papa e dai patriarchi dell'Armenia, si attesta che la fede è la stessa e che Gesù Cristo è "vero Dio e vero uomo". Il Catholikos Karekin II, altro precedente, permette a Giovanni Paolo II di celebrare la messa sul grande altare all'aperto, appena inaugurato davanti alla cattedrale della Santa Sede di Etchmiadzin.
Ma la presenza del Papa in questa nazione, il cui popolo ha sofferto indicibili persecuzioni nel corso di tutta la sua storia, è anche un omaggio alle vittime del genocidio, il "Metz Yeghérn", il "grande male", la barbara uccisione di un milione e mezzo di cristiani armeni avvenuta nel 1915 per opera dei turchi ottomani.
Wojtyla si commuove visitando il memoriale di Tzitzernagaberd, la "collina delle rondini", dove arde una fiamma perpetua in ricordo del genocidio. "Profondamente turbati dalla terribile violenza inflitta al popolo armeno - dice il Papa -, ci chiediamo con sgomento come il mondo possa ancora conoscere aberrazioni tanto disumane". Il genocidio armeno, documentato nell'impressionante museo annesso al memoriale e attestato dalle testimonianze di decine di diplomatici dell'epoca, viene tutt'oggi vergognosamente negato dalla Turchia. Ammettere quanto è successo, infatti, costringerebbe le autorità di Ankara a mettere in discussione anche la figura di Kemal Ataturk, il padre della patria, che asceso al potere subito dopo la fine della prima guerra mondiale, non fermò i massacri etnici contro i cristiani armeni.

UN'AUREOLA PER DUE: MARIA E LUIGI, LA PRIMA COPPIA DI SPOSI A ESSERE BEATIFICATA

Domenica 21 ottobre 2000 in piazza San Pietro, Papa Giovanni Paolo II ha dato corso alla cerimonia di beatificazione dei coniugi Luigi e Maria Beltrame Quattrocchi.
Un evento straordinario perché per la prima volta nella storia della Chiesa una coppia di sposi è stata innalzata all'onore degli altari per le virtù cristiane manifestate in grado eroico nella vita coniugale e familiare.
Maria Luisa e Luigi erano una coppia borghese che visse a Roma all'inizio del Novecento. Fin dai tempi del fidanzamento emerse chiaro che oltre ai comuni interessi culturali, a legarli fosse soprattutto la condivisione dei valori e la presenza di quello straordinario collante che è la fede in Dio.
Dopo il matrimonio vissero la loro esperienza coniugale con gioia e raggiunsero le più alte vette della spiritualità. Verrebbe da chiedersi cosa abbiano fatto di straordinario. Se guardassimo alla loro vita in modo superficiale non troveremmo nulla di speciale: non hanno fondato ordini religiosi, niente avventure mistiche, nessuna fuga dal mondo, niente adozioni, né miracoli.
Lo straordinario sta proprio qui: Luigi e Maria, attraverso la loro vita ed ora con l'autorevole conferma della Chiesa, vengono a ricordarci che i coniugi amandosi corpo e anima, compiendo la missione del loro amore, camminano verso la santità. I coniugi Beltrame Quattrocchi hanno vissuto in modo coraggioso e coerente la vocazione alla quale erano chiamati: quella di coniugi e di genitori. Si sono amati teneramente fino alla vecchiaia con un amore "più forte della morte": nella splendida lettera che Maria scriverà ai figli poco prima di morire definirà il marito come "il vostro santo papà".
Grazie a Luigi e Maria intravediamo un cammino di santità proponibile agli uomini del nostro tempo, possibile per tutte le famiglie cristiane perché non fatto di scelte o azioni straordinarie o di chiamate particolari: Luigi e Maria sembrano dirci che motivo di santità non è la grandezza delle azioni che compiamo ma l'amore con cui le facciamo.
Come ha scritto il Santo Padre: "non può più essere accettabile venga negato il giusto riconoscimento alla santità silenziosa e normale di tanti padri e madri".

22 NOVEMBRE 2001: IL PAPA MANDA PER LA PRIMA VOLTA UN MESSAGGIO POST-SINODALE VIA E-MAIL

Con Giovanni Paolo II anche Internet entra in Vaticano. È il 22 novembre 2001, con un clic su un computer portatile, Papa Wojtyla invia per la prima volta per e-mail alle diocesi dell'Oceania il testo dell'Esortazione post-sinodale Ecclesia in Oceania, che avrebbe voluto promulgare di persona nel continente immerso nel Pacifico, ma l'eccessiva lunghezza del viaggio ha reso impossibile.
Con quel clic Giovanni Paolo II, che appare incuriosito e contento della moderna forma di comunicazione, ufficializza il fatto che Internet rappresenta una nuova frontiera per la missione della Chiesa.
"Non si abbia paura a prendere il largo nel vasto oceano informatico", afferma poco tempo dopo, riprendendo lo slogan da lui coniato per la Chiesa del post-Giubileo.
È complessa l'analisi dell'anziano Pontefice, che da un lato si compiace del "rapido sviluppo delle tecnologie nel campo dei media", definito "uno dei segni del progresso dell'odierna società", ma dall'altro si preoccupa che "anche le comunicazioni sociali entrino in un quadro di diritti e doveri organicamente strutturati, dal punto di vista sia della formazione e della responsabilità etica che del riferimento alle leggi e alle competenze istituzionali".
Secondo il Papa, del resto, "il positivo sviluppo dei media a servizio del bene comune è una responsabilità di tutti".
"In primo luogo - spiega Wojtyla - occorre una vasta opera formativa per far sì che i media siano conosciuti e usati in modo consapevole e appropriato. I nuovi linguaggi da loro introdotti modificano i processi di apprendimento e la qualità delle relazioni umane, per cui senza un'adeguata formazione si corre il rischio che essi, anziché essere al servizio delle persone, giungano a strumentalizzarle e condizionarle pesantemente". Secondo il Papa, "questo vale, in modo speciale, per i giovani che manifestano una naturale propensione alle innovazioni tecnologiche, e anche per questo hanno ancor più bisogno di essere educati all'utilizzo responsabile e critico dei media".
Il Papa non dimentica le grandi potenzialità che i media hanno nel favorire il dialogo, divenendo veicoli di reciproca conoscenza, di solidarietà e di pace. "Essi - ricorda - costituiscono una risorsa positiva potente, se messi a servizio della comprensione tra i popoli; un'arma distruttiva, se usati per alimentare ingiustizie e conflitti".
"Internet - afferma il Papa - non solo fornisce risorse per una maggiore informazione, ma abitua le persone a una comunicazione interattiva". Dunque, occorre utilizzare "in modo creativo questo nuovo strumento, esplorandone le potenzialità nell'evangelizzazione, nell'educazione, nella comunicazione interna, nell'amministrazione e nel governo", mentre "quotidiani e giornali, pubblicazioni di varia natura, televisioni e radio cattoliche rimangono molto utili in un panorama completo della comunicazione ecclesiale".
Giovanni Paolo II si rivela particolarmente sensibile all'esigenza che sia evitata ogni forma di condizionamento e di limitazione della libertà d'informazione.
L'autentica libertà consiste in una "sintesi vitale tra autonomia, verità, senso del bene comune e senso della responsabilità".
Coerentemente il dovere di "cercare e riferire la verità", proprio dei media, presuppone, accanto all'onestà dei giornalisti, che essi e i mezzi nei quali operano siano liberi da pressioni e dal controllo governativo.
Contemporaneamente Papa Wojtyla non nasconde neppure il rischio che, in epoca di globalizzazione, la Rete e le altre tecnologie di comunicazione moderna possano segnare un'ulteriore linea di confine tra Paesi ricchi e Paesi poveri, specie quelli dove l'informazione circola con difficoltà o è censurata. Il Papa, infine, richiamando l'attenzione sull'accesso ai media sottolinea come: "Se le comunicazioni sociali sono un bene destinato all'intera umanità, vanno trovate forme per rendere possibile un'ampia partecipazione alla loro gestione, anche attraverso opportuni provvedimenti legislativi".

ASSISI 2002: IL CORAGGIO DI CREDERE CHE LA PACE È POSSIBILE

A distanza di 15 anni dal 1986, il 24 gennaio Giovanni Paolo II ritorna ad Assisi insieme ai leader delle Chiese cristiane e delle grandi religioni per pregare per la pace. In questi anni il mondo è molto cambiato. Non c'è più la "guerra fredda" tra gli imperi che si contendevano il controllo sul mondo, mentre incombeva la minaccia della bomba atomica. L'impero dell'Est è scomparso, ma il mondo non ha trovato ancora la pace. In intere regioni la situazione è molto confusa.
Ci sono forze oscure minacciose, dal terrorismo alle internazionali del crimine. Circolano armi temibili, anche atomiche, spesso al di fuori di ogni controllo. Serpeggia l'inquietudine tra i popoli, mentre si accendono fondamentalismi di ogni tipo, anche religiosi. Le grandi religioni sono spesso sottoposte a pressioni, perché consacrino identità nazionali contrastanti. In tanti vorrebbero usarle per farsi la guerra.
La situazione è certamente ancora più complessa dopo l'11 settembre. C'è una guerra in corso. Ci sono gravi minacce terroristiche. Continua il conflitto in Medio Oriente. Troppi popoli del mondo versano in condizioni di grave povertà. Bisogna rifondare le basi della pace per il secolo che viene.
Ed è proprio in questo tempo difficile che Giovanni Paolo II ha invitato a salire ad Assisi per pregare. Gli sono fianco a fianco tanti uomini e donne di religione, tra essi il patriarca ortodosso di Costantinopoli, Bartolomeo, con altri primati d'Oriente. È il segno di una preoccupazione per la pace che è condivisa.
Giovanni Paolo II, pochi giorni prima dell'incontro, ha detto con franchezza: "Non lasciamoci sopraffare dalla durezza di questi tempi. Apriamo piuttosto il cuore e l'intelligenza alle grandi sfide che ci attendono".
Il Pontefice chiama a raccolta ad Assisi i grandi della Terra per salvare la vita, oltre la vita, gli altri lo ascoltano, seguono il suo sogno, il suo desiderio, ascoltano e rispondono, a un uomo, un Papa, l'unico ad avere la forza, il carisma e l'umiltà per affrontare una sfida come questa e vincerla.
Richiamandosi a "un'alleanza mondiale nel nome di Dio" il papa afferma: "La pace è un dovere".
Dall'incontro di preghiera è scaturito il Decalogo di Assisi per la pace che Giovanni Paolo II ha inviato con una propria lettera a tutti i capi di Stato e di governo. In esso i convenuti si impegnano a contrastare l'uso di ogni forma di violenza e terrorismo, educare al rispetto e alla tolleranza, a promuovere la cultura del dialogo, a difendere il principio di dignità personale e familiare, a ricercare il confronto quale fonte di conoscenza, a perdonare il passato nell'ottica di un futuro comune, a vivere nella solidarietà nei confronti dei più deboli, a farsi portavoce di chi dice no a logiche di guerra e di violenza, a promuovere concrete iniziative che sviluppino l'amicizia tra i popoli, a chiedere ai responsabili delle nazioni di compiere tutti gli sforzi possibili affinché, a livello nazionale e a livello internazionale, sia edificato e consolidato un mondo di solidarietà e di pace fondato sulla giustizia.

IL VIAGGIO APOSTOLICO DI SUA SANTITÀ IN AZERBAIGIAN

Il 22 maggio 2002 Giovanni Paolo II si è recato in Azerbaigian. Con la visita in Azerbaigian il Santo Padre intende muovere un nuovo passo verso la pace e l'intesa fra le religioni, oltre a rendere omaggio a un Paese, che è stato ed è crogiolo di culture e che muove i suoi passi verso un'indipendenza non sempre facile e socialmente garantita.
Il Papa desidera, tuttavia, in primo luogo confermare nella fede la piccola comunità cattolica del Paese con l'annuncio della parola e la celebrazione dell'eucaristia.
Al suo arrivo il Santo Padre ha espresso la propria ammirazione per la complessità e la ricchezza della cultura dell'Azerbaigian, indicando a motivo di vanto per quell'antichissima Terra lo spirito di tolleranza e di reciproca accoglienza, che ha consentito ai cristiani di continuare a vivere fianco a fianco con i fedeli di altre religioni, invitando al contempo i responsabili delle religioni a rifiutare ogni violenza come offensiva del nome di Dio e a farsi promotori instancabili di pace e di armonia, appello che ha ribadito nel corso dell'incontro con i rappresentanti delle religioni, della politica, della cultura e dell'arte del Paese.
Il 23 maggio il Santo Padre ha presieduto a Baku una celebrazione eucaristica in un edificio destinato usualmente ad attività sportive nel Palazzo dello Sport.
Per meglio esprimere la simpatia della Chiesa cattolica per tutti i valori delle culture, che sono in sé una via di spiritualità, la liturgia è collocata in un contesto arricchito di elementi specifici delle tradizioni culturali del Paese. L'altare e l'ambone sono stati appositamente elaborati da artisti locali, in legno chiaro, finemente intagliato, con motivi ornamentali caratteristici, soprattutto floreali. Egualmente in legno, con tecniche analoghe, sono realizzati, oltre alla base della cattedra del Santo Padre, anche la croce astile e i due candelieri.
L'omelia di Giovanni Paolo II è stata incentrata sulla fedeltà agli impegni derivanti dal battesimo, particolarmente onorevole se praticata in tempi di persecuzione, accennando in questo senso alla storia della popolazione cristiana azera in passato vittima del marxismo.

IL PAPA SALUTA LA BULGARIA CONSEGNANDO LE SUE ENERGIE AI GIOVANI

Un forte spirito ecumenico ha caratterizzato la visita di Giovanni Paolo II in Bulgaria.
La prima giornata è stata dedicata agli incontri con i rappresentanti della Chiesa ortodossa e con quelli del mondo scientifico-culturale con i quali Giovanni Paolo II ha parlato dell'importanza del riavvicinamento in corso tra le due Chiese sorelle, evocando le figure di Cirillo e Metodio, codificatori della lingua slava e grandi evangelizzatori dell'Oriente europeo, e di San Benedetto, ugualmente fondamentale nella crescita culturale e spirituale d'Europa.
Sabato 25 maggio il Santo Padre ha fatto visita a Sofia alla cattedrale cattolica di rito bizantino-slavo e alla concattedrale cattolica di rito latino. In questa occasione il Papa ha avuto parole toccanti nei confronti degli ortodossi. Il Papa ricorda: "Insieme con i cattolici, anche gli ortodossi hanno subito in anni ancora recenti una dura persecuzione a causa della loro fedeltà al Vangelo: che tanto sacrificio renda feconda la testimonianza dei cristiani in questo Paese e, con la grazia di Dio, affretti il giorno in cui potremo gioire della ritrovata piena unità tra noi". Successivamente si è recato in pellegrinaggio al monastero di Rila, il più famoso della Bulgaria, per rendere omaggio alle reliquie del santo monaco Giovanni.
L'ultimo giorno di permanenza in Bulgaria, il 26 maggio, il Papa ha voluto trattenersi con i giovani riuniti nella cattedrale di Plovdiv, esortandoli nella ricerca di un senso più profondo della vita. Poi nella piazza di Plovdiv, ha proclamato beati tre religiosi assunzionisti bulgari (Kamen Vitchev, Pavel Djidjov, Josaphat Chichkov), fucilati nel novembre 1952 dopo un vergognoso processo ordito dal regime comunista.
Anche durante questa celebrazione il Papa ha avuto parole di forte valore ecumenico: "Pensando ai tre nuovi beati, sento il dovere di rendere omaggio alla memoria degli altri confessori della fede, figli della Chiesa ortodossa, che sotto il medesimo regime comunista hanno subito il martirio. Questo tributo di fedeltà a Cristo ha accompagnato le due comunità ecclesiali in Bulgaria fino alla testimonianza suprema".
Quindi, citando la sua enciclica Tertio millennio adveniente: "L'ecumenismo dei santi, dei martiri è forse il più convincente".
Al rito ha assistito anche il metropolita ortodosso di Plovdiv, Arsenij. All'inizio della cerimonia ha rivolto a Giovanni Paolo II un caloroso saluto. Gesti di dialogo tra le due Chiese s'erano visti pure nei due giorni precedenti, come l'accoglienza del Pontefice nella sede patriarcale di Sofia e quella, il giorno dopo, nell'incantevole monastero di Rila. Qui Giovanni Paolo II è stato accolto dall'"igoumeno" (abate) Joan, che partecipò, come osservatore, al Concilio Vaticano II. Anche in questa occasione il Papa ha teso una mano al dialogo interreligioso, mostrando che il suo pensiero è sempre rivolto a Mosca. Ha insistito sull'importanza dei monasteri per le Chiese ortodosse, e ha ricordato, oltre a Rila, il Monte Athos per la Grecia e, per la Russia, "quella miriade di dimore dello Spirito Santo che le hanno permesso di superare l'inferno delle persecuzioni sovietiche".
Il Papa ha anche rivelato all'intero popolo bulgaro di non aver mai creduto che ci fosse la Bulgaria dietro l'attentato compiuto da Alì Agca il 13 maggio 1981.
A un Paese che sta tentando di mettere a posto i suoi conti e di rilanciare l'economia per partecipare più attivamente al mercato mondiale, il Pontefice ha augurato che "lo sforzo di rinnovamento sociale intrapreso con coraggio dalla Bulgaria trovi l'accoglienza intelligente e il sostegno generoso dell'Unione europea".
Un messaggio-ricordo ha proposto il Papa alla Bulgaria: quello del beato Giovanni XXIII, che dal 1925 al 1934 fu rappresentante pontificio in questo Paese. Quando terminò l'incarico, Angelo Roncalli così si congedò: "In qualunque parte del mondo io vada, se un bulgaro si trova a passare vicino alla mia casa, trovandosi in una situazione difficile, troverà sempre alla mia finestra una lampada accesa. Bussa! Bussa! Non ti chiederanno se sei cattolico o ortodosso: fratello di Bulgaria, basta. Entra! Due braccia fraterne, un cuore caldo di amico ti accoglieranno a festa". Con queste stesse parole Giovanni Paolo II ha lasciato la Bulgaria.
Il papa durante la visita al monastero di San Giovanni a Rila, in Bulgaria


AI GIOVANI RIUNITI A TORONTO: "SIETE IL SALE DELLA TERRA, CAPOVOLGETE IL MONDO"

Il 23 luglio 2002 il Pontefice si è recato in Canada, iniziando il suo viaggio apostolico a Toronto, dove ha presieduto alle celebrazioni per la XVII Giornata mondiale della gioventù.
Il tema della Giornata era stato comunicato dal Pontefice nel luglio del 2001: "Voi siete il sale della Terra [...] voi siete la luce del mondo". In quell'occasione, Giovanni Paolo II aveva ricordato come il sale e la luce fossero nell'antichità ritenuti elementi essenziali della vita umana.
Il Papa è sceso dalla lunga scaletta dell'aereo con molto sforzo, ma sulle sue gambe.
Due giorni dopo, ha parlato con i 200.000 ragazzi giunti a Toronto da 169 Paesi riuniti per la festa di accoglienza nell'Exhibition Palace di Toronto; il Pontefice confermava d'essere in buona forma: sorrideva, mostrava di apprezzare i canti, le grida, gli applausi per i punti più importanti del suo discorso. Discorso letto, con voce chiara e forte, dalla prima all'ultima parola.
Uno dei momenti più significativi ed emozionanti del viaggio canadese è stata la veglia del Santo Padre con i ragazzi, sabato 27 luglio al Downsview Park di Toronto: ai giovani, da lui chiamati "caro popolo delle beatitudini", Giovanni Paolo II ha rivolto l'esortazione a comunicare al mondo la bellezza dell'incontro con Dio che dà senso alla vita.
Come nelle precedenti Giornate mondiali, Giovanni Paolo II ha chiesto ai giovani di impegnarsi a cambiare il mondo seguendo l'insegnamento e l'esempio di Gesù, sintetizzati nelle beatitudini evangeliche. Li ha messi in guardia dalle "numerose e allettanti" proposte di coloro che "vi parlano di una gioia che si può ottenere con il denaro, con il successo, con il potere. Soprattutto vi dicono di una gioia che coincide con il piacere superficiale ed effimero dei sensi".
Il Papa ha contrapposto la "lotta lunga e difficile" per la "vera gioia". Ma con tono sereno, più che divieti, ha indicato ideali. I ragazzi e le ragazze sentivano la tenerezza e vi corrispondevano. Alla fine del primo dei tre appuntamenti con il Papa, nella grande spianata dell'Exhibition Place, alcuni dei giovani più vicini al palco hanno circondato il vecchio Pontefice, gli hanno parlato, accarezzato le mani. Lui ascoltava, faceva qualche domanda, posava la destra sulle loro teste. "Anche se sono vissuto fra molte tenebre, sotto duri regimi totalitari, ho visto abbastanza per essere convinto in maniera incrollabile che nessuna difficoltà, nessuna paura è così grande da poter soffocare completamente la speranza che sgorga nel cuore dei giovani".
Il 28 luglio Giovanni Paolo II ha presieduto l'eucaristia che conclude la XVII Giornata mondiale della gioventù. Pioveva e tirava vento anche quando è arrivato il Pontefice, che ha commentato: "La pioggia ci ricorda l'acqua del battesimo".
Così, con un rapido scarto dalle condizioni atmosferiche a quelle spirituali, il Papa ha preparato i ragazzi all'appello che ha formulato subito dopo, un "appello a scegliere tra la vita e la morte, tra verità e menzogna". Dice: "Quello che voi erediterete è un mondo che ha un disperato bisogno di un rinnovato senso di fratellanza e di solidarietà umana. È un mondo che necessita di essere toccato e guarito dalla bellezza e dalla ricchezza dell'amore di Dio. Il mondo odierno ha bisogno di testimoni di quell'amore". Nella preghiera che conclude l'omelia, invoca il Signore: "Fa' di loro il nuovo popolo delle beatitudini, perché siano sale della Terra e luce del mondo all'inizio del terzo millennio cristiano".
Il primo ministro canadese e la moglie Alina ascoltano il discorso del papa


IL PAPA IN GUATEMALA PER L'HERMANO PEDRO

Lasciata Toronto il Papa è partito il 29 luglio 2002 alla volta di Città del Guatemala; lungo i 5 chilometri che separano l'aeroporto internazionale La Aurora dalla sede della nunziatura, un enorme tappeto di fiori ha accolto il Pontefice nella sua terza visita in Guatemala, dopo quelle effettuate nel 1983 e nel 1996.
Gruppi di cattolici hanno disegnato e colorato con petali di fiori e rami di pino numerosissimi ed enormi "quadri" a soggetto religioso che, senza soluzione di continuità, hanno costituito un unico bellissimo tappeto.
L'occasione di questo viaggio papale è rappresentata dalla beatificazione di fratel Pedro di San José di Betancur, uno spagnolo che nel 1658 fondò la "Casa Nuestra Senora de Belen", centro di assistenza infermieristica, ospizio, oratorio e soprattutto prima scuola gratuita del centro- america. Il nuovo santo è stato portato dal Pontefice come esempio per la costruzione della società che si apre alle sfide del terzo millennio.
Benedicendo tutti gli abitanti del Guatemala, il Papa ha espressamente fatto riferimento a "ai numerosi indigeni" e li ha esortati a superare con speranza le situazioni, a volte difficili, e a costruire con responsabilità il futuro, lavorando per il progresso armonico di tutte le etnie.
Ha aggiunto: "Meritate ogni rispetto e avete diritto a realizzarvi pienamente nella giustizia, nello sviluppo integrale e nella pace".
Al termine della celebrazione eucaristica il Papa ha rivolto all'assemblea le seguenti parole: "Prima di lasciare questo luogo stupendo, il luogo della canonizzazione del primo santo del Guatemala e di Tenerife, desidero dirvi [...] grazie perché so che dietro ogni croce vi è questo cuore. Siate fedeli a Dio, alla Chiesa, alla vostra tradizione cattolica, illuminati dall'esempio del santo Fratel Pietro".

IN MESSICO IL SANTO PADRE CANONIZZA IL PRIMO SANTO INDIO

L'ultima tappa del viaggio apostolico di Giovanni Paolo II è stata Città del Messico, che il Santo Padre ha raggiunto nella giornata di martedì 30 luglio. Durante la propria permanenza a Città del Messico, Giovanni Paolo II ha canonizzato Juan Diego Cuauhtlatoatzin (31 luglio) e Juan Battista e Jacinto de los Ángeles (1° agosto), che si mantennero fedeli al culto del Dio vivo, rifiutando gli idoli fino ad affrontare per questo il martirio.
Durante la sua quinta visita pastorale in Messico, Papa Giovanni Paolo II ha dapprima dichiarato beati due indigeni di Oaxaca e successivamente, durante la cerimonia più attesa del suo viaggio, ha proclamato santo Juan Diego, l'indigeno cui, secondo la tradizione, apparve la "Morenita", la Vergine de Guadalupe, patrona dell'America Latina.
Tutta la visita papale è stata caratterizzata da uno spiccato stile indigeno nel rendere omaggio al Pontefice.
Durante la cerimonia di beatificazione, svoltasi nella basilica de Santa María de Guadalupe, dei due indigeni Juan Bautista e Jacinto de los Ángeles, martirizzati dallo loro stessa comunità, sono state recitate preghiere in sette lingue indigene: zapoteco, mixteco, náhuatl, mazateco, mixe, maya e purépecha e tutta la cerimonia si è svolta secondo un rituale autoctono.
Offerte di fumo di copal sono state lanciate ai quattro punti cardinali da donne zapoteche, come atto di purificazione prima dell'inizio della cerimonia e lo stesso Pontefice, che portava una stola con decorazioni di gusto indigeno, è stato purificato con foglie e fumo di copal.
"Mentre soffrivano i tormenti, all'invito a rinunciare alla fede cattolica e a salvarsi, ribatterono con forza: "Poiché abbiamo professato il battesimo, seguiremo sempre la vera religione". Fulgido esempio di come non si debba anteporre nulla, neppure la propria vita, alla promessa battesimale, come fecero i primi cristiani che, rigenerati dal battesimo, abbandonarono ogni forma di idolatria" ha detto il Papa nel suo discorso. Le sue parole sono state interpretate come un richiamo a mantenersi fedeli alla fede cattolica di fronte all'avanzata delle sette protestanti, che reclutano nuovi adepti soprattutto nelle comunità indigene, la cui popolazione rappresenta il 10% dei 102 milioni di abitanti del Messico.
Il Papa ha raccomandato agli "indigeni di oggi di apprezzare la loro cultura e la loro lingua e, soprattutto, la loro dignità di figli di Dio che gli altri devono rispettare nel contesto della nazione messicana, diversificata nell'origine delle sue genti e disposta a costruire una famiglia comune nella solidarietà e nella giustizia".
L'evento più atteso è stata la canonizzazione, avvenuta giovedì 1° agosto, di Juan Diego Cuauhtlatoatzin, il primo santo indigeno di tutta l'America Latina.
Contrariamente a quanto creduto comunemente, Juan Diego, un indigeno chichimeca, non è stato proclamato santo perché gli sarebbe apparsa la Vergine, ma per la sua vita esemplare e la sua grande fede. Nel dicembre del 1531, solo pochi anni dopo la conquista del Messico da parte degli spagnoli, la Virgen de Guadalupe, una "Virgen mestiza", gli sarebbe apparsa più volte, quale segno di benevolenza verso gli indigeni. Dopo questi fatti ritenuti miracolosi, circa 8 milioni di indigeni aztechi si convertirono al cattolicesimo. Questo episodio è considerato da alcuni come un espediente per evangelizzare, e sottomettere ideologicamente, le popolazioni da poco conquistate militarmente.
"Il Messico ha bisogno dei suoi Indios e gli Indios hanno bisogno del Messico" ha detto il Papa rivolgendosi ai numerosi indigeni che nella basilica di Guadalupe assistevano alla cerimonia.
Ha anche soggiunto, con le stesse parole rivolte agli indigeni in Guatemala, "nel nuovo santo avete un meraviglioso esempio di un uomo buono, dai retti costumi, leale figlio della Chiesa, docile ai Pastori, amante della Vergine, buon discepolo di Gesù. Che egli sia un modello per voi che lo amate tanto e che interceda per il Messico perché sia sempre fedele. Portate a tutti il messaggio di questa celebrazione e il saluto e l'affetto del Papa a tutti i messicani".
Le cerimonie si sono concluse con la Danza de la Pluma, con danzatori vestiti di bianco e al suono di conchiglie e altri strumenti preispanici. Prima della conquista era un rituale per celebrare la vittoria sui nemici, successivamente è divenuto un'espressione di adesione all'evangelizzazione e che il Papa ha mostrato di gradire, tanto da seguire con la mano il ritmo della danza.
Città del Messico: il papa benedice le ossa di Jacinto de los Ángeles


"TORNERÒ IN POLONIA, SE DIO VORRÀ"

Dal 16 al 19 agosto 2002, il Santo Padre si è recato in pellegrinaggio in Polonia. I quattro giorni di permanenza nella sua Terra natale sono stati caratterizzati dalle parole della memoria e della nostalgia.
Quale motto del viaggio il Pontefice ha scelto "Dio ricco di misericordia", al fine di far risuonare, nel ricordo e con l'esempio di santa suor Faustyna Kowalska, il messaggio evangelico del misericordioso amore di Dio. Ma il viaggio del Papa nella sua Terra è stato anche l'occasione per riproporre la dottrina sociale della Chiesa e lanciare un nuovo appello sui valori della vita e della dignità dell'uomo.
Il 17 agosto Giovanni Paolo II ha benedetto la nuova biblioteca della Pontificia Accademia Teologica di Cracovia e ha presieduto alla dedicazione del santuario della Divina Misericordia di Cracovia-Lagiewniki, parlando in quell'occasione della Croce, grazie alla quale l'uomo si vede rimessi i peccati dallo Spirito Santo.
Il 18 agosto, sempre sul filo della memoria, Giovanni Paolo II ha visitato la cattedrale di Cracovia, sulla collina di Wawel, dove il 2 novembre 1946 celebrò la sua prima messa. Poi è andato al cimitero per pregare sulla tomba dei genitori, Karol ed Emilia, e del fratello, Edmund. Prima di arrivarci, ha fatto una breve sosta davanti alla chiesa di San Floriano dove, dal 1948 al 1950, esercitò da cappellano. La sera ha cenato con una decina di vecchi compagni delle medie e del liceo, tra i quali Halina Kwiatkowska, interprete, con il giovane Karol, di parecchi drammi teatrali.
Anche la cerimonia di dedicazione del nuovo santuario della Divina Misericordia, a Cracovia- Lagiewniki, ha suscitato ricordi in Giovanni Paolo II. Ha confidato che, durante l'occupazione nazista della Polonia, attraversava questi luoghi per andare a lavorare alla Solvay. Al ritorno da Lagiewniki ha fatto fermare per qualche istante la papamobile davanti al numero 10 di via Tyniecka, dove visse con il padre dal 1938 al 1941. Nel parco di Blonie a Cracovia, si è tenuta la cerimonia di beatificazione di Zygmunt Szczesny Felinski, Jan Balicki, Jan Beyzym e Sancja Szymkowiak. L'omelia di Giovanni Paolo II è stata dedicata a una riflessione sulla paura del futuro, del vuoto, della sofferenza e dell'annientamento che l'uomo sperimenta quando vive come se Dio non esistesse, e perfino mette se stesso al posto di Dio.
L'ultima importante tappa del pellegrinaggio del Santo Padre, si è tenuta il 19 agosto presso la basilica di Kalwaria Zedrzydowska, in occasione del 400° anniversario della dedicazione del santuario della Passione di Gesù e della Madonna Addolorata, luogo di fede religiosa, ma anche simbolo di identità nazionale. La visita al santuario rappresenta un momento importante nella storia personale di Karol Wojtyla che aveva nove anni quando, morta da poco la madre, venne qui la prima volta con il padre e il fratello. Ci è ritornato poi molte volte, da ragazzo, da prete e da arcivescovo di Cracovia. Ci è ritornato anche da Papa, nel 1979, durante il primo viaggio in Polonia.
Accumulo di ricordi perché era questa l'ultima visita di Karol Wojtyla alla sua Polonia? Forse, ma sembra lui il primo a non esserne convinto. Nel discorso di congedo ha detto: "In tanti hanno voluto incontrarmi. Non tutti sono riusciti. Forse la prossima volta...". Due giorni prima, al primo ministro, Leszek Miller, che l'aveva invitato per un'ulteriore visita alla patria, ha risposto: "Verrò, se Dio vorrà".

Le sorti della Chiesa in Polonia

Affidamento alla volontà divina e riconferma della decisione di continuare nel suo ministero ha espresso nell'ultima preghiera pronunciata in Terra polacca: "Madre Santissima, Nostra Signora di Kalwaria, ottieni anche a me le forze del corpo e dello spirito, affinché possa compiere fino alla fine la missione assegnatami dal Risorto. A Te rimetto i frutti della mia vita e del mio ministero; a Te affido le sorti della Chiesa; a Te consegno la mia nazione".
Le sorti della Chiesa in Polonia, anzitutto. Di questa Chiesa il Papa conosce bene luci e ombre. Ne apprezza la vitalità: le molte vocazioni al sacerdozio e alla vita religiosa, le numerose iniziative pastorali, la fedeltà alla dottrina. E sa anche che non poche vocazioni sono fragili (per lacune psicologiche o per l'attrattiva del benessere materiale che lo "status" ecclesiastico assicura rispetto alla media del popolo polacco).
All'insegna del messaggio centrale di questa visita alla patria - "Dio, ricco in misericordia" - Giovanni Paolo II non ha fustigato i cattolici polacchi, come fece, ad esempio, nel 1997. Durante la beatificazione di quattro ecclesiastici polacchi, nella immensa e gremita spianata di Blonie, ha raccomandato ai vescovi di "creare e mettere in atto un programma pastorale di misericordia. Questo programma costituisca il vostro impegno, nella vita della Chiesa anzitutto e poi, come necessario e opportuno (riflesso), nella vita sociale e politica della nazione, dell'Europa e del mondo".
Nell'affermare che la misericordia divina deve diventare per il cristiano modello di comportamento e tradursi in solidarietà con i fratelli, il Papa ha invitato a liberare la "fantasia della carità" e a farne il programma pastorale della Chiesa in Polonia. "C'è bisogno di questo sguardo d'amore per accorgersi del fratello accanto a noi che, con la perdita del lavoro, della casa, della possibilità di mantenere degnamente la famiglia e dare istruzione ai figli, sperimenta un senso di abbandono, smarrimento e sfiducia. C'è bisogno della "fantasia della carità" per poter aiutare un bambino trascurato materialmente e spiritualmente, per non voltare le spalle al ragazzo o alla ragazza irretiti nel mondo delle varie dipendenze o del crimine, per portare consiglio, consolazione, sostegno spirituale e morale a chi intraprende un combattimento interiore con il male".
Nei sei discorsi che il Pontefice ha pronunciato durante la visita in Polonia, è stata ricorrente la preoccupazione per i compatrioti più disagiati: i disoccupati (quasi il 18 per cento), gli anziani costretti a pensioni da fame, le famiglie numerose.
Contro il liberalismo senza freni e contro le chiusure antistoriche il Papa ha riproposto la dottrina sociale della Chiesa. "So che tanti", ha detto appena arrivato a Cracovia, "osservano e valutano con sguardo critico il sistema che pretende di governare il mondo contemporaneo secondo una visione materialistica dell'uomo. La Chiesa ha sempre ricordato che non si può costruire un futuro felice della società sulla povertà, sull'ingiustizia, sulla sofferenza del fratello. Gli uomini che si muovono nello spirito dell'etica sociale cattolica non possono restare indifferenti di fronte alle sorti di coloro che rimangono senza lavoro, vivono in uno stato di crescente povertà, senza alcuna prospettiva di miglioramento della propria situazione e del futuro dei loro figli".
Dalla Polonia, e particolarmente dal nuovo santuario della Divina Misericordia, costruito presso il convento dove è vissuta la mistica polacca suor Faustyna Kowalska (1905-1938), canonizzata nel 2000, lo sguardo del Pontefice ha abbracciato il mondo. Ha anzi affidato alla Polonia il compito di irradiare dovunque il messaggio salvifico della misericordia divina. Da Lagiewniki ha dichiarato: "Quanto ha bisogno della misericordia di Dio il mondo di oggi! In tutti i continenti, dal profondo della sofferenza umana, sembra alzarsi l'invocazione della misericordia. Dove dominano l'odio e la sete di vendetta, dove la guerra porta il dolore e la morte degli innocenti occorre la grazia della misericordia a placare le menti e i cuori, e a far scaturire la pace. Dove viene meno il rispetto per la vita e la dignità dell'uomo, occorre l'amore misericordioso di Dio, alla cui luce si manifesta l'inesprimibile valore di ogni essere umano [...]. Perciò oggi, in questo santuario, voglio solennemente affidare il mondo alla divina misericordia. Lo faccio con il desiderio ardente che il messaggio dell'amore misericordioso di Dio, qui proclamato mediante santa Faustyna, giunga a tutti gli abitanti della Terra e ne riempia i cuori di speranza".
Il pontefice saluta il presidente Aleksander Kwasniewski (Polonia, agosto 2002)


ABUSI DI SESSO. IL MEA CULPA DEI CARDINALI D'AMERICA

"Dove abbondò il peccato, sovrabbondò la grazia".
La mattina del 23 aprile 2002, nella sala Bologna del Palazzo Apostolico vaticano, Giovanni Paolo II ha citato il capitolo 5 della Lettera di Paolo ai Romani per dare coraggio a sé e ai cardinali degli Stati Uniti che lo ascoltavano a capo chino.
Nell'incontro interdicasteriale i cardinali sono stati chiamati a render conto a Roma degli abusi sessuali compiuti dal loro clero su bambini e ragazzi.
Ci si è occupati del difficile momento attraversato dalla Chiesa statunitense in seguito alle accuse di pedofilia mosse a diversi suoi componenti e la posizione ufficiale della Chiesa è stata fissata nel comunicato rilasciato al termine dell'incontro, nel quale viene riconosciuta senza attenuanti la gravità di quanto accaduto, manifestando concreta solidarietà alle vittime e ai loro familiari e sottolineando l'importanza di nuove direttive apostoliche all'interno di seminari e di centri di formazione sacerdotale.

GIOVANNI PAOLO II E BARTOLOMEO I FIRMANO UNA DICHIARAZIONE COMUNE PER RILANCIARE IL DIALOGO TEOLOGICO FRA LE DUE CHIESE

Il 10 giugno 2002, Giovanni Paolo II e il patriarca ecumenico Bartolomeo I hanno sottoscritto la Dichiarazione di Venezia, una riflessione sul ruolo dell'umanità nel creato e sugli obiettivi etici che nella situazione attuale è necessario porsi.
Dalla dichiarazione emerge che cattolici e ortodossi sono concordi nel constatare "le sofferenze che un gran numero di persone patiscono ogni giorno a causa della violenza, della mancanza di risorse, della povertà e della malattia; [...] le conseguenze negative che si riflettono sull'umanità e su tutto il creato, causate dalla degradazione di basilari risorse naturali come l'acqua, l'aria e la terra, e derivanti da un progresso economico e tecnologico incapace di riconoscere i suoi limiti e di tenerne conto [...]".
L'impegno per cambiare questa situazione deve essere in primo luogo rivolto al recupero da parte dell'uomo della consapevolezza dei propri limiti di conoscenza e di capacità di giudizio, per giungere a una nuova cultura basata sulla centralità della persona umana nel creato e ispirata a un comportamento etico nei confronti dell'ambiente.
Tutti gli uomini e le donne di buona volontà sono pertanto invitati a riflettere sull'importanza di alcuni obiettivi etici, quali la progettualità nelle proprie scelte coinvolgenti generazioni future, la maggiore attenzione alla legge della natura, l'uso costruttivo e orientato all'uomo di scienza e tecnologia, l'umiltà nei confronti delle cose temporaneamente possedute sulla Terra, l'esigenza di solidarietà nello sviluppo globale, la promozione di approcci pacifici nei meccanismi di risoluzione dei conflitti generati dalla diversa interpretazione dei modi di vivere e utilizzare la Terra. Nello stesso giorno il Santo Padre ha indirizzato un messaggio al vertice mondiale per l'alimentazione, che in parte riprende i temi sviluppati nell'ambito della dichiarazione stessa.

PADRE PIO DA PIETRELCINA FINALMENTE SANTO

Dopo la solenne beatificazione del 1999, il 16 giugno 2002 Padre Pio è stato proclamato santo.
Dopo 19 anni l'iter per la santificazione del frate di Pietrelcina si è concluso. Era il 18 dicembre 1997, quando Giovanni Paolo II proclamò le virtù eroiche di padre Pio; il 21 dicembre venne promulgato, sempre alla presenza del Papa, il decreto sul miracolo necessario per la beatificazione e il 2 maggio 1999, a piazza San Pietro, Giovanni Paolo II lo proclamò beato fissando al 23 settembre la data della sua festa liturgica.
Al nuovo santo, il Papa, che già durante l'omelia aveva recitato una preghiera personalmente composta per il frate, ha affidato "il cammino di santità di tutta la Chiesa, all'inizio del nuovo millennio".

"GLI UOMINI SIANO CUSTODI DELLA TERRA"

Un appello "a capi di Stato e di governo affinché, spinti da una autentica vocazione ecologica, trovino strade nuove per uno sviluppo compatibile con l'ambiente e con i bisogni dell'uomo" è stato rivolto da Giovanni Paolo II in occasione del vertice mondiale sull'ambiente tenutosi a Johannesburg in settembre.
L'appello del Papa, lanciato dalla residenza estiva di Castel Gandolfo, ha trovato eco nelle denunce delle organizzazioni ambientaliste come WWF e Greenpeace, che proprio a Johannesburg hanno fatto sentire la loro voce. "Ci auguriamo - ha detto il Papa - che i capi di Stato e di governo presenti riescano a trovare vie efficaci per uno sviluppo umano integrale, tenendo conto della dimensione economica, sociale e ambientale.
In un mondo sempre più intraprendente - ha aggiunto - la pace, la giustizia e la salvaguardia del creato non possono che essere frutto dell'impegno solidale di tutti". "Gli uomini - ha osservato poi - sono posti da Dio come amministratori della Terra, per coltivarla e custodirla; di qui discende quella che potremmo chiamare la loro 'vocazione ecologica', divenuta più che mai urgente nel nostro tempo".

LA CANONIZZAZIONE DEL PADRE DELL'OPUS DEI

La canonizzazione che forse ha suscitato più curiosità e polemiche è quella di Josemaría Escrivá de Balaguer, tenutasi il 6 ottobre 2002. Il religioso spagnolo fu il fondatore, il 2 ottobre , dell'Opus Dei, per promuovere la ricerca della santità e l'apostolato mediante la santificazione del lavoro ordinario in mezzo al mondo. Josemaría si dedicò completamente alla propria missione fondazionale, cioè far sì che uomini e donne di tutti gli ambienti sociali si impegnassero a seguire Cristo, amare il prossimo e cercare la santità nella vita quotidiana. Particolare seguito ebbe in gruppi di universitari, nei quali risvegliò l'aspirazione di servire il prossimo, accendendo in loro il desiderio di mettere Cristo al centro di tutte le attività umane mediante un lavoro santificato, santificante e santificatore. Nel 1943 nacque la Società sacerdotale della Santa Croce, nella quale poterono essere incardinati i sacerdoti provenienti dalle fila dei fedeli laici dell'Opus Dei. Nel 1946 Escrivá si trasferì a Roma per preparare il riconoscimento pontificio dell'organizzazione. Il 24 febbraio 1947 Pio XII concesse il decretum laudis e il 16 giugno 1950 l'approvazione definitiva. Il 26 giugno 1975 Escrivá si spense; il 17 maggio 1992, a Roma, Giovanni Paolo II elevò Josemaría Escrivá agli onori degli altari. Il passo chiave - che rivela la sintonia del Papa con l'Opus Dei, suo alleato nelle battaglie per rimettere in riga la Chiesa postconciliare - sta nel ricordo che Escrivá "rammentava la necessità di non lasciarsi intimorire di fronte alla cultura materialista".

LA LETTERA APOSTOLICA "ROSARIUM VIRGINIS MARIAE"

Il 16 ottobre 2002, all'inizio del suo venticinquesimo anno di pontificato, Giovanni Paolo II volle pubblicare una Lettera apostolica riguardante il Santo Rosario. Con questo testo egli intendeva in particolar modo rendere grazie a Dio per i doni ricevuti durante tutto il pontificato per intercessione di Maria attraverso il Rosario.
L'amore per il Rosario, nato nel futuro Papa sin da giovane, è stato sostenuto da una grande tradizione ecclesiale e dall'esempio di numerosi santi.
Con la stessa Lettera Giovanni Paolo II indiva per l'anno seguente (ottobre 2002 - ottobre 2003) l'Anno del Rosario, perché "il Rosario, se riscoperto nel suo pieno significato, porta al cuore stesso della vita cristiana ed offre un'ordinaria quanto feconda opportunità spirituale e pedagogica per la contemplazione personale, la formazione del Popolo di Dio e la nuova evangelizzazione".
La preghiera mariana del Santo Rosario ha numerose valenze: afferma il Papa che essa innanzitutto è un validissimo strumento per mettersi sulla via della contemplazione del mistero cristiano; inoltre essa è preghiera per la pace e per la famiglia, temi difficili affrontati l'anno successivo ai tragici avvenimenti dell'11 settembre 2001. Il valore del Rosario sta dunque nel fatto che "Maria ripropone continuamente ai credenti i 'misteri' del suo Figlio, col desiderio che siano contemplati, affinché possano sprigionare tutta la loro forza salvifica. Quando recita il Rosario, la comunità cristiana si sintonizza col ricordo e con lo sguardo di Maria".
Dunque il Rosario, ripete il Papa, è una preghiera spiccatamente contemplativa: senza questa valenza essa sarebbe snaturata nella sua essenza.
Attraverso la recita del Santo Rosario, il cristiano prega e contempla Cristo: le azioni che vengono suggerite da Giovanni Paolo II nella Lettera apostolica Rosarium Virginis Mariae sono dunque "ricordare Cristo con Maria", "imparare Cristo da Maria", "conformarsi a Cristo con Maria", "supplicare Cristo con Maria", "annunciare Cristo con Maria". Il Papa nota spesso che il Rosario è definibile come "via di Maria" a Cristo: "È la via dell'esempio della Vergine di Nazareth, donna di fede, di silenzio e di ascolto. È insieme la via di una devozione mariana animata dalla consapevolezza dell'inscindibile rapporto che lega Cristo alla sua Madre Santissima".
In quanto compendio del Vangelo, il Rosario, secondo il Papa, avrebbe dovuto essere integrato per potenziarne il carattere cristologico: "Affinché il Rosario possa dirsi in modo più pieno 'compendio del Vangelo', è perciò conveniente che, dopo aver ricordato l'incarnazione e la vita nascosta di Cristo (misteri della gioia), e prima di soffermarsi sulle sofferenze della passione (misteri del dolore), e sul trionfo della risurrezione (misteri della gloria), la meditazione si porti anche su alcuni momenti particolarmente significativi della vita pubblica (misteri della luce)".
Oltre dunque ai 15 misteri che la tradizione della Chiesa proponeva alla contemplazione dei fedeli durante la recita del Rosario, Giovanni Paolo II ne propone altri cinque "alla libera valorizzazione dei fedeli e delle comunità". Essi vengono denominati "misteri della luce", in quanto Cristo "luce del mondo" splende in particolar modo durante il ministero pubblico. I nuovi misteri sono dunque: il battesimo di Gesù al Giordano; la sua auto-rivelazione alle nozze di Cana; l'annuncio del Regno di Dio con l'invito alla conversione; la trasfigurazione e, infine, l'istituzione dell'eucaristia, espressione sacramentale del mistero pasquale.

SE LA STORIA ENTRA IN PARLAMENTO

Giovedì 14 novembre 2002 il Santo Padre si è recato a Palazzo Montecitorio per la prima visita da parte del sommo Pontefice della Chiesa cattolica al Parlamento dell'Italia, a partire dalla nascita dello Stato nazionale unitario.
La visita di Giovanni Paolo II a Montecitorio trae origine dall'invito contenuto nelle lettere inviate dal Presidente della Camera dei deputati Pier Ferdinando Casini e dal Presidente del Senato della Repubblica Marcello Pera, che hanno rinnovato al Pontefice l'invito già formulato nella scorsa legislatura dai loro predecessori, Luciano Violante e Nicola Mancino.
Dopo gli indirizzi di saluto dei Presidenti delle Camere, il Pontefice ha preso la parola di fronte al Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi, ai deputati e senatori, ai rappresentanti del Governo e delle autonomie. Nel suo discorso Giovanni Paolo II ha voluto presentare questo evento come il coronamento di un'opera di avvicinamento e di collaborazione nel rispetto della reciproca indipendenza e autonomia, cui molto ha contribuito l'opera di altri grandi papi italiani del secolo appena trascorso, quali Pio XI, Pio XII, Giovanni XXIII e Paolo VI.
Dopo aver parlato dell'Italia quale culla di una civiltà ricca di valori ai quali ha attivamente contribuito la religione cattolica, il Pontefice si è soffermato sul contributo che l'Italia può dare agli sviluppi futuri della civiltà umana in virtù anche della propria lunga esperienza di tipo giuridico. Sottolineando l'importanza della coesione interna fatta di valorizzazione e di armonizzazione delle differenze, il Papa parlato del fenomeno del volontariato, particolarmente degno di lode. Ha inoltre esortato la comunità politica a vivere la propria funzione anche nell'ottica di un esempio da fornire al cittadino nella "viva sensibilità per il bene comune".
Toccando il tema della crisi delle nascite, con gli inevitabili corollari rappresentati dal declino demografico e dell'invecchiamento della popolazione, il Papa, ricordando il contributo della Chiesa nei termini di una azione pastorale a favore della famiglia e dell'accoglienza della vita, ha auspicato un'iniziativa politica che "renda socialmente ed economicamente meno onerose la generazione e l'educazione dei figli". Accennando al tema delle carceri ha poi auspicato segni di clemenza nei confronti dei detenuti, nel quadro di una riflessione sulla necessità, per il corpo sociale di una nazione, di esprimere attenzione verso le proprie membra più deboli.
Volgendo al termine il proprio intervento, il Santo Padre ha allargato l'orizzonte all'Unione europea, esprimendo l'auspicio che anche grazie a un'Italia internamente coesa essa possa essere edificata su fondamenta culturali, sociali e civili comuni che sappiano, al contempo, accogliere ricchezze e diversità culturali proprie di ogni singola nazione.
L'ultimo pensiero del Papa è stato per il crescente bisogno di concordia, di solidarietà e di pace tra le nazioni, una speranza purtroppo sempre più spesso interrotta da conflitti in atto e da promesse di conflitti futuri.
Il papa accolto da Carlo Azeglio Ciampi


CREDERE CON FORZA NELLA PACE

"Il mondo ha bisogno di pace". Il Papa lo ha ribadito all'inizio del 2003. Un appello a scegliere la via del dialogo tra le nazioni che ha richiamato il messaggio per la 36.ma Giornata mondiale della pace, incentrata sul tema Pacem in terris: impegno permanente. Giovanni Paolo II, prendendo le mosse dalla storica enciclica pubblicata da Giovanni XXIII nel 1963, sottolinea l'importanza del ruolo delle religioni nel "suscitare gesti di pace e nel condividere condizioni di pace".
C'è necessità di "mezzi pacifici" che riportino, dove ci si confronta armi in pugno, un clima di "serena e solidale convivenza". Un esempio su tutti: la Terra Santa. Una pace che si costruisce con il coraggio della buona volontà, ma più ancora affidandosi a Cristo che di essa è principe, e alla Madonna, da invocare con l'arma incruenta ma non meno potente del Rosario. Nella basilica di San Pietro - gremita da migliaia di fedeli per la solenne messa in onore della Santissima Madre di Dio - Giovanni Paolo II ha richiamato le coscienze di tutti gli uomini al valore supremo che solo "può ridare speranza all'umanità" di fronte agli "eventi che sconvolgono il pianeta".
L'omelia del Pontefice è stata, allo stesso tempo, preghiera a Dio, esortazione di fede, appello ai governanti del mondo. Davanti ai loro ambasciatori accreditati presso la Santa Sede, schierati nelle prime file all'interno della basilica, Giovanni Paolo II ha ricordato ancora una volta la sorgente ispiratrice del suo messaggio: l'enciclica Pacem in terris.
Anche allora sullo scacchiere internazionale si profilavano "nubi minacciose", l'incubo atomico, la paura di una distruzione planetaria. Contro e al di là di ogni profezia di sventura, Papa Roncalli ebbe il coraggio di parlare di verità, giustizia, amore, libertà. Di diritti dei singoli e dei popoli. "Il suo insegnamento - ha soggiunto il Papa - rimane attuale": "Oggi come allora, malgrado gravi e ripetuti attentati alla serena e solidale convivenza dei popoli, la pace è possibile e doverosa. Anzi, la pace è il bene più prezioso da invocare a Dio e da costruire con ogni sforzo, mediante gesti concreti di pace, da parte di ogni uomo e ogni donna di buona volontà".
Pace possibile e doverosa. Un auspicio beneagurante soprattutto per quei luoghi dove la pace di Cristo fu cantata per la prima volta a Betlemme duemila anni fa, ma che oggi brillano soprattutto per la violenta desolazione che li caratterizza.
"La drammatica e perdurante tensione, nella quale questa regione del Medio Oriente si trova, rende più urgente la ricerca di una soluzione positiva del conflitto fratricida e insensato, che da troppo tempo la sta insanguinando".
I gesti di pace sono possibili soprattutto a chi crede in Dio. Coloro i quali, ha affermato il Papa, sono "consapevoli che l'autentica religiosità, lungi dal porre gli individui e i popoli in conflitto tra loro, li spinge piuttosto a costruire un mondo di pace". Religiosità, ha spiegato il Pontefice, sta per "apertura a Dio", "insegnamento di una fratellanza universale", per "promozione di una cultura di solidarietà".
"Di fronte agli odierni conflitti e alle minacciose tensioni del momento, ancora una volta invito a pregare affinché siano ricercati "mezzi pacifici" di composizione ispirati da una "volontà di intesa leale e costruttiva", in armonia con i principi del diritto internazionale".
Per i cristiani, inoltre, costruire la pace significa rivolgersi senza sosta a Gesù e a sua Madre. A lei, il Papa ha rivolto le parole conclusive dell'omelia. E lo ha fatto ricordando l'Anno del Rosario, proclamato lo scorso ottobre. "Il Rosario - ha ricordato, citando la Lettera apostolica scritta per l'occasione - è preghiera orientata per sua natura alla pace, per il fatto stesso che consiste nella contemplazione di Cristo, 'Principe della pace'".
Un’espressione di speranza sul volto di papa Wojtyla


DA 25 ANNI PROTAGONISTA SULLA SCENA DELLA STORIA

Nel 2003 il Pontefice ha celebrato il venticinquesimo anno di pontificato. Durante tutti questi anni Giovanni Paolo II si è trovato a interagire con una complessità di eventi, anche imprevisti, che hanno sommosso profondamente la vita del mondo. Ogni situazione l'ha vissuta non da osservatore, ma da protagonista, con la visione di chi è mosso dalla fede che gli dà sicurezza della direzione e della meta, il mistero dell'uomo rivelato da Cristo.
Colpisce, e suscita ammirazione, la singolare coerenza che lega l'azione del pontificato: la sfida a tutto ciò che offende e sgretola la dignità umana.
Da sempre, Karol Wojtyla era convinto che le genti del '900 dovevano misurarsi con la crisi della fondamentale unicità della persona umana. L'umanesimo vero, che egli contrapponeva all'illusorio umanesimo marxista, è indicato nella prima enciclica, Redemptor hominis (1979): "Solamente nel mistero del Verbo incarnato trova vera luce il mistero dell'uomo [...] Cristo, rivelando il mistero del Padre e del suo amore, svela anche pienamente l'uomo all'uomo e gli fa nota la sua altissima vocazione".
La prima sfida fu lanciata da Giovanni Paolo II ai regimi comunisti dell'Est europeo quando, nel primo viaggio in Polonia (1979), rivendicò la "sovranità della nazione", cioè il suo diritto all'esistenza, alla libertà, a essere soggetto socio-politico; e quando, come "Papa polacco, Papa slavo", superando l'artificiosa divisione di Yalta, proclamò l'unità cristiana dell'Europa, formata di due grandi tradizioni, l'Occidente e l'Oriente.
Giovanni Paolo II aveva chiaro l'"errore antropologico" del marxismo, che riduceva l'uomo all'unica dimensione materiale e negava le sue esigenze fondamentali, anzitutto l'anelito trascendentale, motivo per cui era convinto che il potere sovietico fosse destinato al crollo.
All'altro lato del mondo, in America Latina, il Papa aveva enunciato a Puebla (1979) una visione teologica per cui la liberazione rappresenta un grande tema biblico e cristiano, ma il concetto cristiano di liberazione scaturisce dalla dimensione soteriologica (liberazione dal peccato e dalla morte) e da questa può venire un impulso all'affrancarsi dei popoli anche dalle oppressioni storiche.
Questa visione di un umanesimo cristiano si allargò sempre più a dimensione planetaria, prendendo nuovo vigore dopo la caduta del Muro di Berlino, con un'azione ispirata a tenere distinto il papato e la Chiesa da qualsiasi potere; indicando nel liberismo consumistico l'insidiosità spirituale contenuta nella "idolatria del mercato" (Centesimus annus); sollecitando i credenti delle varie religioni a rifiutare che la fede in Dio sia motivo di intolleranza e a sviluppare i valori della fraternità e della pace. Un invito già rivolto ai musulmani di Casablanca e poi alle cristianità del Libano.
Inoltre, ha incoraggiato l'unità morale e politica di un'Europa aperta all'Est, generosa verso gli altri continenti, vigilante nel custodire la natura, testimone di riconciliazione tra europei e di accoglienza agli stranieri; ha invocato, in ogni contesto di luogo e di tempo, la pace. Giovanni Paolo II ha sempre condannato la guerra.
Benché nei vari momenti la scena del mondo sia stata occupata dai personaggi più diversi, il ministero di Giovanni Paolo II è stato sempre un atto unico.
È sempre viva la memoria di quanto il Papa disse all'assemblea dell'Unesco (1982): "Occorre difendere l'avvenire della scienza e della cultura umana. La causa dell'uomo sarà servita se la scienza si allea alla coscienza. Lo dico a voi, uomini di scienza, io, figlio dell'umanità e vescovo di Roma". Figlio dell'umanità, partecipe e solidale delle sofferenze e delle attese del suo tempo, per incoraggiare gli uomini a coltivare "la ricerca della verità, l'insaziabile bisogno del bene, la fame della libertà, la nostalgia del bello, la voce della coscienza" (Redemptor hominis).
Ma si sbaglierebbe a interpretare questo pontificato come "sociologico". La "cifra" che ci aiuta a capirlo è piuttosto in quel grido: "Aprite le porte a Cristo!". È la "nuova evangelizzazione" il suo programma.
Giovanni Paolo II ha ereditato una Chiesa in crisi (per la crescente secolarizzazione, i conflitti tra conservatori e progressisti, il calo delle vocazioni). Pur non disprezzandoli, non ha mai pensato che si dovesse superare la crisi con più affinati strumenti di governo. Ha pensato che ci volesse maggiore dinamismo pastorale: di qui i suoi viaggi, gli incontri, le giornate mondiali (dei giovani, degli infermi, delle famiglie).
Ora che anch'egli sta in carrozzella, come i malati che volle salutare per primi la mattina del ottobre di 25 anni fa, ci sta forse dicendo che tutto doveva essere fatto - encicliche, viaggi, incontri oceanici, sinodi, concistori, nuovi catechismi, beatificazioni e canonizzazioni - ma alla fine rimane la croce, scandalo e follia da duemila anni. Perché tutto ha inizio proprio da lì, da quella croce piantata nel cuore della storia.
Da lì inizia una nuova stagione per l'umanità intera perché "il Redentore dell'uomo, Gesù Cristo, è centro del cosmo e della storia". Un centro che diventa anche chiave di lettura dell'intera avventura umana, perché "in questa dimensione l'uomo ritrova la grandezza, la dignità e il valore propri della sua umanità".
E sta qui, in quel suo essere apostolo instancabile di questa dimensione insieme divina e umana, anche la vera grandezza di Giovanni Paolo II. Nel corso della prima ricorrenza, richiamata nel giorno stesso della propria elezione al soglio (16 ottobre), Giovanni Paolo II ha affermato come "sin dall'inizio del pontificato, i miei pensieri, le mie preghiere e le mie azioni sono state animate da un unico desiderio: testimoniare che Cristo, il Buon Pastore, è presente e opera nella sua Chiesa..." e ha pregato affinché "i sacrifici, preghiere e sofferenze" definiti "grande opera d'amore per il successore di Pietro" non vengano interrotti, concludendo con un accorato e commosso appello: "ve lo chiedo ancora una volta: aiutate il Papa, e quanti vogliono servire Cristo, a servire l'uomo e l'umanità intera".

UNA SPAGNA EVANGELIZZATA ED EVANGELIZZATRICE

Nei primi giorni di maggio 2003 il Santo Padre ha compiuto il quinto viaggio in Spagna.
Dieci anni dopo l'ultimo incontro, i fedeli madrileni e di altre parti del Paese hanno riabbracciato con immutato affetto Giovanni Paolo II al suo arrivo all'aeroporto internazionale di Barajas, il 3 maggio.
Nel poggiare piede per la quinta volta in Spagna, Giovanni Paolo II ha messo in risalto la lunga storia che lega il Paese iberico alla Chiesa e lo sviluppo dei "valori permanenti" sui quali la nazione ha impostato il suo sviluppo sociale e democratico.
Imperniato sul doppio aspetto del dovere della testimonianza e della devozione a Maria, in questo speciale Anno del Rosario, il Pontefice è tornato in Spagna dopo le precedenti visite dell'82, dell'84, dell'89 e del '93.
"La pace sia con te, Spagna, Paese dalle ricche e feconde radici cristiane". Questo il primo saluto del Santo Padre rivolto al Paese iberico, salutato da una nutrita folla di fedeli che sventolano bandiere giallo e rosse, i colori della Spagna, e bianco e gialle della Città del Vaticano.
In questo primo significativo momento della sua visita Giovanni Paolo II ha già evocato le risposte agli interrogativi di questo viaggio dal tema Sarete miei testimoni.
L'augurio di pace rivolto alla Spagna va oltre il semplice auspicio dopo le dolorose crisi internazionali che in Iraq sono sfociate nella guerra, una guerra apertamente appoggiata dal governo di Madrid.
La pace è un bene sempre raggiungibile, non dimenticando gli altri valori del vivere insieme.
Sul piano pastorale, Giovanni Paolo II ha chiesto ai laici cattolici d'essere protagonisti di una nuova evangelizzazione: "Una Spagna evangelizzata ed evangelizzatrice: questo è il cammino".
Lo stesso giorno, nell'incontro con i giovani presso la base aerea di Cuatro Vientos a Madrid, Karol Wojtyla ha evocato il ruolo di Maria che "oltre a essere la madre vicina, discreta e comprensiva, è la migliore maestra per giungere alla conoscenza della verità attraverso la contemplazione. Il dramma della cultura attuale è la mancanza di interiorità, l'assenza di contemplazione. Senza interiorità la cultura è priva di contenuto, è come un corpo che non ha ancora trovato la sua anima [...]. Quando manca lo spirito contemplativo non si difende la vita e si ricompone tutto ciò che è umano. Senza interiorità l'uomo moderno mette in pericolo la sua stessa integrità [...]; Maria vi insegnerà a non separare mai l'azione dalla contemplazione", e ha quindi concluso: "mantenetevi lontani da ogni forma di nazionalismo esasperato, di razzismo e di intolleranza. Testimoniate con la vostra vita che le idee non si impongono, ma si propongono. Poiché Cristo è la risposta vera a tutte le domande sull'uomo e sul suo destino. È necessario che voi giovani diveniate apostoli dei vostri coetanei". Nel discorso ai giovani, inoltre, sogna "un'Europa fedele alle sue radici cristiane, non chiusa in se stessa ma aperta al dialogo e alla collaborazione con gli altri popoli della Terra; un'Europa cosciente di essere chiamata a diventare faro di civiltà e stimolo di progresso per il mondo, decisa a unire i propri sforzi e la propria creatività al servizio della pace e della solidarietà tra i popoli".
Il giorno seguente, si è celebrato il momento culminante di questa visita, la canonizzazione di "cinque figli di questa Terra" nella centrale piazza Colón a Madrid.
Giovanni Paolo II ha indicato nei cinque nuovi santi spagnoli altrettanti modelli di incarnazione del Vangelo: "In questo momento storico essi sono luce del nostro cammino per vivere con coraggio la fede e per costruire una società basata sulla serena convivenza e sull'elevazione morale e umana di ogni cittadino. E a questo punto il Papa ha espresso l'auspicio che "progresso" non voglia dire abbandonare i valori autentici della convivenza civile".
Il papa con re Juan Carlos di Spagna e sua moglie Sofia a Madrid, il 3 maggio 2003


IL PAPA PER LA TERZA VOLTA IN CROAZIA INVITA A CURARE LE FERITE DEL PASSATO E RILANCIA IL GENIO DELLA DONNA

Nei giorni tra il 5 e il 9 giugno 2003 Giovanni Paolo II si è mosso per il 100° viaggio apostolico, visitando per la terza volta la Croazia.
Cinque giorni, cinque città diverse, per oltre 2.000 chilometri di spostamenti attraverso un Paese impegnato nella delicata transizione verso il traguardo dell'Unione europea.
Dopo le visite del 1994 e del 1998, il Papa torna in Croazia con il desiderio di dare spazio e testimonianza alla famiglia e al suo ruolo in una società, come quella contemporanea, dove i cristiani sono chiamati a dare testimonianza di comunione di fronte ai numerosi conflitti che la lacerano.
Ma torna per consegnare alla devozione dei croati un altro modello di fedeltà evangelica, con la beatificazione di suor Marija di Gesù Crocifisso Petkovic, fondatrice della Congregazione francescana delle Figlie della Misericordia.
Nel discorso all'Aeroporto internazionale di Rijeka il Papa ha evocato le antiche radici cristiane della Croazia "irrorata dal sangue di tanti martiri" e ha proseguito dicendo che così come il cristianesimo ha recato "un grande contributo allo sviluppo della Croazia nel passato, esso potrà continuare a contribuire efficacemente al suo presente e al suo futuro. Ci sono infatti valori, quali la dignità della persona, l'onestà morale e intellettuale, la libertà religiosa, la difesa della famiglia, l'accoglienza e il rispetto per la vita, la solidarietà, la sussidiarietà e la partecipazione, il rispetto delle minoranze, che sono iscritti nella natura di ogni essere umano, ma che il cristianesimo ha il merito di aver con chiarezza individuato e proclamato. Su tali valori si fonda la stabilità e la vera grandezza di una Nazione [...].
Sono ancora presenti i segni dolorosi di un recente passato: non si stanchino quanti sono investiti di autorità in campo sia civile sia religioso di curare le ferite causate da una guerra crudele e di sanare le conseguenze di un sistema totalitario che per troppo tempo ha tentato di imporre una ideologia contraria all'uomo e alla sua dignità".
A tutti i croati ha domandato di costruire insieme "una stabilità sociale che promuova ulteriormente l'impegno lavorativo, la pubblica assistenza, l'educazione aperta a tutta la gioventù, l'affrancamento da ogni forma di povertà e disuguaglianza, in un clima di cordiale rapporto con i Paesi vicini".
Il Papa è tornato su questi temi anche nelle altre tappe della sua visita in Croazia. Vi ha insistito a Osijek, nell'incontro con la gente della Slavonia. Sull'altare erano stati portati un crocifisso mitragliato dai serbi nella vicina Vukovar (la città con il maggior numero di morti e "scomparsi" nella guerra serbo-croata), una statua e un quadro della Madonna ugualmente oltraggiati.
"Dopo i tempi duri della guerra, che ha lasciato ferite profonde non ancora completamente rimarginate", ha detto il Papa, "l'impegno per la riconciliazione, la solidarietà e la giustizia sociale richiede il coraggio di individui animati dalla fede, aperti all'amore fraterno, sensibili alla difesa della dignità della persona, fatta a immagine di Dio".
Alla celebrazione presieduta dal Papa erano presenti il metropolita ortodosso Jovan e una delegazione del patriarcato ortodosso-serbo.

A Dubrovnik il Papa beatifica la prima donna croata, suor Marija Petkovič

Dopo un'attesa di 539 anni il Papa è arrivato a Dubrovnik. Dalla Dalmazia meridionale, frontiera con l'Islam e l'ortodossia, Giovanni Paolo II torna a sottolineare le antiche radici cristiane della Croazia. Suor Marija Propetoga Isusa Petkovič, elevata agli onori degli altari davanti a 50.000 fedeli nel porto di Dubrovnik, rappresenta un nuovo intrepido testimone dei valori cristiani che nel corso dei secoli hanno recato un grande contributo allo sviluppo del Paese. Fondatrice della Congregazione delle Figlie della Misericordia, è la prima donna croata a essere beatificata. Durante il regime comunista jugoslavo, Suor Petkovic ha educato ai valori della dignità umana giovani donne in difficoltà, contribuendo alla rievangelizzazione della società e alla pacificazione attraverso l'esperienza quotidiana dell'amore gratuito.
Ma il Papa si rivolge a tutte le donne croate. Religiose, ma anche spose e madri. Ne sollecita il 'genio' femminile che nella frenesia della vita moderna può assicurare sensibilità per l'uomo in ogni circostanza. Una presenza indispensabile nella famiglia, nella società e nella comunità ecclesiale.

A Rijeka il Papa richiama ancora una volta le famiglie a essere testimoni della fede cristiana

Ai piedi della collina dove sorge il santuario mariano di Trsat, dove secondo la tradizione fu custodita dal 1291 al 1294 la Santa Casa di Nazareth, trasportata poi a Loreto, l'8 giugno la parola forte del Papa si è levata nella domenica di Pentecoste, dedicata alla famiglia.
"Aiutando la famiglia - ha fatto notare - si contribuisce anche alla soluzione di altri gravi problemi, quali per esempio l'assistenza ai malati e agli anziani, il freno al dilagare della criminalità, un rimedio al ricorso alla droga", esortando le famiglie cristiane a proporre "innanzitutto con la testimonianza della vostra vita, l'autentico progetto di Dio sulla famiglia come comunità di vita fondata sul matrimonio, cioè sull'unione stabile e fedele di un uomo e di una donna, tra loro legati da un vincolo pubblicamente manifestato e riconosciuto".
Rivolgendosi poi agli oltre 140.000 fedeli presenti Giovanni Paolo II li ha invitati a non esitare nel proporre "l'autentico progetto di Dio sulla famiglia come comunità di vita fondata sul matrimonio, cioè sull'unione stabile e fedele di un uomo e di una donna" legati da un vincolo pubblico. In una società frammentata e divisa, ai genitori spetta il carico dell'educazione umana e cristiana dei figli con l'aiuto di educatori e catechisti seri e ben formati.
Anche da Rjieka il Papa ha rinnovato l'invito alla riconciliazione e ha esortato i coniugi croati a essere il popolo della speranza e della preghiera per superare, grazie allo Spirito Santo, ogni dispersione e ricucire ogni lacerazione.
Prima del Regina Coeli, Giovanni Paolo II ha salutato i giovani della Croazia, rinnovando l'invito delle recenti Giornate mondiali della gioventù a essere "sentinelle del mattino e popolo delle beatitudini", in vista delle grandi responsabilità a cui saranno chiamati nella vita familiare e professionale.

UN VIAGGIO IN MEMORIA DELLE VITTIME INNOCENTI DELLA BOSNIA ERZEGOVINA

"Rifare l'uomo dal di dentro". In queste parole lapidarie pronunciate dal Papa all'arrivo in Bosnia Erzegovina, il 22 giugno 2003, all'aeroporto della città di Banja Luka, è racchiuso il significato più profondo della sua seconda visita in questo Paese che ha ancora aperte le ferite della guerra bosniaca della prima metà degli anni Novanta.
Il Santo Padre ha lanciato un forte messaggio perché la Bosnia Erzegovina "possa giungere a una situazione di piena sicurezza nella giustizia e nella concordia".
Ha lasciato una consegna: "Curare le ferite e operare un'autentica purificazione della memoria mediante il perdono reciproco", ed ha incoraggiato "a costruire rapporti nuovi di fraternità" con lo sguardo proiettato all'Europa unita in cui anche la Bosnia possa dare il suo contributo.
Nella celebrazione davanti al convento di Petricevac ha spiegato che la purificazione della memoria scaturisce dalla capacità di perdono e dalla volontà di riconciliazione. "Da questa città, segnata nel corso della storia da tanta sofferenza e tanto sangue", ha pregato, "imploro il Signore Onnipotente affinché abbia misericordia per le colpe commesse contro l'uomo, la sua dignità e la sua libertà anche da figli della Chiesa cattolica e infonda in tutti il desiderio del reciproco perdono. Soltanto in un clima di vera riconciliazione, la memoria di tante vittime innocenti e il loro sacrificio non saranno vani, ci incoraggeranno a costruire rapporti nuovi di fraternità e di comprensione".
Il Papa, che a Banja Luka ha proclamato beato Ivan Merz, un insegnante e giornalista laico nato in questa città e morto trentaduenne a Zagabria nel 1928, ha detto alla gioventù della Bosnia Erzegovina: "La vostra patria e la vostra Chiesa, carissimi giovani, hanno vissuto momenti difficili e ora occorre lavorare perché la vita riprenda pienamente a ogni livello. Mi rivolgo pertanto a ciascuno di voi, invitandovi a non tirarvi indietro, a non cedere alla tentazione dello scoraggiamento, ma a moltiplicare le iniziative perché la Bosnia Erzegovina torni a essere Terra di riconciliazione, di incontro e di pace. Il futuro di queste contrade dipende anche da voi. Non cercate altrove una vita più comoda, non fuggite le vostre responsabilità aspettando che altri risolvano i problemi, ma ponete risolutamente rimedio al male con la forza del bene".
Il papa con il membro della presidenza congiunta bosniaca, Dragan Covič


"RINGRAZIO IL SIGNORE CHE MI CONCEDE DI VISITARE PER LA TERZA VOLTA L'AMATA SLOVACCHIA"

"Una società che sia per la vita e il bene comune, e non solo motivata dagli interessi economici". È il primo chiaro messaggio che Giovanni Paolo II ha lanciato pochi istanti dopo il suo terzo ritorno nella Repubblica Slovacca.
Giovedì 11 settembre dall'aeroporto internazionale di Bratislava il Papa ha subito toccato uno dei leit-motiv di questo viaggio apostolico: "l'identità della nuova Europa" in rapporto alla tradizione cristiana della quale, ha affermato, la Slovacchia "è molto ricca".
Con la forza che lo sostiene in questo suo 102° viaggio apostolico, Giovanni Paolo II - appena sceso all'aeroporto internazionale di Bratislava - ha ringraziato il Signore per la nuova visita in Slovacchia: "Ringrazio il Signore che mi concede di calcare per la terza volta il suolo dell'amata Terra slovacca. Vengo come pellegrino del Vangelo, per portare a tutti un saluto di pace e di speranza".
Il Papa ha quindi accennato al prossimo ingresso della Slovacchia nell'Unione europea, esortando affinché "non ci si accontenti unicamente della ricerca di vantaggi economici. Una grande ricchezza, infatti, può creare anche una grande povertà. Solo edificando, pur con sacrificio e nelle difficoltà, una società che rispetti la vita umana in tutte le sue espressioni, che promuova la famiglia come luogo dell'amore reciproco e della crescita della persona, che ricerchi il bene comune e sia attenta alle esigenze dei più deboli, si avrà la garanzia di un futuro fondato su solide basi e ricco di bene per tutti". Lo stesso giorno Giovanni Paolo II ha visitato la cattedrale di San Giovanni Battista di Trnava, sita nell'arcidiocesi di Bratislava-Trnava.
Il giorno dopo nel seminario diocesano di Banská Bystrica, intervenendo alla celebrazione del decimo anniversario della costituzione della Conferenza episcopale slovacca, il Papa ha detto come la Chiesa di questa Terra "uscita dai tempi bui della persecuzione e del silenzio, nei quali offrì una prova luminosa di fedeltà al Vangelo, ha potuto in questi ultimi anni riprendere le sue attività, dandosi anche le strutture necessarie al libero esercizio della sua missione" e ha infine spronato perché venga promossa una nuova fioritura di vocazioni sacerdotali e religiose, venga seguita con cura la famiglia "tempio dell'amore e della vita, proclamando e difendendo l'unità e l'indissolubilità del matrimonio", vengano seguiti amorevolmente i giovani "che sono il presente e il futuro della Chiesa e della società", coltivando inoltre "un dialogo aperto con il mondo della cultura, sorretti dalla convinzione che fede e ragione si recano un aiuto scambievole". Durante l'omelia, il Pontefice ha nuovamente esaltato la figura di Maria, ricordando che "Dio non impone la salvezza; la propone come iniziativa d'amore, a cui occorre rispondere con una libera scelta, motivata anch'essa dall'amore" e Maria insegna il cammino verso "una libertà matura", mentre nel nostro tempo "non sono pochi i cristiani battezzati che ancora non hanno fatta propria, in maniera adulta e consapevole, la loro fede. Si dicono cristiani, ma non reagiscono con responsabilità piena alla grazia ricevuta; ancora non sanno che cosa vogliono e perché lo vogliono; [...] è urgente educarsi alla libertà. In particolare, è urgente che, nelle famiglie, i genitori educhino alla giusta libertà i propri figli, per prepararli a dare l'opportuna risposta alla chiamata di Dio".
Il giorno seguente, nella messa celebrata a Rožnava, il Papa ha rammentato che "la Parola non porta frutto automaticamente: pur essendo divina - dunque onnipotente -, si adatta alle condizioni del terreno, o meglio, accetta le risposte che il terreno dà, e che possono essere anche negative. Mistero della condiscendenza di Dio, che giunge fino a mettersi completamente nelle mani degli uomini! Perché, in fondo, il seme deposto nei diversi terreni è Gesù stesso. Noi siamo, cari fratelli e sorelle, il terreno nel quale il Signore depone instancabilmente il seme della sua Parola e del suo amore". Durante l'ultima tappa del pellegrinaggio in Slovacchia (14 settembre), presso la Spianata di Petržalka a Bratislava, Giovanni Paolo II ha lanciato un forte monito alla Terra ospite citando un versetto delle epistole paoline ai Romani: "non ti vergognare mai del Vangelo, custodiscilo nel tuo cuore come il tesoro più prezioso dal quale attingere luce e forza nel pellegrinaggio quotidiano della vita"; ha quindi ricordato i due nuovi beati il vescovo Vasil' Hopko e la religiosa Zdenka Schelingová che nelle sofferenze affrontate in un ingiusto processo, in una iniqua condanna, nelle torture, nell'umiliazione, nella solitudine e nella morte, hanno saputo scegliere la croce "divenuta per loro il cammino che li ha condotti alla vita, sorgente di fortezza e di speranza, prova di amore per Dio e per l'uomo". Il Pontefice ha quindi affidato alla Vergine Addolorata il presente e il futuro della Chiesa e della nazione slovacca "perché crescano sotto la croce di Cristo e ne sappiano sempre scoprire e accogliere il messaggio di amore e di salvezza".

DAL SANTUARIO DELLA MADONNA DI POMPEI IL PAPA LEVA LA SUA SUPPLICA DI PACE PER IL MONDO

"La Vergine santa mi ha concesso di tornare a onorarla in questo celebre santuario". Sono le prime parole con le quali Giovanni Paolo II si è rivolto alla folla presente di fronte al santuario di Pompei il 7 ottobre 2003 per la recita del Rosario.
Oltre 30 mila fedeli hanno salutato con uno sventolio di bandiere bianche e gialle, fazzoletti e un grande applauso il suo arrivo. Un pellegrinaggio dedicato al Rosario e alla preghiera per la pace nei cinque continenti e in particolare in Terra Santa.
"Ho voluto che questo mio pellegrinaggio avesse il senso di una supplica per la pace", ha detto il Pontefice dalla sua poltrona a rotelle, con il leggio, sistemata sul sagrato di una delle basiliche più care alla devozione mariana del nostro Paese. "La Terra di Gesù ritrovi la sospirata pace" è l'invocazione che ha caratterizzato il Rosario del Pontefice.
Per Giovanni Paolo II la visita a Pompei "corona in un certo senso l'Anno del Rosario", che lui stesso ha convocato il 16 ottobre 2002. Al termine della recita della preghiera il Papa ha spiegato che "abbiamo meditato i misteri della luce, quasi per proiettare la luce di Cristo sui conflitti, le tensioni e i drammi dei cinque continenti".
Con fatica, ma finendo in crescita, Giovanni Paolo II ha letto praticamente per intero il discorso che aveva preparato per la recita del Rosario.
"Oggi, come ai tempi dell'antica Pompei, è necessario annunciare Cristo a una società che si va allontanando dai valori cristiani e ne smarrisce persino la memoria. La proposta del Rosario, compendio del Vangelo, acquista il valore simbolico di un rinnovato slancio dell'annuncio cristiano nel nostro tempo".
Al termine dell'omelia durante i ringraziamenti, rivolto ai fedeli ha chiesto: "Pregate per me in questo santuario, oggi e sempre". Non è stata una lamentosa richiesta d'aiuto, ma un appello alla solidarietà per chi come lui procede, senza paura, su un terreno diventato sdrucciolevole e incerto.

"UN PROMOTORE STRAORDINARIO DEI DIRITTI UMANI": L'UNIVERSITÀ LA SAPIENZA DI ROMA CONFERISCE AL PONTEFICE LA LAUREA HONORIS CAUSA IN GIURISPRUDENZA

Il 17 maggio nell'aula Paolo VI dell'Università "La Sapienza" di Roma, alla presenza di autorità di governo e accademiche, il rettore D'Ascenzo ha conferito a Giovanni Paolo II la laurea honoris causa in giurisprudenza per l'opera svolta dal Pontefice nel corso di tutto il suo magistero, "per l'affermazione del diritto e per la tutela dei diritti umani in tutte le loro forme storiche, sia per quanto concerne la persona e i suoi diritti individuali, sia con riferimento ai rapporti tra i popoli e al diritto internazionale".
Il rettore, nel suo discorso, ha auspicato che Giovanni Paolo II venga insignito del titolo di "Magno" come alcuni suoi predecessori, da Leone I (440-461) a Gregorio I (590-604) a Niccolò I (858-867).
Intensa la Lectio magistralis pronunciata dal Santo Padre dedicata alla difesa e "al largo spazio" riservato dall'inizio del suo ministero pastorale "all'affermazione dei diritti umani, per la stretta connessione che essi hanno con due punti fondamentali della morale cristiana: la dignità della persona e la pace. Mosso da questa consapevolezza" - ha detto il Papa - "mi sono adoperato con tutte le forze a servizio di tali valori. Ma non potevo svolgere questa missione, richiestami dall'ufficio apostolico, senza far ricorso alle categorie del diritto".
Il riconoscimento prestigioso si è compiuto sullo sfondo di due eventi straordinari: il venticinquesimo anno di pontificato e i 700 anni dalla nascita dell'ateneo romano.
Quella del 17 maggio è l'undicesima laurea honoris causa che il Santo Padre riceve.
La prima laurea gli fu conferita il 23 giugno del 1977, l'anno precedente alla sua elezione al pontificato, dall'Università Johannes Gutemberg di Magonza (Germania) e l'ultima, il 15 dicembre 2001, dall'Università Cardinal Wyszynski di Varsavia (Polonia), segno tangibile dell'eccezionale contributo dato alla cultura dal Santo Padre.
Un’immagine di papa Giovanni Paolo II


COL VANGELO L'EUROPA PUÒ FECONDARE IL MONDO

L'Esortazione apostolica di Giovanni Paolo II, Ecclesia in Europa, si inserisce in un dibattito importante: la Chiesa sente di avere parecchio da dire sull'Europa. Tanti sono i temi toccati dal documento del Papa.
Giovanni Paolo II ribadisce nel nuovo documento che il cristianesimo è una radice fondamentale del continente. Fin dall'inizio del suo pontificato ha parlato di una grande e unica Europa. Sembrava un'utopia durante la guerra fredda, ma oggi è una realtà, attraverso l'Unione.
Certo l'Unione è distinta dalla grande Europa che comprende i Balcani, la Bulgaria, la Romania, l'ex Unione Sovietica (tra cui la Russia). La Chiesa, in questo documento, guarda alla grande Europa, anche se considera l'Unione un'acquisizione decisiva.
L'Esortazione apostolica Ecclesia in Europa si riferisce al secondo Sinodo sull'Europa, convocato dal Papa nel 1999: parla della missione dei cristiani nel continente e della funzione di questo nel mondo.
Da sempre Giovanni Paolo II pensa che l'Europa abbia il compito di essere promotrice di valori universali in tutto il mondo: l'Europa, dice, "deve essere un continente aperto e accogliente, continuando a realizzare forme di cooperazione non solo economica, ma anche sociale e culturale".
L'Europa non può chiudersi su se stessa: il Papa sogna che il continente si faccia "parte attiva nel promuovere e realizzare una globalizzazione nella solidarietà". Il lavoro per la pace è il primo appuntamento in questo senso.
Non si può, soprattutto, dimenticare l'Africa che si fa vicina, non fosse altro, con l'immigrazione. Dietro agli sbarchi degli emigrati sulle coste europee sta un corteo dolente che parte da tanti Paesi africani e che passa per i deserti.
L'Europa deve lavorare di più per la rinascita dell'Africa, perché non ha un diverso destino da quel continente.
La missione e la vita stessa dell'Europa - secondo il pensiero di Giovanni Paolo II - devono essere abitate dalla presenza viva dei cristiani con la comunicazione del Vangelo. Il Papa coglie nel cuore degli europei una grande domanda di speranza, nascosta nella rassegnazione. Il Vangelo - afferma Giovanni Paolo II - è il libro dell'Europa: "Chiesa d'Europa, entra nel nuovo millennio con il Libro del Vangelo!", egli dice.
Nel vecchio continente libertà, democrazia, fede, promozione di valori universali formano un impasto ricco e complesso che può fecondare il futuro del mondo intero.
Un primo piano di papa Giovanni Paolo II


LA CHIESA VIVE DELL'EUCARISTIA

Nel venticinquesimo anno di pontificato Giovanni Paolo II ha promulgato la sua 14ª enciclica dal titolo Ecclesia de Eucharistia, sull'eucaristia nel suo rapporto con la Chiesa; in essa si condanna la pratica dell'intercomunione con i protestanti, l'ammissione all'eucaristia di persone non in stato di grazia e la consacrazione eucaristica da parte di un ministro non ordinato.
Viene ribadito che la Chiesa vive dell'eucaristia e che "questa verità non esprime soltanto un'esperienza quotidiana di fede, ma racchiude in sintesi il nucleo del mistero della Chiesa. Con gioia essa sperimenta in molteplici forme il continuo avverarsi della promessa: 'Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo'; ma nella sacra eucaristia, per la conversione del pane e del vino nel corpo e nel sangue del Signore, essa gioisce di questa presenza con un'intensità unica [...]. Gli Apostoli che presero parte all'ultima cena capirono il significato delle parole uscite dalle labbra di Cristo? Forse no; quelle parole si sarebbero chiarite pienamente soltanto al termine del Triduum sacrum, del periodo cioè che va dalla sera del giovedì fino alla mattina della domenica [...]. Dal mistero pasquale nasce la Chiesa. Proprio per questo l'eucaristia, che del mistero pasquale è il sacramento per eccellenza, si pone al centro della vita ecclesiale".
Nel pronunciare le parole "Mistero della fede!" e nell'acclamazione della comunità dei fedeli ("Annunziamo la tua morte, Signore, proclamiamo la tua risurrezione, nell'attesa della tua venuta") "la Chiesa, mentre addita il Cristo nel mistero della sua Passione, rivela anche il suo proprio mistero: Ecclesia de Eucharistia. Se con il dono dello Spirito Santo a Pentecoste la Chiesa viene alla luce e si incammina per le strade del mondo, un momento decisivo della sua formazione è certamente l'istituzione dell'eucaristia nel Cenacolo [...]. In questo dono Gesù Cristo consegnava alla Chiesa l'attualizzazione perenne del mistero pasquale".
È stato inoltre indicato come emerga talvolta "una comprensione assai riduttiva del mistero eucaristico. Spogliato del suo valore sacrificale, viene vissuto come se non oltrepassasse il senso e il valore di un incontro conviviale fraterno [...]. Anche, qua e là, iniziative ecumeniche che, pur generose nelle intenzioni, indulgono a prassi eucaristiche contrarie alla disciplina nella quale la Chiesa esprime la sua fede. Come non manifestare, per tutto questo, profondo dolore? L'eucaristia è un dono troppo grande, per sopportare ambiguità e diminuzioni".

MADRE TERESA DI CALCUTTA, SERVA DEGLI ULTIMI, È ISCRITTA DAL PAPA NELL'ALBO DEI BEATI

Domenica 19 ottobre 2003: Madre Teresa di Calcutta è beata. Un evento ecclesiale, mondiale e mediatico.
Al centro della festa, i poveri, come avrebbe voluto la piccola "grande" suora di origine albanese e di nazionalità indiana, che Giovanni Paolo II, nella cornice di piazza San Pietro, ha elevato all'onore degli altari con la solenne "cappella papale", insieme a più di 40 concelebranti, tra cui il cardinale arcivescovo di Bombay, Ivan Dias, l'arcivescovo di Calcutta, Lucas Sirkar, l'arcivescovo di Scutari, Angelo Massafra, davanti a una folla valutata alla fine in 300.000 persone e alle delegazioni giunte da ogni parte del mondo.
Duemila poveri in prima fila, al posto d'onore, insieme alle suore della carità con il sari bianco bordato di blu, sul sagrato della basilica vaticana addobbato di fiori, in una sorprendente mattinata di sole.
I grandi della Terra, rappresentati da una trentina di delegazioni ufficiali, a cominciare dai presidenti di Albania, Macedonia, Terra natale di Madre Teresa, Kosovo, e in rappresentanza dell'India il ministro della giustizia. Significativa anche la delegazione ecumenica e interreligiosa, con esponenti della Chiesa ortodossa e di due Comunità musulmane d'Albania.
Con suor Nirmala Joshi, superiora generale delle Missionarie della Carità, presenti naturalmente i responsabili degli altri istituti fondati da Madre Teresa, tra cui i rami contemplativi delle suore e dei fratelli.
Canti, danze e preghiere tipici della cultura indiana hanno costellato il solenne rito, trasmesso in mondovisione, con 77 enti televisivi di 48 Paesi.
Il senso della gioia, con applausi e canti, è esploso quando il Papa, dopo la "domanda" canonica pronunciata dall'arcivescovo di Calcutta, Lucas Sirkar, e alcuni cenni biografici della religiosa, ha pronunciato la formula di beatificazione, fissando la festa di Madre Teresa "nel giorno della sua nascita al cielo", il 5 settembre. È la beata numero 1.321 proclamata da Giovanni Paolo II in questi 25 anni.
Papa Wojtyla ha pronunciato un'omelia breve e ricca di ricordi personali: "Sono grato a questa donna coraggiosa, che ho sempre sentito accanto a me. Icona del Buon Samaritano, si recava ovunque per servire Cristo nei più poveri fra i poveri. Nemmeno i conflitti e le guerre riuscivano a fermarla". Il Papa ha rivelato che "ogni tanto veniva a parlarmi delle sue esperienze a servizio dei valori evangelici". Ha spiegato che tutta la sua vita è stata un modo "sfacciato di vivere il Vangelo. Nelle ore più buie s'aggrappava con più tenacia alla preghiera davanti al Santissimo Sacramento. Questo duro travaglio spirituale l'ha portata a identificarsi sempre più con coloro che ogni giorno serviva, sperimentandone la pena e talora perfino il rigetto. Amava ripetere che la più grande povertà è quella di essere indesiderati".
Significativo poi che la sua beatificazione avvenga proprio nella Giornata missionaria mondiale. "Con la testimonianza della sua vita - infatti - Madre Teresa ricorda a tutti che la missione evangelizzatrice della Chiesa passa attraverso la carità, alimentata nella preghiera e nell'ascolto della parola di Dio". "Emblematica di questo stile missionario", per Giovanni Paolo II, "è l'immagine che ritrae la nuova Beata mentre stringe, con una mano, quella di un bambino e, con l'altra, fa scorrere la corona del Rosario".
Nel discorso tenuto ai pellegrini convenuti a Roma per la beatificazione della serva di Dio il Pontefice ha detto come Madre Teresa sia stata missionaria di Dio e come brilli in modo particolare nella schiera dei santi della carità, come abbia trovato la forza per porsi totalmente al servizio altrui "nella preghiera e nella contemplazione silenziosa di Gesù Cristo, del suo santo Volto, del suo Sacro Cuore".
Papa Giovanni Paolo II con Madre Teresa


IL 103° VIAGGIO APOSTOLICO PORTA GIOVANNI PAOLO II IN SVIZZERA

Il 5 e 6 giugno 2004, per la terza volta nel suo pontificato, Giovanni Paolo II si è recato in Svizzera.
A vent'anni di distanza dall'ultima sua visita, Giovanni Paolo II è tornato per ricevere l'abbraccio dei fedeli elvetici e dei giovani in particolare. Nel discorso rivolto al presidente del Consiglio federale, Joseph Deiss, all'aeroporto di Payerne, vicino Berna, il Pontefice, ha sottolineato come scopo di questa visita sia proprio l'incontro con i giovani cattolici della Svizzera. "Sarà una festa per loro - ha detto - e anche per me".
"La divina provvidenza - ha affermato il Papa - mi conduce in questo nobile Paese", "crocevia di idiomi e di culture, per incontrare un popolo custode di antiche tradizioni e aperto alla modernità".
Nel salutare i vescovi della Svizzera e le comunità ecclesiali di ogni cantone, il Papa ha quindi rivolto un pensiero speciale ai cristiani delle altre confessioni e a tutte le persone di buona volontà operanti nel Paese. Dal canto suo, il presidente Deiss ha annunciato ufficialmente che in occasione della visita del Papa, il Consiglio federale ha deciso di normalizzare le relazioni diplomatiche tra Svizzera e Santa Sede.
La decisione, ha spiegato, riflette il rapporto stretto tra Berna e Vaticano in favore della pace, del rispetto del diritto internazionale e, ancora, la tutela dei diritti umani.
Come segno d'affetto verso il popolo svizzero, il Papa ha chiesto di essere accompagnato, in questo viaggio, da quattro Guardie svizzere, le più anziane in servizio attivo - una per ogni lingua nazionale - rigorosamente in alta uniforme.
Nell'incontro con i circa 12.000 giovani cattolici svizzeri raccolti al Palazzo del Ghiaccio della Bea Bern Expo, citando l'episodio del giovane di Naim, Karol Wojtyla ha chiarito come anche nella società contemporanea sia possibile essere schiacciati dalla tristezza, ma solo se "vi lasciate andare alla disperazione, se i miraggi della società dei consumi vi seducono e vi distolgono dalla vera gioia per inghiottirvi in piaceri passeggeri, se l'indifferenza e la superficialità vi avvolgono, se di fronte al male e alla sofferenza dubitate della presenza di Dio e del suo amore per ogni persona, se ricercate nella deriva di un'affettività disordinata l'appagamento della sete interiore di amore vero e puro.
Ebbene, io dico a voi, cari giovani: non abbiate paura di incontrare Gesù: cercatelo anzi nella lettura attenta e disponibile della Sacra Scrittura e nella preghiera personale e comunitaria; cercatelo nella partecipazione attiva all'eucaristia; cercatelo incontrando un sacerdote per il sacramento della Riconciliazione; cercatelo nella Chiesa, che si manifesta a voi nei gruppi parrocchiali, nei movimenti e nelle associazioni; cercatelo nel volto del fratello sofferente, bisognoso, straniero".
Il Santo Padre ha quindi aggiunto un secondo invito, perché non ci si stanchi di allenarsi "alla disciplina difficile dell'ascolto [...]. Ascolta la voce del Signore che ti parla attraverso gli avvenimenti della vita quotidiana, attraverso le gioie e le sofferenze che l'accompagnano. Se saprai aprire il cuore e la mente con disponibilità, scoprirai "la tua vocazione", quel progetto cioè che da sempre Iddio, nel suo amore, ha pensato per te. E potrai costituire una famiglia, fondata sul matrimonio quale patto d'amore tra un uomo e una donna che si impegnano a una comunione di vita stabile e fedele; potrai essere, se questa è la tua chiamata, sacerdote, religioso o religiosa, donando con cuore indiviso la tua vita a Cristo e alla Chiesa"; concludendo con un forte richiamo, ossia che "agli inizi di questo terzo millennio, anche voi, giovani, siete chiamati a proclamare il messaggio del Vangelo con la testimonianza della vita".
Il giorno seguente durante la messa nell'Almend di Berna, Giovanni Paolo II ha ricordato come il mondo abbia oggi bisogno di "un supplemento di speranza" e come la celebrazione del mistero della Santissima Trinità costituisca per i cristiani "un forte richiamo all'impegno per l'unità"; e di fronte alla domanda su che cosa sia la verità, il Papa ha precisato: "La giusta formulazione della domanda non è dunque "Che cos'è la verità?", ma "Chi è la verità?". Questa è la domanda che si pone anche l'uomo del terzo millennio. Cari fratelli e sorelle, non possiamo tacere la risposta, perché noi la conosciamo! La verità è Gesù Cristo, venuto nel mondo per rivelarci e donarci l'amore del Padre. Siamo chiamati a testimoniare questa verità con la parola e soprattutto con la vita".
Assai singolare e degno di menzione è stato poi l'incontro con l'Associazione degli ex appartenenti al corpo delle Guardie svizzere (svoltosi nel piazzale antistante la Residenza Viktoriaheim) che da cinque secoli assicura al successore di Pietro e alla Santa Sede il prezioso e stimato servizio della Guardia svizzera pontificia: "i giovani che da qui vengono a Roma per questo singolare servizio al Pontefice - ha detto il Papa - sono ragazzi che fanno onore alle loro famiglie e alle parrocchie della Svizzera [...]. Vi ringrazio vivamente per quanto avete fatto e continuate a fare, e vi incoraggio a perseverare nel vostro impegno di testimonianza a Cristo e di fedeltà alla Chiesa in mezzo a un mondo che cambia".
Giovanni Paolo II viene accolto dal presidente svizzero Joseph Deiss (5 giugno 2004)


IL PAPA IN PREGHIERA NELLA GROTTA DI LOURDES

In occasione del 150° anno dalla proclamazione del dogma dell'Immacolata Concezione, il Papa ha voluto inaugurare le celebrazioni mariane proprio nel luogo dove la Vergine ribadì a santa Bernadette Soubirous l'autenticità di tale principio di fede.
All'arrivo presso l'aeroporto di Tarbes il 14 agosto 2004, Giovanni Paolo II ha sottolineato che pur "Nel rispetto delle responsabilità e delle competenze di ciascuno, la Chiesa cattolica desidera offrire alla società un suo specifico contributo nell'edificazione di un mondo in cui i grandi ideali di libertà, di uguaglianza e di fraternità possano costituire la base del vivere sociale, nella ricerca e nella promozione instancabile del bene comune".
Recatosi quindi a Lourdes per la recita del santo Rosario e la seguente processione dalla grotta di Massabielle alla basilica, il Santo Padre ha dichiarato che apparendo a Bernadette la Vergine Maria abbia avviato un dialogo tra cielo e terra, affidando quindi alla Mater Gratiae l'ottenimento del "sospirato dono della pace" per il mondo, affinché "ogni uomo veda nell'altro non un nemico da combattere, ma un fratello da accogliere e amare, per costruire insieme un mondo migliore".
Il giorno seguente, presso la Prairie de la Ribère, commentando la visita di Maria a santa Elisabetta il Pontefice ha ribadito come al canto di grazie del Magnificat segua il silenzio: "sui tre mesi di permanenza accanto alla cugina Elisabetta nulla ci è detto: il bene non fa rumore, la forza dell'amore s'esprime nella quiete discreta del servizio quotidiano. Con le sue parole e col suo silenzio la Vergine Maria sta davanti a noi come modello per il nostro cammino.
È un cammino non facile: per la colpa dei progenitori, l'umanità porta in sé la ferita del peccato, le cui conseguenze continuano a farsi sentire anche nei redenti [...]. Giovani, che cercate una risposta capace di dare senso alla vostra vita. Qui la potete trovare; una risposta esigente, ma è la sola pienamente appagante. Uno speciale appello anche per voi, donne. Apparendo nella grotta, Maria ha affidato il suo messaggio a una ragazza, quasi a sottolineare la particolare missione che spetta alla donna in questo nostro tempo, tentato dal materialismo e dalla secolarizzazione: essere nella società di oggi testimone di quei valori essenziali che si vedono solo con gli occhi del cuore".
Papa Wojtyla raccolto in preghiera nella grotta del miracolo a Lourdes


A LOURDES IL PAPA LANCIA UN APPELLO AL RISPETTO DELLA VITA UMANA

"Il male e la morte non avranno l'ultima parola" così afferma il Papa il 15 agosto da Lourdes nell'omelia in occasione della solennità dell'Assunzione della Vergine Maria al Cielo.
Davanti alla Grotta del miracolo di Massabielle, solo e in silenzio, il suo seguito ha assistito a rispettosa distanza al dialogo assorto tra il cuore del Papa e il "cuore di Lourdes", l'Immacolata.
Il secondo pellegrinaggio di Giovanni Paolo II si chiude così, con qualche minuto di ritardo sui tempi del protocollo e con le telecamere mute a scrutare per dieci minuti un volto che, a differenza dell'arrivo, questa volta tiene per sé i suoi pensieri, prima di congedarsi da una folla invariabilmente affettuosa e festante al passaggio del "suo" Papa.
Ma la seconda giornata di Giovanni Paolo II a Lourdes è stata tutt'altro che avara di parole. Di fronte ai circa 250.000 fedeli - 2.000 dei quali malati e portatori di handicap - che sin dalle tre e mezzo di mattina avevano iniziato a prendere posto nella grande spianata erbosa sull'altra riva del Gave, il Pontefice ha per così dire deposto le vesti del pellegrino per rivestire quelle del pastore universale.
Nella messa concelebrata insieme con una ventina di cardinali, oltre 80 vescovi e 1.200 sacerdoti, il Papa, indicando nella Vergine un modello di servizio e di umiltà, ha levato tre appelli: per i giovani, speranza del mondo, che qui a Lourdes, ha detto, possono trovare una parola che dia "senso" alla loro vita. Per le donne che, nell'umanità secolarizzata di oggi, sono chiamate a essere testimoni dei "valori più essenziali", quelli che si vedono solo con gli occhi del cuore. E, ancora una volta, per la tutela della vita:
"A tutti voi, fratelli e sorelle, lancio un pressante appello perché facciate tutto ciò che è in vostro potere affinché la vita, tutta la vita, sia rispettata dal concepimento sino alla sua fine naturale. La vita è un dono sacro, di cui nessuno può farsi padrone!"
E riflettendo sui dogmi dell'Assunzione e dell'Immacolata Concezione, oggi "intimamente legati" in uno straordinario momento celebrativo, il Papa ha proseguito affermando che i credenti non hanno in Maria solo un modello da imitare, ma anche il segno visibile della "promessa" fatta da Dio all'uomo che ha reso la Madre di Dio il simbolo della natura umana redenta.
All'Angelus, poi, Giovanni Paolo II ha salutato in particolare i giovani francesi. Ricordando gli incontri avuti con loro negli anni passati - ha esclamato:
"Questi incontri mi hanno dato una grande speranza, che oggi voglio condividere con voi, cari giovani amici. Ponetevi alla scuola di Maria e porterete nel mondo una ventata di speranza!"
Poi un ininterrotto applauso sulle note del Magnificat, il lento procedere della papamobile tra la folla, e la partenza di un Pontefice che a Lourdes ha potuto ripetere ancora una volta a Maria "Totus tuus".
Papa Wojtyla nella grotta del santuario della Vergine Maria a Lourdes


GIOVANNI PAOLO II PROCLAMA I SANTI DEL 2004

Il 16 maggio 2004, nel suggestivo scenario di piazza San Pietro, decorata con oltre 8.000 fiori di tutti i colori, posti su un enorme prato disteso sul sagrato della basilica, di fronte a 50.000 pellegrini, Giovanni Paolo II ha celebrato la canonizzazione di sei nuovi santi: quattro italiani, di cui tre religiosi, don Luigi Orione, Annibale Maria Di Francia, Paola Elisabetta Cerioli, e una mamma, Gianna Beretta Molla; un religioso spagnolo, Giuseppe Manyanet y Vives, e il monaco libanese maronita, Nimatullah Kassab Al-Hardini.
Uomini e donne controcorrente, che di fronte al male presente nel mondo hanno risposto con l'amore di Cristo, portando la sua luce e la sua pace, dove c'erano tenebre e violenza. Con queste nuove canonizzazioni salgono a 483 i santi proclamati da Giovanni Paolo II.
Lo stendardo con l’immagine del sacerdote spagnolo Giuseppe Manyamet y Vives


Gianna Beretta Molla: l'amore materno sale sugli altari

Gianna Beretta Molla dopo la laurea in Medicina (1949) e la specializzazione in Pediatria (1952), divenne madre di tre bimbi (1956, 1957 e 1959); nel settembre 1961, verso il termine del secondo mese di una quarta gravidanza, presentandosi un fibroma all'utero e, pur sapendo il rischio connesso al proprio stato, supplicò il chirurgo di salvare la vita che portava in grembo: il 21 aprile 1962 diede alla luce Gianna Emanuela, spegnendosi santamente il mattino del 28 aprile.
Fu beatificata da Giovanni Paolo II il 24 aprile 1994, nell'Anno internazionale della famiglia.
"Sull'esempio di Cristo, che 'avendo amato i suoi... li amò sino alla fine' - ha detto il Papa - questa santa madre di famiglia si mantenne eroicamente fedele all'impegno assunto il giorno del matrimonio".
"Possa la nostra epoca - ha affermato Giovanni Paolo II - riscoprire, attraverso l'esempio di Gianna Beretta Molla, la bellezza pura, casta e feconda dell'amore coniugale, vissuto come risposta alla chiamata divina!".
Un'immagine di Gianna Beretta Molla


Luigi Orione sulle orme di don Bosco

Luigi Orione nacque nel 1872 a Pontecurone, nella diocesi di Tortona; il 14 settembre 1885 venne accolto nel convento francescano di Voghera (Pavia), ma una polmonite lo costrinse a tornare in famiglia (giugno 1886).
Dall'ottobre 1886 all'agosto 1889 fu allievo dell'Oratorio di Valdocco in Torino, dove san Giovanni Bosco lo annoverò tra i suoi prediletti; il 13 aprile 1895 fu ordinato sacerdote, aprendo quindi nuove case collegio per i giovani a Mornico Losana (Pavia), a Noto in Sicilia, a Sanremo, a Roma.
Attorno al giovane fondatore crebbero chierici e sacerdoti che formarono il primo nucleo della Piccola Opera della Divina Provvidenza. Il vescovo di Tortona (21 marzo 1903) riconobbe canonicamente la Congregazione religiosa maschile della Piccola Opera della Divina Provvidenza, i Figli della Divina Provvidenza (sacerdoti, fratelli coadiutori ed eremiti), e ne sancì il carisma espresso apostolicamente nel "collaborare per portare i piccoli, i poveri e il popolo alla Chiesa e al Papa, mediante le opere di carità".
Nel dicembre 1913 inviò la prima spedizione di missionari in Brasile; rinnovò (dopo il cataclisma del 1908 a Reggio Calabria e Messina) l'eroismo nel soccorso ai terremotati del 13 gennaio 1915 che sconvolse la Marsica. Il 29 giugno 1915, diede inizio alla Congregazione delle Piccole Suore missionarie della Carità, animate dal carisma proprio dell'ordine maschile; nel sorse anche un ramo contemplativo, le Suore Sacramentine non vedenti adoratrici, cui si aggiungeranno successivamente anche le Contemplative di Gesù Crocifisso.
Alla periferia delle grandi città nacquero inoltre i Piccoli Cottolengo; fu così a Genova e a Milano, a Buenos Aires, a San Paolo del Brasile, a Santiago del Cile: istituzioni destinate ad accogliere i fratelli più sofferenti e bisognosi. Durante la conclusione dell'omelia per la canonizzazione Giovanni Paolo II ha voluto ricordare come "la testimonianza di Don Orione resta attualissima. Il mondo troppo spesso dominato dall'indifferenza e dalla violenza ha bisogno di chi, come lui, 'colmi di amore i solchi della terra, pieni di egoismo e di odio' (Scritti, 62,99).

"ALZATEVI, ANDIAMO!": RICORDI, PASSIONI, PAURE RACCONTATI DA KAROL WOJTYLA

In occasione dell'ottantaquattresimo compleanno di Giovanni Paolo II, il 18 maggio 2004 è uscito nelle librerie italiane la nuova opera autobiografica del Santo Padre, Alzatevi, andiamo!
Il volume, poco meno di 200 pagine, è ricco di ricordi, aneddoti e spunti di riflessione, che ripercorrono i vent'anni di episcopato a Cracovia del Santo Padre.
Il racconto inizia proprio con l'annuncio, che nel luglio 1958 il primate di Polonia, il cardinale Stefan Wyszynski, fa al giovane Karol Wojtyla della sua nomina a vescovo. Pagina dopo pagina, il Papa descrive la sua attività pastorale portata avanti nello spirito del Concilio Vaticano II e non mancano parti del volume dedicate alla rievocazione della lotta del giovane presule contro le autorità comuniste polacche.
Rivolto in particolare ai vescovi, Alzatevi, andiamo! è, tuttavia, un'esortazione a tutta l'umanità a vivere con coraggio la Buona Novella nel terzo millennio.
Oltre che in Italia il nuovo libro di Giovanni Paolo II è uscito in contemporanea anche in polacco - la lingua in cui è stato scritto - francese, tedesco e spagnolo.

IL PATRIARCA DI COSTANTINOPOLI IN VATICANO: UN INCONTRO RICCO DI ASPETTATIVE PER L'UNITÀ DEI CRISTIANI

Una giornata storica, che rinnova la speranza dell'unità tra i cristiani.
Il 29 giugno 2004, nella solennità dei Santi Pietro e Paolo, Giovanni Paolo II e il patriarca ecumenico Bartolomeo I hanno ribadito l'urgenza del dialogo tra la Chiesa di Roma e di Costantinopoli per rafforzare l'impegno sulla via dell'ecumenismo.
L'udienza in Vaticano ha commemorato il quarantesimo anniversario dello storico incontro a Gerusalemme, tra Papa Paolo VI e il patriarca Atenagora I. Il ricordo di quell'evento provvidenziale, ha detto Giovanni Paolo II, deve favorire un balzo in avanti nel dialogo tra le due Chiese.
"Spinti dalla fiducia e dall'amore verso Dio, Papa Paolo VI e il patriarca Atenagora I hanno saputo superare pregiudizi e incomprensioni secolari, e hanno offerto un esempio mirabile di pastori e guide del Popolo di Dio". È con queste parole, di gratitudine e viva emozione, che Giovanni Paolo II ha ricordato l'incontro storico, "provvidenziale per la vita della Chiesa", che 40 anni fa, fece "riprendere con fiducia i rapporti tra la Chiesa di Roma e la Chiesa di Costantinopoli".
In questi quarant'anni, ha detto il Papa rivolgendosi a Bartolomeo I, le nostre Chiese hanno vissuto occasioni importanti di contatto che hanno favorito lo spirito della reciproca riconciliazione.
Ha così evidenziato lo scambio di visite tra Paolo VI e Atenagora I nel 1967, la sua visita al Fanar nel 1979. E, ancora, l'annuncio con il patriarca Dimitrios I dell'inizio del dialogo teologico e la visita dello stesso a Roma nel 1987. Infine, ha ricordato la visita in Vaticano di Bartolomeo I nel 1995.
"Sono tanti segni del comune impegno di continuare a percorrere la strada intrapresa, perché si realizzi quanto prima la volontà di Cristo: ut unum sint!".
Dal canto suo, il patriarca Bartolomeo ha affermato la necessità di rafforzare il dialogo tra le due Chiese. Dialogo, ha constatato, che "ha fluttuazioni, a ragione delle difficoltà accumulate dalla storia della lunga divisione". Parole corredate da un auspicio: "Santità, sognamo con gioia il giorno in cui tutti gli ostacoli alla piena comunione saranno tolti, e preghiamo continuamente affinché quel giorno non sia lontano a venire".
Al termine dell'udienza, il patriarca ha omaggiato il Pontefice con alcuni doni tra cui una croce d'argento. Il Papa ha contraccambiato con una medaglia commemorativa dell'incontro storico di Gerusalemme, che raffigura l'abbraccio tra Paolo VI e Atenagora I.
Il patriarca di Costantinopoli Bartolomeo I in visita a Roma (29 giugno 2004)


LA SACRA EFFIGIE DELLA MADRE DI DIO, SIMBOLO DI UNITÀ TRA CATTOLICI E ORTODOSSI, TORNA NELLE MANI DEL PATRIARCA RUSSO ALESSIO II

Il 28 agosto 2004 verrà ricordato come un giorno storico nei rapporti ecumenici tra la Chiesa ortodossa russa e la Chiesa cattolica: nella cattedrale della Dormizione a Mosca è stata consegnata agli ortodossi l'icona della Madre di Dio di Kazan, dono di Giovanni Paolo II al patriarca di Mosca e di tutte le Russie, Alessio II.
Un gesto fortemente desiderato da Giovanni Paolo II che, per quasi 11 anni, ha conservato l'antica effigie nel suo studio privato, nel Palazzo Apostolico in Vaticano.
Dopo cento anni e dopo avere attraversato diversi Paesi, giungendo poi a Fatima e provvidenzialmente infine nella casa del Papa, la sacra immagine, oggetto di profonda venerazione nei secoli, ha fatto ritorno sul suolo russo.
Canti e preghiere hanno accompagnato la consegna dell'icona nella cattedrale dove un tempo venivano incoronati gli zar. La cerimonia è stata preceduta dalla Santa messa officiata dallo stesso Alessio II, che ha sottolineato che la Russia è la 'casa' della Santa Vergine e che il Cremlino con le sue cattedrali è il 'cuore' della Russia.
Alessio II ha ringraziato il Papa per il dono: "Sono tornate - ha detto - tante immagini sacre scomparse durante il comunismo. C'è un periodo in cui le pietre vengono lanciate e un altro in cui vengono raccolte. Questa è la copia dell'icona di Kazan che ha avuto un percorso lungo e difficile".
Il cardinale Walter Kasper, presidente del Pontificio Consiglio per l'Unità dei Cristiani, ha consegnato l'icona della Madonna al patriarca Alessio II, facendosi latore di un lettera del Papa, per questo evento carico di aspettative.
Giovanni Paolo II scrive nella lettera ad Alessio II di aver pregato davanti a questa immagine sacra "implorando che venga il giorno in cui saremo tutti uniti e in cui potremo proclamare al mondo, con una sola voce in comunione visibile, la salvezza del nostro unico Signore e la sua vittoria su tutte le forze malvagie ed empie che recano attentato alla nostra fede e alla nostra testimonianza d'unità". "Possa questa venerabile immagine - invoca infine Giovanni Paolo II - guidare tutti noi nel nostro cammino evangelico al seguito di Cristo e possa proteggere il popolo verso il quale ella ritorna e l'umanità intera".
Un messaggio del Papa, dunque, carico di attese per i futuri rapporti tra cattolici e ortodossi russi e per l'unità di tutti i cristiani.
Ma il patriarca ortodosso, pur esprimendo il suo "grande ringraziamento" per l'immagine che "ci ricorda i tempi in cui la cristianità non era divisa", ha ribadito ai giornalisti che "al momento non ci sono" le condizioni per una visita del Papa in Russia. Alessio II comunque ha sottolineato che il regalo "testimonia la volontà del Vaticano di tornare a rapporti di rispetto tra le nostre Chiese e anche l'intenzione di aiutarci l'un l'altro".
Giovanni Paolo II e il primo ministro spagnolo Zapatero (Vaticano, 21 giugno 2004)


A LORETO IL PAPA RIBADISCE: "CRISTO È UNA SCELTA ESIGENTE"

Dopo i giorni di pellegrinaggio e di preparazione a Loreto, l'Azione cattolica italiana ed europea si è stretta in festa attorno al Papa, giunto domenica 5 settembre 2004 nella Piana di Montorso per compiere il suo 145° viaggio apostolico in Italia e sostare per la quinta volta in preghiera davanti alla Madonna nera della Santa Casa lauretana.
Nell'immensa verde valle tra Loreto e Porto Recanati, a pochi chilometri dal mare Adriatico, in mezzo a una folla di 300.000 pellegrini, in gran parte giovani e adulti appartenenti all'Azione cattolica, Giovanni Paolo II ha presieduto la solenne messa con la quale ha elevato agli onori degli altari tre giovani figure dell'Associazione laicale, vissuti nella prima metà del Novecento: gli italiani Alberto Marvelli e Pina Suriano e il catalano Pedro Tarres i Claret.
Giovanni Paolo II è tornato a ribadire che aderire a Cristo è una "scelta esigente" ma anche l'unica via per ottenere "pace e salvezza". Parole che il Papa ha pronunciato per incoraggiare i soci dell'Azione cattolica, la maggiore organizzazione laicale della Chiesa italiana, nella stagione del suo rinnovamento.
In apertura della celebrazione, è stato l'arcivescovo prelato di Loreto, mons. Angelo Comastri, a dare il bentornato a Giovanni Paolo II, nel santuario mariano italiano da lui più visitato in anni di pontificato. Una consuetudine resa esplicita dalla nascita a Montorso - dopo l'incontro con i giovani europei del 1995 - del centro di spiritualità giovanile che porta il suo stesso nome e che lo ospita durante questa visita.
Nel suo saluto il presule, dando un ulteriore e attuale significato a questa grande giornata di preghiera, ha fatto cenno alla partenza avvenuta la stessa mattina alle 5.00 da Falconara marittima, non lontano da Loreto, di un aereo della Protezione civile carico di medicinali per le vittime della tragedia di Beslan, in Ossezia.
E un'intenzione, durante la preghiera dei fedeli, è stata dedicata al popolo russo colpito dall'uccisione di tantissime giovani vite.
Al termine della celebrazione eucaristica, prima della preghiera dell'Angelus, il Papa ha rivolto un saluto particolare ai pellegrini provenienti dalle diocesi della Catalogna per assistere alla beatificazione del loro conterraneo Tarrés i Claret. "Il nuovo beato rappresenta un grande onore per la vostra Terra" ha detto Giovanni Paolo II in lingua catalana. Poi, il Papa ha affidato a tutti i fedeli le tre consegne necessarie affinché il Vangelo possa farsi storia nel mondo di oggi: "contemplazione", "comunione" - per promuovere la spiritualità dell'unità tra tutte le aggregazioni laicali - e "missione".
Papa Giovanni Paolo II assiste stanco a una messa


IL PONTEFICE INCONTRA LE DUE SIMONE

"Grazie a Dio siete salve". Con queste parole Giovanni Paolo II ha accolto il 5 ottobre 2004 in Vaticano Simona Pari e Simona Torretta.
All'udienza, avvenuta in forma strettamente privata e durata pochi minuti, hanno partecipato anche i familiari delle due giovani volontarie liberate in Iraq il 28 settembre dopo tre settimane di sequestro. Ad accompagnarle Mons. Rino Fisichella.
Nel corso dell'incontro, chiesto per ringraziare il Papa per i numerosi appelli e interventi in favore della loro liberazione, le due ragazze, accompagnate dal vescovo Rino Fisichella, non hanno nascosto la loro commozione ed hanno sottolineato il bisogno di solidarietà del popolo iracheno.

LA LETTERA APOSTOLICA "MANE NOBISCUM DOMINE"

L'8 ottobre 2004 viene presentata in sala stampa vaticana la Lettera apostolica del Papa Mane nobiscum Domine rivolta all'episcopato, al clero e ai fedeli per l'Anno dell'Eucaristia (ottobre 2004 - ottobre 2005).
La Lettera rappresenta un ulteriore momento di riflessione della Chiesa intorno a se stessa e alla sua liturgia. Già con la Tertio millennio adveniente (10 novembre 1994), il Pontefice delineò nel segno di Cristo il cammino di preparazione al Grande Giubileo dell'Anno 2000: Cristo infatti è al centro non solo della storia della Chiesa, ma anche della storia dell'umanità; l'insegnamento del Concilio ha apportato nuovi approfondimenti alla conoscenza della natura della Chiesa, aprendo gli animi dei credenti a una comprensione più attenta dei misteri della fede e delle stesse realtà terrestri nella luce di Cristo.
Nella Lettera apostolica Dies Domini venne quindi proposto alla meditazione dei credenti il tema della "domenica" come giorno del Signore risorto e giorno speciale della Chiesa, invitando a riscoprire la celebrazione eucaristica come cuore della domenica.
Nella Lettera apostolica Novo millennio ineunte veniva indicata una prospettiva di impegno pastorale fondato sulla contemplazione del volto di Cristo, all'interno di una pedagogia ecclesiale capace di tendere alla "misura alta" della santità, perseguita specialmente attraverso l'arte della preghiera.
Giovanni Paolo II ha ribadito come si debba apportare un rilievo particolare all'eucaristia domenicale e alla stessa domenica "sentita come giorno speciale della fede, giorno del Signore risorto e del dono dello Spirito, vera Pasqua della settimana".
Proprio nel cuore dell'Anno del Rosario il Papa promulgò la Lettera enciclica Ecclesia de Eucharistia, con la quale fu illustrato il mistero dell'eucaristia nel suo rapporto inscindibile e vitale con la Chiesa. Il racconto dell'apparizione di Gesù risorto ai due discepoli di Emmaus focalizza un primo aspetto del mistero eucaristico, che deve essere sempre presente nella devozione del popolo di Dio: l'eucaristia mistero di luce! Gesù ha qualificato se stesso come "luce del mondo" e questa sua proprietà è ben posta in evidenza da quei momenti della sua vita, come la Trasfigurazione e la Risurrezione, nei quali la sua gloria divina chiaramente rifulge.
Nell'eucaristia invece la gloria di Cristo è velata, tuttavia, proprio attraverso il mistero del suo totale nascondimento, Cristo si fa mistero di luce, grazie al quale il credente è introdotto nelle profondità della vita divina.
Nella Lettera Mane nobiscum Domine viene evidenziato come la dimensione più evidente dell'eucaristia sia quella del convito e proprio per tale motivo si deve porre "un impegno speciale nel riscoprire e vivere pienamente la domenica come giorno del Signore e giorno della Chiesa [...]. L'incontro con Cristo, continuamente approfondito nell'intimità eucaristica, suscita nella Chiesa e in ciascun cristiano l'urgenza di testimoniare e di evangelizzare".
Il Pontefice ha poi ribadito la spinta che l'eucaristia trae per "un impegno fattivo nell'edificazione di una società più equa e fraterna. Nell'eucaristia il nostro Dio ha manifestato la forma estrema dell'amore, rovesciando tutti i criteri di dominio che reggono troppo spesso i rapporti umani e affermando in modo radicale il criterio del servizio: "Se uno vuol essere il primo, sia l'ultimo e il servo di tutti".

IL PRIMO MINISTRO IRACHENO ALLAWI A COLLOQUIO DAL SANTO PADRE

Il 4 novembre 2004 il Papa ha dato udienza al primo ministro ad interim dell'Iraq, Ayad Allawi, accolto nella biblioteca privata del Palazzo Apostolico.
"Sono lieto di accoglierla in Vaticano e di assicurare la mia continua vicinanza al popolo iracheno, così duramente provato dalle tragiche sofferenze di questi anni recenti", ha dichiarato Giovanni Paolo II al primo ministro iracheno.
"Desidero incoraggiare - ha aggiunto il Papa - gli sforzi fatti dalla popolazione irachena per ristabilire le istituzioni democratiche, perché siano realmente rappresentative e impegnate a difendere i diritti di tutti, nel completo rispetto delle diversità religiose ed etniche che sono state sempre una fonte di arricchimento per il suo Paese."
Da sottolineare, nel colloquio tra Giovanni Paolo II e allawi, il fermo richiamo rivolto dal Papa perché in Iraq venga garantito il rispetto della libertà religiosa.
I cristiani in Iraq costituiscono una piccola minoranza della popolazione, messa in pericolo dal clima di violenze e di intolleranze religiose che percorrono il Paese, con diversi attentati consumati ai danni di chiese, cui ha fatto riferimento lo stesso primo ministro iracheno, deplorando gli attacchi e assicurando da parte del suo governo la volontà di procedere al restauro delle chiese.
Dopo il colloquio con il Santo Padre, durato circa 10 minuti, il leader iracheno si è intrattenuto con il cardinale Angelo Sodano, segretario di Stato e altri rappresentanti vaticani. Temi al centro dei colloqui la pacificazione e la ricostruzione dell'Iraq, ma anche la libertà religiosa e la situazione dei cristiani.

LE RELIQUIE DI SAN GREGORIO NAZIANZENO E DI GIOVANNI CRISOSTOMO TORNANO AL PATRIARCA DI COSTANTINOPOLI

Un momento storico sulla via dell'ecumenismo è stata la consegna delle reliquie, avvenuta il novembre 2004, dei santi vescovi e dottori della Chiesa Gregorio Nazianzeno, detto il Teologo, e Giovanni Crisostomo.
Ogni anno, in occasione delle feste patronali di Roma (29 giugno, santi Pietro e Paolo) e di Costantinopoli (30 novembre, sant'Andrea), è di rito uno scambio di delegazioni tra la Chiesa di Roma e il patriarcato ecumenico: la delegazione del patriarcato partecipa a Roma alle celebrazioni per i santi Pietro e Paolo e la delegazione della Chiesa di Roma partecipa alla festa di sant'Andrea a Costantinopoli. Durante le celebrazioni del 29 giugno lo stesso patriarca Bartolomeo I guidò la delegazione e inoltrò la richiesta perché venissero riconsegnate le reliquie di san Gregorio Teologo e di san Giovanni Crisostomo, venerate nella basilica vaticana.
Giovanni Paolo II, rispondendo al patriarca e esprimendo il proprio rincrescimento per non poter accogliere l'invito di una visita a Istanbul, acconsentiva alla cessione delle reliquie.
La suggestiva cerimonia della consegna delle sacre spoglie, da secoli venerate nella basilica di San Pietro, è dunque avvenuta il giorno 27 novembre, nella basilica vaticana, con una solenne celebrazione ecumenica, presieduta dal Santo Padre Giovanni Paolo II insieme con il patriarca ecumenico di Costantinopoli Bartolomeo I.
"Camminare insieme, affinché il mondo creda in Cristo, nostro unico Salvatore": Giovanni Paolo II ha sintetizzato così lo straordinario valore della celebrazione ecumenica. Ancora una volta, il Papa ha ribadito che non si stancherà mai "di cercare fermamente e risolutamente questa comunione fra i discepoli di Cristo", perché è suo desiderio, "in risposta alla volontà del Signore", "di essere servo della comunione nella verità e nell'amore". Ha poi messo l'accento sul ruolo dei Santi Gregorio Nazianzeno e Giovanni Crisostomo, "ardenti intercessori del dono dell'unità visibile per le nostre Chiese". Due santi, vissuti nel IV secolo dopo Cristo, che si dedicarono alla cura pastorale del popolo loro affidato, alla difesa dell'ortodossia e dell'unità della Chiesa, favorendo la comunione tra la Chiesa d'Oriente e la Chiesa di Roma.